L’ospitalità, il fattore economico che può rilanciare l’identità europea

L'ospitalità è un bene comune che ha contraddistinto i popoli europei da secoli e garantito la crescita al Continente. Quando è stata negata, ha scatenato guerre

Luigino Bruni
Luigino Bruni
Leggi più tardi

Il progetto Welcome della Caritas di Benevento, e il Manifesto della rete dei piccoli comuni della Campania, è un canto all’ospitalità, quindi è un canto meraviglioso. Il dovere di ospitalità è il muro maestro della civiltà occidentale. È l’abc dell’umanità buona.

Lo straniero portava una presenza divina

Nel mondo greco, il forestiero era portatore di una presenza divina. Sono molti i miti dove gli dei assumono le sembianze di stranieri di passaggio. L’Odissea è anche un grande insegnamento sul valore dell’ospitalità (Nausicaa, Circe…) e sulla gravità della sua profanazione (Polifemo, Antinoo).

Odissea: Ulisse e PolifemoL’ospitalità era regolata nell’antichità da veri e propri riti sacri, espressione della reciprocita di doni. L’ospite ospitante era tenuto al primo gesto di accoglienza e, nel congedarlo, consegnava un “regalo d’addio” all’ospite ospitato, il quale dal canto suo doveva essere discreto e soprattutto riconoscente.

L’ospitalità è un rapporto (ed è bello che in italiano ci sia un’unica parola, ospite, per dire colui che ospita e colui che è ospitato).

Al forestiero che si accoglieva a casa non veniva chiesto né il nome né l’identità, perché era sufficiente trovarsi di fronte a uno straniero in condizione di bisogno affinché scattasse la grammatica dell’ospitalità. La reciprocità delle relazioni d’accoglienza era alla base delle alleanze tra persone e comunità, che componevano la grammatica fondamentale della convivenza pacifica tra i popoli.

Violare l’ospitalità è alla base delle guerre

La guerra di Troia, l’icona mitica di tutte le guerre, nacque da una violazione dell’ospitalità (da parte di Paride). La civiltà romana continuòa riconoscere la sacralitàdell’ospitalità, che veniva anche regolata giuridicamente. La Bibbia, poi, èun continuo canto al valore assoluto dell’ospitalità e dell’accoglienza dei forestieri, che, non di rado, vengono chiamati “angeli”.

Il primo grande peccato di Sodoma fu rinnegare l’ospitalità a due degli uomini che erano stati ospiti di Abramo e Sara alle Querce di Mamre (Genesi, 18-19), e uno degli episodi biblici più raccapriccianti è una profanazione dell’ospitalità – lo stupro omicida dei beniaminiti di Gabaa (Libro dei Giudici, 19).

Il Cristianesimo raccolse queste tradizioni sull’ospitalità, e le interpretò come una declinazione del comandamento dell’agape ed espressione diretta della predilezione di Gesù per gli ultimi e i poveri: «Ero straniero e mi avete accolto» (Matteo 25, 35).

Solo i popoli barbari non riconoscono l’ospite

In quelle culture antiche, dove vigeva ancora la “legge del taglione”, dove non era riconosciuto quasi nessuno dei diritti dell’uomo che l’Occidente ha conquistato e proclamato in questi ultimi secoli, l’ospitalità fu scelta come prima pietra di civiltà dalla quale è poi fiorita la nostra.

In un mondo molto più insicuro, indigente e violento del nostro, quegli antichi uomini capirono che l’obbligo di ospitalità è essenziale per uscire dalla barbarie. I popoli barbari e incivili sono quelli che non conoscono e non riconoscono l’ospite.

Polifemo è l’immagine perfetta dell’inciviltà e della disumanità perché divora i suoi ospiti invece di accoglierli. L’ospitalità è la prima parola civile perché dove non si pratica l’ospitalità si pratica la guerra, e si impedisce lo shalom, cioè la pace e il benessere.

Smettiamo allora di essere civili, umani e intelligenti quando interrompiamo la pratica antichissima dell’ospitalità. E se l’ospitalità èil primo passo per entrare nel territorio della civiltà, la sua negazione diventa automaticamente il primo passo per tornare indietro verso il mondo dei ciclopi, dove regnano solo la forza fisica e l’altezza.

