Proposta ONU sul debito: «Ai Paesi emergenti serve una ristrutturazione verde»

La proposta del presidente di BIOFIN ONU sul debito sovrano: tassi d'interesse più bassi per le nazioni più impegnate nella tutela della biodiversità

Matteo Cavallito
Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa. Il FMI ha approvato un intervento da 4,3 miliardi di dollari per sostenere iniziative di welfare e stabilizzare il debito di Pretoria. Il Sudafrica, terzo Paese più ricco del mondo in termini di biodiversità, sperimenterà quest’anno una contrazione economica pari al 7,2% del Pil. Foto: Kremlin.ru Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)
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La ristrutturazione del debito dei Paesi più colpiti dalla crisi economica da coronavirus dovrebbe incentivare lo sviluppo sostenibile e la tutela del capitale naturale. Una scelta ragionata, destinata a proteggere la biodiversità e le risorse “verdi” minacciate dal cambiamento climatico. È questa, in estrema sintesi, la proposta lanciata nei giorni scorsi da Simon Zadek, presidente di Finance for Biodiversity Initiative (BIOFIN), un programma promosso dalle Nazioni Unite con il sostegno della Commissione Europea. L’ipotesi è densa di implicazioni anche e soprattutto nell’attuale panorama dell’analisi economica.

Un recente studio della banca J. Safra Sarasin, ad esempio, ha posto una certa enfasi sul peso della tutela delle risorse naturali. La capacità di un Paese di proteggere il suo ecosistema dovrebbe condizionare il suo rating di sostenibilità. E quest’ultimo, argomentano i ricercatori, dovrebbe essere preso in considerazione accanto alle tradizionali valutazioni di merito creditizio (quelle di S&P o Moody’s, per capirci). E poi ovviamente c’è il contesto odierno con quella combinazione di crisi climatica ed emergenza sanitaria che rischia di essere dirompente. Soprattutto per le nazioni emergenti e in via di sviluppo.

Debito fuori controllo

Quella dei Paesi emergenti e in via di sviluppo, allo stato attuale, appare agli occhi degli osservatori come la storia di un piccolo paradosso. Rispetto alle aree più avanzate del Pianeta, queste nazioni sono meno colpite dall’epidemia globale. Ma rischiano tuttavia di pagare il prezzo più alto in termini di crisi economica. La Banca Mondiale, ricorda Zadek, stima che la pandemia possa spingere nella povertà estrema fino a 100 milioni di persone. La crescita della spesa pubblica e il tracollo dell’export – di fronte alla contrazione della domanda dei Paesi più ricchi – farebbero il resto. E l’aumento del debito, in questo senso, diventa la misura stessa della crisi.

Negli ultimi 15 anni, nota il Financial Times, il debito dei Paesi più vulnerabili è passato da meno di mille a 3.200 miliardi di dollari. Tradotto: il 114% del Pil. Il debito complessivo dei mercati emergenti ha raggiunto ormai quota 71 trilioni (mila miliardi) di dollari. Oggi circa metà delle nazioni del Pianeta ha chiesto un sostegno al Fondo Monetario Internazionale. La mobilitazione complessiva di quest’ultimo si aggira sui 250 miliardi di dollari, più o meno un quarto della sua capacità totale di spesa.

Ristrutturare il debito proteggendo l’ambiente

In questo quadro – sostiene Zadek – la ristrutturazione del debito appare «inevitabile». Da qui la proposta: incentivare la tutela delle biodiversità attraverso un trattamento agevolato capace di alimentare un circolo virtuoso per l’economia, l’ambiente e le finanze pubbliche. Occorre, spiega, «offrire tassi d’interesse più bassi e rimborsi del capitale in cambio di miglioramenti al capitale naturale dei Paesi debitori garantirebbe un immediato beneficio fiscale». E ancora: «Tali miglioramenti stimolerebbero la crescita sostenibile della produttività e la prosperità di queste nazioni rafforzando il valore del capitale naturale stesso». Infine – conclude – agire adesso, ovvero in un contesto di bassi tassi di interesse a livello globale, significherebbe sostenere costi relativamente contenuti. A fronte di una spesa ridotta, insomma, sarebbe possibile «mettere in sicurezza risorse naturali fondamentali per la sicurezza globale, l’approvvigionamento alimentare e la lotta contro il cambiamento climatico».

Sudafrica: un caso emblematico

Pur senza entrare nel dettaglio il presidente di BIOFIN evoca il caso del Sudafrica, una delle nazioni più colpite dalla crisi da coronavirus.  Quest’anno, sostiene il FMI, l’economia nazionale dovrebbe contrarsi del 7,2% con inevitabili ripercussioni sull’equilibrio della spesa pubblica. Lo stesso Fondo, per altro, ha già stanziato 4,3 miliardi di dollari per sostenere iniziative di welfare e stabilizzare il debito di Pretoria. Ma il Sudafrica, ricorda BIOFIN, è anche il terzo Paese più ricco del mondo in termini di varietà dell’ecosistema. Una risorsa eccezionale che pure, ad oggi, non sembra essere adeguatamente tutelata.

«Pur occupando solo il 2% della superficie terrestre» spiegano gli analisti del Segretariato della Convenzione sulla Biodiversità delle Nazioni Unite, «il Sudafrica ospita il 10% delle specie vegetali, il 7% delle specie di rettili, uccelli e mammiferi e circa il 15% delle specie marine del mondo». Secondo le stime più recenti, tuttavia, «il 10% degli uccelli e delle rane sono minacciate così come il 20% dei mammiferi e il 13% delle piante», senza contare i diffusi rischi per gli ecosistemi fluviali «con il 44% in pericolo critico, il 27% in pericolo e l’11% vulnerabile». E siccome «la perdita e il degrado della biodiversità del Sudafrica hanno serie implicazioni per la società e l’economia», visto che «gli ecosistemi naturali forniscono molti servizi essenziali» (acqua, aria pulita, prevenzione dell’erosione del suolo etc.), ecco che il nesso tra natura ed economia si fa più evidente. Ancora una volta.