Crisi climatica: l’agricoltura italiana sta già pagando il conto

Gli impatti della crisi climatica sull'agricoltura in Italia sono già visibili e molto gravi. Ci sono soluzioni possibili, manca la politica

© Robert Pavsic/iStockPhoto

L’agricoltura italiana sta già pagando un conto altissimo per la crisi climatica. Di stagione in stagione, capita sempre più spesso che siccità prolungate o alluvioni mettano a rischio i raccolti. I cicli naturali delle colture sono alterati perché i regimi di precipitazione e le temperature medie e massime sono definitivamente cambiati. Questo vuol dire non soltanto crisi per il settore agricolo, che rappresenta il 27% del prodotto interno lordo (Pil) italiano, ma anche insicurezza alimentare per il Paese.

Perché l’Italia è un hotspot climatico

Il Mediterraneo, come hotspot climatico, è sottoposto a un forte stress che sta mettendo a repentaglio ecosistemi molto fragili, economie già vulnerabili e la vita materiale di più di mezzo milione di persone. Soffre l’area mediterranea e più di tutti soffrono le zone costiere, soggette a inondazioni, erosione delle coste e salinizzazione dei delta fluviali e delle falde acquifere. L’acqua sta diventando una risorsa sempre più rara e preziosa. Entro il 2050 il suo consumo potrebbe raddoppiare o triplicare, mentre le precipitazioni diminuiranno tra il 10 e il 15%, con picchi del 30% nelle regioni del Sud Europa. Entro la fine del secolo la temperatura del mar Mediterraneo potrebbe aumentare fino a 3,5 gradi centigradi, con situazioni particolarmente critiche in Spagna e nel Mediterraneo orientale. Già nel 2024 nella giornata del 15 agosto la media ha toccato il record di 28,9 gradi.

L’Italia si trova al centro di questo inferno climatico. Non a caso, il 2024 è stato il primo anno in cui la temperatura del Paese ha superato la soglia critica di 1,5 gradi in più rispetto ai livelli preindustriali. Questo mette il nostro Paese ancora più a rischio. E infatti, il livello di eventi meteorologici estremi è cresciuto in maniera allarmante: la media è ormai di sette al giorno. L’ultimo decennio ha visto queste manifestazioni violente quintuplicare; una situazione che non sembra destinata a migliorare. L’aumento delle temperature marine diffonde sempre più umidità nell’aria, e questo alimenta il ciclo di tempeste di vento e grandinate.

Crisi climatica e agricoltura: i raccolti italiani più a rischio

La geografia fisica dell’Italia e la sua caratteristica forma allungata la rendono un laboratorio molto efficace per osservare i cambiamenti climatici. Nel nostro Paese infatti c’è una divisione climatica molto netta tra nord – terreno di piogge eccessive e sempre più frequenti alluvioni – e Sud, dove ormai la siccità dura sempre di più. Nonostante siano fenomeni molto diversi tra loro, la principale conseguenza è identica: la perdita dei raccolti.

Il report “Città clima: speciale agricoltura” di Legambiente riferisce che tra il 2015 e il 2024 ci sono stati 146 eventi meteorologici estremi che hanno portato danni all’agricoltura. 64 grandinate, 31 siccità prolungate, 24 tempeste di vento o trombe d’aria, 15 allagamenti dovuti a piogge intense, 10 esondazioni fluviali. Le regioni che hanno pagato un prezzo più alto sono Piemonte (20 eventi), Emilia-Romagna (19), Puglia (17), Sicilia e Veneto (14 ciascuno), Sardegna (11). Le colture colpite sono state soprattutto cereali, cavolfiore, soia, pere, ciliegie. I prodotti che hanno subito il contraccolpo maggiore olio d’oliva, vino, miele e mais.

Crisi climatica: come sta cambiando l’agricoltura in Italia

In generale il clima è cambiato e ha trasformato il nostro inverno, che è diventato più mite, sempre più simile all’autunno. Questo può sembrare positivo per la vita ordinaria, ma è un fenomeno molto grave per il settore agricolo. Le piante perenni come gli alberi non riescono a completare il loro ciclo di crescita annuale, che è fondamentale per lo sviluppo delle radici, la germinazione dei germogli e la fruttificazione. Quando il freddo atteso non arriva, il nuovo ciclo ha difficoltà a partire al momento opportuno con conseguenze su tutto lo sviluppo futuro.

