Dalla Cop27 un nuovo label per gli investimenti sostenibili. Ma serve?
FAST-INFRA è il framework che promette di indirizzare fondi privati verso nuove infrastrutture sostenibili. Ma è questo il tipo di soluzioni che ci serve?
Soldi, soldi, soldi. Alla Cop27, la ventisettesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite, non si è parlato d’altro. L’edizione di quest’anno, ospitata a Sharm el-Sheikh, in Egitto, nasceva con basse aspettative. Col mondo distratto dalla guerra in Ucraina e la scarsa ambizione della presidenza egiziana, nessuno sperava in novità entusiasmanti su abbandono del fossile e obiettivi di decarbonizzazione.
Così, il dibattito si è spostato su binari diversi. L’agenda è stata dettata dai Paesi del cosiddetto Sud globale, le nazioni più povere e più colpite dalla crisi climatica, che chiedono ai governi ricchi (e responsabili della maggior parte delle emissioni) di aiutarli nelle politiche di adattamento e mitigazione. Oltre a concedere risarcimenti per i danni subiti a causa del clima che cambia (il cosiddetto loss and damage).
Mitigazione, adattamento e loss and damage: da dove prendiamo i soldi?
La richiesta giunta da Africa, America Latina e Asia è stata quella di un impegno pubblico – possibilmente a fondo perduto – da parte di Europa e America del Nord. Le nazioni più ricche, negli anni passati, avevano nicchiato. Preferendo soluzioni di mercato a stanziamenti diretti.
«Dobbiamo dirci la verità, nessun Paese, nemmeno gli Stati Uniti, può mobilitare i duemila miliardi di dollari l’anno che servono per portare il mondo a zero emissioni», aveva dichiarato John Kerry, inviato speciale per il clima del presidente degli Stati Uniti. Kerry si riferiva alla transizione ecologica in generale, non solo a quanto necessario per i Paesi in via di sviluppo. Ma la sua frase descriveva l’idea ancora maggioritaria anche in sede COP: i fondi per il clima andranno reperiti in primis sul mercato.
Come noto, la Cop27 si è conclusa con un avanzamento storico da questo punto di vista. La dichiarazione finale della conferenza indica la necessità di creare un fondo per il loss and damage. Anche se non è ancora chiaro chi lo alimenterà, con quali capitali, e chi potrà attingervi.
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FAST: il nuovo framework per gli investimenti in infrastrutture sostenibili
In questo contesto si inserisce il lancio di FAST – Infra Sustainable Infrastructure Framework. Annunciato già alla Cop26 di Glasgow, nel 2021, solo quest’anno è diventato operativo. Si tratta di una cornice che permette di catalogare investimenti infrastrutturali come «sostenibili». Dal punto di vista delle emissioni, ma anche secondo criteri sociali, di governance e ambientali in senso ampio: dal consumo di risorse alla biodiversità.
L’obiettivo è quello di indirizzare gli investitori verso opere verdi e dall’impatto positivo. Le istituzioni pubbliche o private che ritengono di lavorare a progetti infrastrutturali coerenti con i criteri del framework possono richiederne il label, un’etichetta che ne attesta, appunto, le qualità sociali e ambientali. Un bollino che, questa è l’idea dei promotori, renderà più facile reperire finanziatori per i progetti che lo hanno ottenuto.
Il chi e il come di FAST
A gestire i criteri con cui il label verrà assegnato e l’ingresso di nuovi membri nel progetto sarà preposta una segretaria. La sua formazione è ancora in definizione, ma sappiamo che al vertice ci sono le organizzazioni iniziatrici del framework. Ovvero HSBC, la più grande banca d’Europa; l’International Finance Corporation (IFC, organismo della Banca Mondiale dedicato ai Paesi in via di sviluppo); l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse); la Climate Policy Initiative (CPI). Assieme a loro, figurano come partner due pesi massimi: Bloomberg e la Global Infrastructure Basel Foundation (GIF).
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Il framework è parte di un più ampio piano di finanziamento alle infrastrutture sostenibili. La FAST Initiative, appunto, acronimo che sta per Finance to Accelerate the Sustainable Transition Infrastructure Initiative. A capo dell’iniziativa, oltre ai gruppi sopra citati, ci sono altri giganti: JP Morgan, Meridiam, Mazars, Macquarie, Morgan Green Advisory, BNP Paribas, Net Zero Capital Advisory Ltd, Blue Like an Orange Capital. L’intero progetto è stato promosso dalla Francia e dal suo presidente Emmanuel Macron.
Cosa è sostenibile e cosa non lo è?
Chi potrà ottenere il prestigioso bollino di sostenibilità, duque? L’approccio scelto dalle realtà promotrici è bottom-up. Il framework parte dalle regole di sistemi di label già esistenti – su tutti la famosa tassonomia europea di cui Valori.it ha parlato diffusamente in passato. I criteri, affermano gli organizzatori, sono modellati sui principi del G20 e sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite.
Energie rinnovabili, infrastrutture verdi e sociali (come gli ospedali), mobilità pulita, reti digitali, gestione dell’acqua e dei rifiuti, ripristino e mantenimento degli ecosistemi: sono alcuni degli esempi di infrastrutture che otterrebbero il label FAST-INFRA.
