Con la pioggia o sotto il sole: food delivery e sostenibilità
Cosa vuol dire “sostenibilità” per i rider del food delivery, costretti a stare per strada proprio quando il meteo è insostenibile?
In questo spazio raccontiamo la nostra idea di sostenibilità a tavola. Parliamo di materie prime, di pratiche commerciali o agricole, di grandi colossi del settore o di piccole realtà che costruiscono modelli alternativi. Una volta al mese pubblichiamo una ricetta, firmata dalla vincitrice di Masterchef 2024 Eleonora Riso, per mostrare la nostra idea sostenibilità nel piatto.
Abbiamo scelto un approccio globale: dal seme che entra nella terra agli scarti dei pasti. Con tutto quello che ci passa di mezzo. Per questo, oggi parliamo di food delivery. Parliamo dei lavoratori e delle lavoratrici che si occupano di consegnare il nostro cibo al tempo della crisi climatica. Cosa vuol dire “sostenibilità” per chi è costretto a scendere in campo (per strada) proprio quando le condizioni meteorologiche si fanno meno sostenibili?
Con la pioggia o sotto il sole
Non c’è niente di più confortevole che rientrare dopo una giornata di lavoro, quando fuori diluvia o se il caldo asfissiante ha già fiaccato la tua giornata, e ricevere una cena pronta proprio sulla soglia di casa. Spesso senza alcuna interazione umana. Apriamo un’app dai nostri dispositivi, scegliamo quale pasto risponde alle nostre esigenze e ai nostri desideri e in un ragionevole lasso di tempo siamo seduti a tavola o stravaccati sul divano a consumarlo. È tutto talmente comodo che dimentichiamo che esistono persone che, fisicamente, lo rendono possibile. Lo abbiamo visto lo scorso ottobre durante l’alluvione in Emilia Romagna, mentre eravamo a Modena per il nostro festival e guardavamo le immagini delle prime denunce dei rider costretti a lavorare sotto una pioggia battente, sferzati dal vento, con le strade allagate.
Succede in tutto il mondo. Se il tuo lavoro consiste nel portare cibo ad altre persone e vieni pagato solo se quel cibo viene consegnato, in rapporto a quanto ne consegni, la pioggia non può fermarti. Non può un’alluvione, non possono temperature prossime allo zero o sopra i 35°. Altrimenti quello che non mangia potresti essere tu.
In bicicletta all’inferno
Il 2024 è stato l’anno più caldo di sempre e se c’è una cosa che stiamo imparando è che temperature troppo alte sono pericolose per la salute. Se non facciamo qualcosa per mitigare la crisi climatica e adattare le nostre città ai suoi effetti, il caldo estremo in Europa ucciderà più di due milioni di persone entro la fine di questo secolo.
I rider sono pericolosamente esposti. Più aumentano le temperature, maggiore è la tendenza a ordinare cibo a domicilio. Così i soggetti fragili evitano il pericolo di colpi di calore o a disidratazione. Rischi che però si trasferiscono su chi effettuerà le consegne. Succede in Cina, il più grande mercato di food delivery del mondo, con 12 milioni di rider che suonano alle porte di 500 milioni di persone ogni anno. Ma tutto il mondo è Paese, come dimostrano i dati di Paraguay, India e Stati Uniti.
Se aumenta la difficoltà della consegna, aumenta anche il suo costo. E se le tue entrate dipendono da ogni singolo campanello che suonerai, a maggior ragione vorrai suonarne di più. A volte oltre ogni ragionevolezza, quando la tua città è devastata dalle conseguenze di un uragano. Non è nemmeno detto che questi guadagni finiscano nelle tue tasche. Magari le conseguenze del maltempo ti fanno ritardare una consegna. Magari invece ti ammali, e quei soldi li spendi per curarti.
Tutelare i lavoratori del food delivery
La non profit Los Deliveristas Unidos sta lavorando insieme al governo di New York per garantire maggiori tutele ai lavoratori del food delivery. Gran parte dei rider – come intuibile dal nome dell’organizzazione – è costituita da una forza lavoro spesso immigrata. Provengono da settori fragili e di per sé marginalizzati, e sono ulteriormente esposti agli effetti della crisi climatica. Nella città si stanno diffondendo hub dove è possibile ricaricare la propria ebike o semplicemente fare una pausa, specie se il clima fuori è proibitivo.
In India sono intervenute le stesse aziende di consegna, che hanno allestito punti di ristoro con acqua e servizi igienici. Si tratta di interventi residuali rispetto a questioni ben più complesse. E che non possono essere risolte dalla meccanizzazione che, invece, mette in allarme i lavoratori perché potrebbe sostituirli.