Il clima ha cambiato anche le produzioni. Nel Sud Italia sono sempre più diffuse le piantagioni di frutta tropicale come banane, avocado e mango. Negli ultimi cinque anni sono triplicate e ormai raggiungono quasi 1.200 ettari tra Puglia, Sicilia e Calabria. In Sicilia e Puglia, per il gran caldo, è tornata la coltivazione del cotone.

Crisi climatica e agricoltura: conseguenze economiche e aumento dei prezzi

La crisi climatica comporta conseguenze economiche profonde e sistemiche per l’agricoltura. Le imprese più colpite dal clima estremo hanno subito forti riduzione delle superfici coltivate. Questo abbassa la disponibilità di materie prime. Il mercato diventa quindi instabile, con un aumento dei prezzi agricoli che alcune ricerche stimano al 3% entro il 2035, con un’inflazione complessiva al 1,2%. Le condizioni climatiche italiane per esempio hanno fatto calare fortemente la produzione di cereali, con conseguenze sulla disponibilità e sui prezzi. Allo stesso tempo, le fluttuazioni dei mercati internazionali delle materie prime come il cacao hanno impatti sull’industria dolciaria. Non potendo aumentare i prezzi, quest’ultima risponde con la riduzione della qualità o la “sgrammatura” delle confezioni a parità di prezzo.

Crescono anche i premi assicurativi e, quindi, i costi di produzione per chi coltiva. Tutto questo genera una duplice pressione: da un lato l’offerta di prodotti agricoli è ridotta; dall’altro i prezzi al consumo crescono, ma senza una parallela crescita dei margini per le imprese. In questo contesto le piccole imprese agricole agonizzano. Molte finiscono per essere vendute a grandi gruppi multinazionali o imprese commerciali, che lavorano quasi sempre con la grande distribuzione. E visto che nel frattempo il potere d’acquisto nazionale non cresce e anzi, siamo sempre più poveri, la grande distribuzione (Gdo) è sempre più attenta ai prezzi e meno alla qualità.

Le politiche di adattamento che rendono l’agricoltura resiliente alla crisi climatica

Visto che la crisi climatica è un fatto, e i suoi impatti sull’agricoltura sono fatti, la situazione impone interventi per rimediare e rendere il settore più resiliente. Secondo una stima riportata da Legambiente, senza interventi di adattamento l’agroalimentare italiano potrebbe perdere fino a 12,5 miliardi di euro entro il 2050. Questo allo stato attuale del riscaldamento globale. Se la situazione dovesse peggiorare, le perdite sarebbero destinate a crescere.

Gli interventi di adattamento, però, esistono. Sono diverse le buone pratiche e le esperienze innovative che potrebbero fare scuola, partendo dalle nature-based solutions. Sono soluzioni che partono dalle basi: una transizione del settore verso l’agroecologia e quindi l’agricoltura biologica. Ridurre i pesticidi e in generale gli input chimici, idrici ed energetici, così da tutelare il settore, proteggere la biodiversità e mitigare le emissioni. L’Italia, con più di 94mila operatori in agricoltura biologica e circa 2,46 milioni di ettari a coltivazione, è leader del settore.

Ci sono poi i micro interventi di adattamento possibili, a partire da quelli per una gestione idrica virtuosa. La micro-irrigazione e il riuso delle acque civili depurate è una soluzione, così come la selezione di colture meno idroesigenti. O la realizzazione di terrazzamenti, come quelli previsti dal progetto Life Stonewallsforlife per il recupero dei muretti a secco nelle Cinque Terre. Intervento che peraltro consente di migliorare il drenaggio, stabilizzare i terreni e contrastare l’erosione costiera. Sull’isola di Pantelleria c’è una costruzione cilindrica che è un esempio concreto e antichissimo di adattamento alla siccità. Il Giardino Pantesco crea un microclima interno in grado di trattenere l’umidità per una singola pianta di agrume: la maniera ideale di coltivare in contesti di scarsità d’acqua.