Tutto oro ciò che luccica?
Gli scopi dichiarati dell’iniziativa sono dunque nobili. Spostare i flussi finanziari da settori ad impatto negativo – fossili, armi, estrazione selvaggia di materie prime – a settori ad impatto positivo è una delle grandi sfide della transizione ecologica. Tuttavia simili sistemi di incentivo rivolti agli investitori hanno mostrato in passato forti limiti, e sono finiti al centro delle critiche di esperti ed attivisti. È necessario, insomma, scavare a fondo.
Un primo aspetto da chiarire è quello relativo alla possibilità che il label venga assegnato anche a progetti legati ai combustibili fossili. Il framework impone regole stringenti, ma non esclude del tutto l’energia sporca. Tra i criteri figura la necessità, per i progetti legati alla produzione energetica, di non superare la soglia dei 100g di CO2 equivalente emessa per kWh. Le stesse FAQ di INFRA considerano «improbabile» che una centrale fossile rispetti questo limite. Ma non impossibile.
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Le cose cambiano, infatti, se alla centrale venisse abbinato un sistema di cattura e accumulo della CO2. In quel caso, dagli stessi documenti di presentazione della cornice sembra esserci un’apertura all’ottenimento del label. Questo nonostante la sostenibilità economica ed ecologica di queste tecnologie sia ancora incerta.
Governance e territori (dimenticati) per gli investimenti green
Tra i criteri imposti per ottenere il label ci sono inoltre quelli relativi alla governance. INFRA richiede determinati standard in termini di trasparenza e anticorruzione. Ma grande assente è la consultazione del territorio. Non è discriminante per l’ottenimento del bollino il coinvolgimento delle comunità interessate dai progetti. Un tema in passato oggetto delle critiche di ong e movimenti a proposito di progetti simili.
C’è poi il tema della reputazione di coloro i quali hanno promosso questa iniziativa. HSBC, ad esempio. Principale attore di FAST-INFRA, è uno degli istituti di credito più grandi e discussi del Pianeta. Tra i diversi scandali che la hanno riguardata, il più recente riguarda proprio la lotta al riscaldamento globale. L’Advertising Standards Authority, l’ente deputato a regolare il settore pubblicitario nel Regno Unito, ha vietato alcune campagne di marketing della banca. Motivo? HSBC vantava nei suoi spot politiche di riforestazione e riduzione delle emissioni, ma taceva sui 14 miliardi di sterline investiti in combustibili fossili. Una comunicazione ritenuta «ingannevole».
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I dubbi su HSBC e IFC
Non va meglio all’International Finance Corporation (IFC), uno degli organi operativi della Banca Mondiale e promotore di FAST-INFRA. Non solo la casa madre è recentemente finita al centro delle polemiche per i suoi investimenti anti-ecologici e le posizioni climatoscettiche del suo presidente. La stessa IFC ha anche violato le proprie policy ambientali finanziando almeno dieci centrali a carbone nell’ultimo decennio. A denunciarlo nell’aprile di quest’anno è stata l’ombudsman dell’agenzia.
Se allarghiamo lo sguardo a tutte le realtà coinvolte, poi, le ombre aumentano. BNP Paribas e JP Morgan: entrambi finiti sotto la lente degli analisti per legami con l’industria fossile o altri settori ad alto impatto negativo.
A spiccare è poi l’assenza di ong, enti di ricerca indipendenti e altri pezzi della società civile con una storia coerente di contrasto alle disuguaglianze e alle devastazioni ambientali. Nessun attore con un curriculum di questo tipo è stato coinvolto nella definzione dei criteri necessari all’ottenimento del label.
Un’etichetta ci salverà?
La notizia dell’entrata in funzione di FAST-INFRA è arrivata dunque nel bel mezzo della Cop27. Proprio per tentare di rispondere alla domanda: come trovare i soldi per la transizione. Ma questo genere di soluzioni – incentivi rivolti ad investitori privati – sembrano aver perso l’appeal che potevano avere 10 o 15 anni fa.
Tante sono le soluzioni di mercato tentate in questo lasso di tempo – dal mercato per lo scambio di quote di emissione agli indici ESG. Fino a sistemi di label e tassonomie. Altre sono uscite proprio dalla Cop di Sharm el-Sheikh: come nel caso dello schema assicurativo globale per i Paesi più poveri, il Global Shield, proposto da Germania e Ghana. Ma gli effetti rischiano di essere limitati.
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Indirizzare i fondi privati in direzione più sostenibile, insomma, è assolutamente necessario. Ma al contempo serve un impegno diretto del settore pubblico Con l’imposizione di regole che vadano oltre il volontarismo degli investitori. Sopratutto dopo una Cop in cui il tema centrale è stato il reperimento di fondi per la ricostruzione post-eventi meteorologici estremi nelle nazioni più vulnerabili. Un settore in cui ben pochi attori finanziari sembrano essere disposti ad investire senza importanti ritorni economici. Al di là di qualunque bollino verde.