In Europa l’approccio alla tutela dei lavoratori del food delivery passa da un processo di sindacalizzazione che, proprio in Italia, ha visto uno sviluppo cruciale. È cominciato nelle piazze di Bologna dove i rider, in attesa delle consegne, hanno cominciato a conoscersi e confrontarsi sulla propria condizione. E a mobilitarsi, a scioperare.
Riders Union di Bologna
Tutto è iniziato il 13 novembre 2017, con lo “sciopero della neve”. I rider hanno deciso, di comune accordo, di astenersi dal lavoro. Quella scelta ha aperto una fase di proteste e azioni dimostrative in città, che hanno attirato l’attenzione dell’amministrazione. È nato un tavolo di negoziazione metropolitana. Da un lato le piattaforme, dall’altra le istituzioni cittadine, a tutela di lavoratori. Quel percorso ha portato alla Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale, firmata da Riders Union, sindacati confederali e due piattaforme locali: la bolognese Sgnam e la padovana My Menù.
L’accordo raggiunto ha liberato i lavoratori del delivery da tutti i limiti del lavoro parasubordinato per equipararli a lavoratori della logistica. Con retribuzioni adeguate al contratto collettivo nazionale del settore, assemblee retribuite, indennità di maltempo e lavoro festivo. Mancavano i grandi attori. Glovo e Deliveroo disinteressati all’interlocuzione. Just Eat ha disertato il tavolo quando è stata messa sul piatto la prospettiva di paga oraria, per smantellare il meccanismo del cottimo.
La contrattazione nazionale
Quel processo destò l’interesse del governo Conte I. Il giorno del suo insediamento, l’allora ministro del Lavoro Luigi Di Maio incontrò i lavoratori di Riders Union. Nel frattempo la Nidil-Cgil (la categoria rappresentativa dei lavoratori atipici) cominciò a interessarsi alla questione. Nacquero tavoli nazionali, e il governo pareva inseguire la soluzione spagnola: riconoscere i riders come lavoratori subordinati.
Lo strumento avrebbe dovuto essere un articolo del decreto dignità, che però non è riuscito a vedere la luce per l’opposizione delle piattaforme. Congelata la legge, si convocò un tavolo di trattativa. Nel frattempo i rappresentanti delle piattaforme globali si riunirono in un’associazione di categoria: Assodelivery, un gigante con il monopolio del mercato nazionale. Dopo anni di discussione, avanzamenti e perdite di terreno, siamo arrivati alla situazione attuale, con due differenti modelli. Il primo è nato da un accordo tra Assodelivery e un’associazione di rappresentanza dei riders di dubbia provenienza, confluita nell’UGL Riders, che muta di poco le condizioni di lavoro e che continua a subordinare le retribuzioni alle consegne. Questo accordo ha generato proteste, l’uscita di JustEat da Assodelivery e un nuovo confronto con i sindacati confederali. Ne è scaturito il secondo modello, basato sul diritto del lavoro e inserito nella cornice del contratto collettivo nazionale della logistica.
La direttiva europea
A dicembre 2021 la Commissione europea ha pubblicato la sua proposta di direttiva sul tema. Il testo stabilisce cinque criteri secondo i quali un lavoratore può definirsi subordinato. Un tetto massimo alla retribuzione stabilito dall’imprenditore; requisiti vincolanti come codici di condotta o abbigliamento; lavoro monitorato attraverso mezzi elettronici; l’organizzazione del lavoro, la scelta di assentarsi o di svolgere un determinato turno non libere; assenza della possibilità di costruire una base di clientela autonoma. In presenza di due di queste cinque condizioni, il lavoro può definirsi subordinato e va tutelato come tale.
Il passaggio al Parlamento ha ammorbidito il testo; quello in Commissione lo ha indebolito ulteriormente. Nel frattempo ci sono stati i primi forum europei dei sindacati impegnati sul tema. Nel 2022 si sono riuniti a Vienna, nel 2023 a Madrid.
Il 13 dicembre 2023 è stato licenziato il testo definitivo della direttiva, approvato lo scorso ottobre. La norma prevede che il monitoraggio della gestione delle risorse umane da parte degli algoritmi e la possibilità, per i lavoratori, di contestare le decisioni automatizzate. In particolare, però, impone anche ai governi di intervenire sul fenomeno del lavoro autonomo fittizio, stabilendo quando invece si tratta di lavoro subordinato. Il testo è entrato in vigore il 1 dicembre. Gli Stati membri dovranno recepirla entro il 2 dicembre 2026.