Ospitalità, bene comune

I popoli saggi sapevano che l’ospitalità conviene a tutti, anche se individualmente costa a ciascuno. Per questo occorre proteggerla e parlarne molto bene, se vogliamo che resista nei tempi degli alti costi. La reciprocità dell’ospitalità non è un contratto, perché non c’è equivalenza fra il dare e il ricevere, e soprattutto perché il mio essere accogliente oggi non genera nessuna garanzia di trovare accoglienza domani quando ne avrò bisogno. Non esiste un contratto di assicurazione per la non accoglienza domani di chi è stato accogliente oggi.

Per questo l’ospitalità è un bene comune, e quindi fragile. Come tutti i beni comuni viene distrutto se non è sostenuto da una intelligenza collettiva più grande degli interessi individuali e di parte. Ma come tutti i beni comuni, una volta distrutto il bene non c’è piùper nessuno ed è quasi impossibile ricostruirlo.

Lo spirito buono vs. lo spirito non intelligente

L’Europa è nata dall’incontro tra umanesimo giudaicocristiano e quello greco e romano fondati sull’ospitalità.

Ma in Occidente è sempre rimasta viva anche l’anima beniaminita e polifemica, dominante per lunghi periodi, sempre bui. È l’anima che vede gli ospiti solo come minacce o prede. Oggi questo spirito buio, incivile e non-intelligente sta riaffiorando, ed è urgente esercitare il prezioso esercizio del discernimento degli spiriti.

Evitando, ad esempio, di credere a chi ci racconta che Polifemo ha divorato i compagni di Ulisse perché sarebbero stati in troppi a bordo e la nave poteva affondare nel ritorno verso Itaca, o che i beniaminiti volevano incontrare gli ospiti di Lot solo per controllarne i documenti. Il riconoscimento del valore e del diritto dell’ospitalità viene prima di tutte le politiche e le tecniche per gestirla e renderla sostenibile.

Mattarella: confini e migranti, “non cedere all’emotività”L’ospitalità è uno spirito, uno spirito buono. Quando non c’è si vede, si sente. Gli spiriti vanno conosciuti, riconosciuti e chiamati per nome, e quelli cattivi vanno semplicemente cacciati via.

Risorgere dalla grave crisi spirituale

Nella casa degli umani se non c’è posto per l’altro non c’è posto neanche per me. Sta scritto: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo» (Lettera agli Ebrei).

Un’Italia che non ti aspetti, è vero; ma l’Italia sarà capace di risorgere dalla grave crisi spirituale e ideale nella quale è precipitata da alcuni decenni, se prendendo esempio da Welcome saprà rimettere l’ospitalità a suo muro maestro. Lo abbiamo saputo fare più volte in passato, dopo le grandi guerre, dopo le morti dei bambini, dopo le follie del fascismo. E se lo abbiamo saputo fare, possiamo farlo ancora. Grazie alla Caritas di Benevento, che ha scritto nel suo nome il suo destino – nomen omen.

Quando, infatti, i cristiani di Roma dovettero tradurre la parola greca (agape) che gli Paolo e poi gli evangelisti avevano scelto per dire quell’amore diverso che avevano imparato da Gesù, scelsero charitas.

Amore, gratuità, economia

Presero una parola commerciale, caritas, che esprimeva (ed ancora esprime) ciò che è caro, ciò che costa. Scelsero una umile parola dell’economia per dire la parola umana più alta di tutte, così alta da sfiorare il cielo. Ma ci misero una h’ (charitas), per dire che per quell’amore nuovo e diverso la vecchia parola commerciale non bastava: c’era bisogno anche della gratuità, cioè della charis. E così inventarono la splendida parola charitas, per dire insieme amore, gratuità e… economia – c’è molta economia nella Bibbia, e molta Bibbia nell’economia. La gratuità per poter cambiare il mondo ha bisogno dell’economia di tutti. L’economia della salvezza non è piena senza la salvezza dell’economia. Perché l’acca della gratuità senza la semplice caritas dell’economia resta una acca muta. Welcome ridona l’acca alla chiesa, e alla societa italiana.

* Luigino Bruni è ordinario di economia politica e storia del pensiero economico all’università Lumsa di Roma. È uno dei massimi esperti sull’economia di comunione e sull’economia civile. È promotore e cofondatore della SEC – Scuola di Economia Civile.

** Il presente testo è apparso come prefazione del libro “L’Italia che non ti aspetti – Manifesto per una rete dei piccoli comuni del Welcome” (di Nicola De Blasio, Gabriella Debora, Giorgione Angelo Moretti. Ed.Città Nuova, 2018).