Nella democrazia sospesa di Genova, leggevamo nel futuro
Da Genova 2001 a Genova 2021. Dalle proteste contro il G8 al futuro da disegnare. Per ricordare e per darci una speranza
Mi ricordo la prima volta che ho sentito pronunciare la parola “femicidio”: sotto al tendone bianco faceva caldissimo. Sì, era a Genova, 2001. Si parlavano cinque o sei lingue diverse nello spazio di pochi metri, si sorrideva agli sconosciuti mentre si passava da un incontro all’altro, da un ragionamento all’altro. Clima, agricoltura, salute, diritti, disuguaglianze, migrazioni, i rischi di una globalizzazione che metteva al centro del suo interesse le merci anziché le persone.
A Genova, in quel luglio bollente, era stato già detto tutto: tutto quello che sarebbe successo nei vent’anni successivi. Tutti i problemi che sarebbero inevitabilmente esplosi, tutte le storture di un sistema che sarebbe peggiorato – e anche alcune soluzioni, contromisure, inversioni di rotta possibili. «Un altro mondo è possibile», si diceva. Questo era Genova, prima. Poi lo Stato ha sospeso la democrazia.
Venti anni dopo
Genova per noi
Sono passati vent’anni dal summit del G8 di Genova del 2001. Dalla repressione nel sangue di idee e proposte che, oggi, è impossibile non ritenere in larghissima parte giuste. …
Per anni abbiamo parlato solo del sangue
Per anni, dopo, abbiamo parlato solo del sangue. Certo, è normale: è stato un massacro di civili in tempo di pace, i diritti umani sono stati buttati in una cella e minacciati di stupro. Persone nei sacchi a pelo sono passate dal sonno alla sala operatoria. È normale che per anni si sia parlato solo di quello. Anzi, se n’è parlato troppo poco. E vent’anni dopo è giusto continuare a farlo, ma forse dovremmo fare lo stesso esercizio di memoria su Genova prima. Perché stava già tutto lì.
«Un altro mondo è necessario»
La salute, l’accesso ai farmaci e alle cure, le multinazionali del settore, i cittadini dei Paesi ricchi che sarebbero sopravvissuti mentre i poveracci morivano senza medicinali, troppo cari e protetti da brevetto. Ricorda qualcosa? Allora l’emergenza sanitaria mondiale era l’epidemia di HIV, ma il discorso di Genova non si fermava lì.
È chiaro, si diceva nelle piazze tematiche, che in un mondo globalizzato la salute di ogni Paese è la salute di tutti i Paesi? Che le malattie non si fermano alle frontiere? Che proteggere la salute globale non è solo una questione di giustizia, ma di furbizia? Che al centro dei sistemi sanitari e della ricerca scientifica va messo il paziente, non il profitto? Vent’anni fa non sapevamo che sarebbe arrivato il SARS-CoV-2. Ma sapevamo esattamente – e lo dicevamo – come sarebbe andata a finire una pandemia in quel sistema lì. In questo sistema qui.
Si parlava di clima, risorse, guerre, agricoltura intensiva: ricorda qualcosa?
Il clima, il consumo del Pianeta e delle risorse, il costo umano di questo sfruttamento; in poche ore e tante lingue si sentivano parole come agricoltura intensiva, diamanti sporchi e bambini soldato. Dissesto idrogeologico, chilometro zero, coltan e machete, profughi climatici, l’ambiente, l’ambiente, l’ambiente. Ricorda qualcosa? A Genova si leggeva nel futuro. Il futuro è oggi, ed è pure peggio di quel che si diceva allora, perché niente è stato fatto per invertire la rotta.
E il diritto di muoversi. Il corteo dei migranti, i tavoli a ragionare di sans papier e del sistema che trasforma gli esseri umani in “clandestini”. Sempre più soldi spesi per costruire muri sempre più alti, e sistemi di sorveglianza sempre più tecnologici, frontiere sempre più blindate, più letali. Ricorda qualcosa? Già. Forse a Genova non avremmo immaginato – almeno, io no di sicuro – che vent’anni dopo avremmo letteralmente lasciato annegare le persone in mezzo al Mediterraneo, il fossato della Fortezza Europa. Ma il copione era già scritto, esposto e illustrato nelle piazze, sotto le tende, in quei giorni del prima.
L’intervista
«I no-global avevano ragione. Oggi il liberismo è come uno zombie»
Da Genova ai giorni nostri: genesi, repressione e eredità del movimento no-global. Intervista all’economista Mario Pianta
A Genova dissero: «Nessun nuovo mondo possibile»
«Un altro mondo è possibile», diceva quell’enorme movimento di popolo, un popolo di tutto il mondo, che stava fuori dalla zona rossa di Genova. La risposta di chi sedeva dentro, la conosciamo. Hanno chiuso la bocca a Genova con un massacro: nessun nuovo mondo possibile. Vent’anni dopo, tutto è più drammatico, urgente e complicato. I cambiamenti climatici minacciano l’estinzione umana. La maggior parte della ricchezza del Pianeta è nelle mani di sempre meno persone. Chi si può vaccinare e chi muore per terra fuori dall’ospedale. Io sono finita ad occuparmi del cimitero liquido.
«Io sono finita ad occuparmi del cimitero liquido»
In un certo senso, chi ha ordinato di massacrare i civili a Genova non ha ucciso solo Carlo Giuliani, ma ha puntato la pistola contro i suoi stessi figli, nipoti e pronipoti. Perché se si fossero affrontati davvero i temi di Genova, di Genova prima, oggi vivremmo in un posto migliore. Tutti, anche quelli dall’altra parte del filo spinato, del manganello o del fucile.
Genova 2001, gridavamo «Un altro mondo è possibile». Genova 2021, diciamo «Un altro mondo è necessario». E andiamo avanti, nonostante tutto, a costruirlo.