Dai biscotti alle cene di gala: il valore aggiunto del lavoro dietro le sbarre
Decine di imprese nelle carceri italiane. Migliaia di lavoratori che traggono reddito (e dignità). Il lavoro e le misure alternative riducono la recidiva
Un biscotto può essere buono non solo per il suo sapore al palato. Ma anche per il valore sociale che cela. Se a realizzarlo sono i detenuti o ex detenuti (minori o adulti) che lavorano in una delle molti carceri italiane. L‘economia carceraria è ricca di potenziale e di “biodiversità”. Produce biscotti, ma anche capi d’abbigliamento, oggetti d’arte per la casa. Di cui non contano solo fattura e stile. Ma il valore sociale prodotto dal lavoro di chi sta scontando una pena.
Sono decine le imprese nate in prigione e migliaia i lavoratori che ogni giorno da queste imprese traggono reddito, crescita professionale, opportunità di reinserimento e dignità. Su circa 60mila detenuti in Italia (numero esorbitante che è valso da poco all’Italia una condanna del Consiglio d’Europa), ben 17.600 lavorano.
Stando poi ai dati dell’ultimo osservatorio pubblicato dall’associazione Antigone sulle condizioni negli istituti di pena, «il numero dei detenuti che lavorano per soggetti diversi dall’Amministrazione penitenziaria è aumentato, seppur di poco, passando dall’11,81% del 1991 al 13,48% del 2017) […] Tra i lavoranti (2.480), a fine 2017 vi erano 766 semiliberi, 765 detenuti in art.21, 246 detenuti alle dipendenze di imprese (di cui 195 al Nord) e 703 di cooperative (di cui 195 al Nord)».
Dai mobili alle borse al presepe
Un arcipelago di iniziative imprenditoriali difficile da fotografare. Anche se lo stesso ministero della Giustizia propone, sul suo sito internet, una sorta di censimento ragionato – ad oggi incompleto – in cui vengono catalogati centinaia di prodotti. Una vetrina che individua ogni istituto di pena e suddivide le realizzazioni disponibili in 19 categorie merceologiche.
A farla da padrone sono le 103 occorrenze dell’ambito alimentare. Ma si trovano arredamento, abbigliamento, cosmetici, giocattoli, piante, presepi, strumenti musicali.
Di ogni prodotto è stilata una scheda informativa piuttosto dettagliata e corredata di immagini. Consentendo così di conoscere caratteristiche tecniche, destinazione d’uso e sede carceraria di fabbricazione, nonché qualche contatto utile a raggiungere chi quel prodotto realizza ed eventualmente commercializza. Purtroppo però ancora non esiste la parte di shopping online.
E se, come indicano alcune ricerche recenti, il lavoro e le misure alternative riduce significativamente i tassi di recidiva, cresce anche l’interesse per le iniziative che formano una vera economia carceraria. Già ospitata in eventi come Fa’ la cosa giusta! e recentemente oggetto di un festival dedicato o un progetto come Re(IN)clusi di Semi di libertà e ItaliaCamp per misurare e valorizzare l’impatto socio-economico positivo del lavoro.
Biscotti prodotti a Palermo, mangiati a Bruxelles
Delle potenzialità e del dinamismo dell’economia carceraria ci si accorge andando a scoprire una giovane cooperativa (Rigenerazioni Onlus) che opera da soli tre anni con il carcere minorile Malaspina di Palermo.
Si chiama Cotti in Fragranza e inizia la sua attività dal laboratorio di prodotti da forno attivo all’interno dell’istituto penale. Ma senza trascurare uno studio di fattibilità e un business plan, come farebbe qualsiasi startup. Impiegando i minori detenuti e assumendoli una volta usciti come responsabili, sviluppando anche attività d’inclusione sociale per migranti.
E così, dopo i primi passi compiuti nella distribuzione locale delle piccole botteghe biologiche e solidali i suoi frollini – grazie al sostegno di Lega Coop – raggiungono gli scaffali della grande distribuzione. Avvia collaborazioni fruttuose, come il progetto di co-marketing in abbinamento allo zibibbo di Tenute Orestiadi o la joint venture col turismo etico di Addio Pizzo Travel, ed entra nel negozio Freedhome di Torino, che vende tutte le eccellenze prodotte all’interno delle carceri italiane.
E poi a Bologna e Genova nelle gelaterie di È Buono, primo franchising sociale d’Italia. Collabora con diversi Gruppi di acquisto solidale e oggi distribuisce i suoi prodotti in poco meno di 100 punti vendita italiani. Ma anche presso sette rivenditori situati in Belgio, cinque nella capitale Bruxelles. Nel cuore dell’Europa.
L’impresa carceraria cresce e scavalca il muro
Cotti in Fragranza mostra insomma un’intraprendenza notevole, animata innanzitutto dalla tenacia sorridente di due donne, Lucia Lauro e Nadia Lodato, nonché dalla sapienza dello chef Francesco Gambino. Tanto che la cooperativa ha appena fatto la scommessa più coraggiosa creando un nucleo operativo fuori dal carcere, dove ha trasferito attività di packaging, l’organizzazione dei catering, la realizzazione di una linea di fresco e cibi da asporto. Un nucleo situato nella Casa San Francesco, palazzo storico del ‘600 deputato all’accoglienza di persone a rischio di vulnerabilità sociale, nel pieno centro storico turistico di Palermo.
E i numeri sembrano dare ragione alla volontà. Nel 2018, in circa un anno di attività, sono stati oltre 30mila i pacchi di biscotti venduti, per un totale di circa 9 tonnellate di prodotto. E nel 2019 il trend sembra confermarsi, con una crescita dei servizi di produzione del fresco su ordinazione, che valgono già una fetta superiore al 15% del bilancio annuale.
Ristorante di classe…In Galera
Come Cotti in Fragranza ci sono altre realtà imprenditoriali coraggiose. Capaci di dare un senso a formule come “economia solidale e alternativa” o “rieducazione carceraria”, pur senza lesinare sulla qualità. Esperienze di punta come il ristorante In Galera nel carcere per adulti di Bollate, alle porte di Milano, nato dal lavoro di ABC catering, cooperativa sociale di cuochi professionisti. E da direzioni penitenziarie illuminate. Capaci di dar vita a un’impresa di ristorazione che nel 2018, dopo un picco di 12.151 dell’anno precedente, ha saputo registrare oltre 101mila presenze tra pranzi e cene.
Un calo fisiologico, dopo il boom di notorietà mediatica seguito al lancio di questo caso unico, ma che impone ora una chiamata alla massima attenzione possibile. Come testimonia Silvia Polleri, fautrice e organizzatrice dell’impresa: «Nel business plan che avevamo stilato era previsto che, con Cassa delle Ammende, il Dipartimento Amministrazione Penitenziaria (DAP) pagasse la cucina (costo totale circa 140mila euro + Iva). Purtroppo, solo pochi giorni prima dell’apertura ci è stato comunicato che per ragioni amministrativo-burocratiche non sarebbe stato fatto fronte all’impegno preso.
E per noi, cooperativa formata prevalentemente di detenuti, è stata una bella botta. Essendo stati il primo caso al mondo, abbiamo destato molta attenzione, perché il messaggio di recupero della persona,
abbinato ai dati di recidiva nei fuoriusciti dal Carcere di Bollate (17% contro il 70% su territorio nazionale) è forte e chiaro».
Insomma, mancano 58mila euro da raccogliere entro il 2022 per difendere un’impresa tanto innovativa da risultare un valore aggiunto per tutto il sistema penitenziario italiano. Per chi ha fame di “cose buone” l’appello a partecipare è lanciato.