Crisi climatica e agricoltura: il ruolo di alberi e agroforestazione

In generale sono efficaci le pratiche di agroforestazione e rinaturalizzazione. Riportare gli alberi nei paesaggi agricoli non serve solo per dare una casa alla fauna selvatica: è una pratica che riduce l’erosione del suolo e migliora il ciclo dell’acqua. E aumenta l’assorbimento di emissioni, che non fa mai male.

Accade nel Regno Unito con la Knepp Farm, una tenuta nel Sussex che ha lanciato un progetto di ripristino della natura selvatica (rewilding) dicendo addio all’agricoltura intensiva. La natura si è ripresa gli spazi della tenuta, dove ora ci sono pascoli, cervi, zone umide e una vasta varietà di flora e fauna. Anche la Francia va in questa direzione con il progetto Safe che sta trasformando le monocolture in sistemi agroforestali riportando ombra e temperature miti grazie agli alberi. La produttività dei terreni è aumentata del 40%.

Come proteggere le colture agricole dagli effetti della crisi climatica

Ci sono diverse altre soluzioni utili ad adattare l’agricoltura agli effetti della crisi climatica. Sono state sistematizzate dal progetto europeo Life Adapt2Clima. Tra queste c’è l’uso del sovescio, la cosiddetta letamazione verde. È una pratica agronomica che prevede di seminare piante, leguminose o erbacee, che poi vengono interrate per nutrire i terreni. O ancora la piantumazione anticipata delle patate e la selezione di specie a maturazione precoce. L’applicazione di metodi di irrigazione particolari per i frutteti. L’agricoltura conservativa per i cereali che riduce al minimo il disturbo dei suoli e favorisce la conservazione dei residui e la diversificazione. L’efficientamento idrico attraverso sistemi di gocciolamento o microirrigatori. L’ombreggiatura delle viti con teli che riducono l’assorbimento della radiazione solare.

Entra in gioco anche la tecnologica. Il Gis, Geographic Information Systems, ad esempio, è stato molto utile per il programma Agricultural Collaborative Research Outcomes System (AgCROS) del dipartimento dell’Agricoltura negli Stati Uniti. L’analisi Gis ha permesso di verificare l’entità del rischio e monitorare temperature, malattie, parassiti e quantità idrica disponibile delle varie colture. Con questi dati diventa possibile gestire in modo più efficiente i suoli e individuare pratiche specifiche per le singole aree.

Soluzioni per un’agricoltura resiliente alla crisi climatica: il nodo politico

Nonostante gli impatti della crisi climatica sull’agricoltura in Italia siano tanti e ben documentati, le soluzioni sembrano lontane. Il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sottolinea l’urgenza di interventi ma, come rilevato da Legambiente, quelli che prevede sono molto parziali. E la loro applicazione è piuttosto carente. Manca ancora all’appello l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici che avrebbe dovuto vedere la luce entro il 21 marzo 2024. Il Piano inoltre non prevede fondi specifici per la realizzazione delle azioni che propone. Spesso si ritiene che debbano intervenire linee di finanziamento già esistenti, ma questo crea disomogeneità e squilibri territoriali.

Le misure di adattamento in Italia sono insomma messe in atto col freno a mano, quando non solo evocate. E questo accade in un Paese che sconta un problema strutturale di perdita di suolo coltivato: dal 1970 al 2024 si è passati da 17 milioni di ettari e mezzo a 12 milioni e mezzo. Sarebbe troppo lungo analizzare qui le cause del fenomeno; basti sapere che però non esiste alcun intervento strutturale, a livello nazionale, che si ponga il problema di arginarlo.

Eppure sarebbe vitale intervenire con velocità, risorse adeguate e strumenti materiali, coordinando il lavoro di tutti gli attori istituzionali, a tutti i livelli, con gli stakeholder sociali. Supportare la transizione verso pratiche agricole sostenibili, resilienti e innovative è l’unica via per garantire un futuro non solo alle nuove generazioni, ma a un pilastro dell’economia e della cultura del nostro Paese.

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