L’alleanza della finanza per il clima continua a finanziare le fonti fossili
Altre ombre sulla Glasgow Financial Alliance for Net Zero: centinaia di società firmatarie continuano a investire nelle fonti fossili
Siglare formalmente un’alleanza – la più vasta, pubblicizzata e ambiziosa – che ha come obiettivo l’azzeramento delle emissioni nette di gas serra entro il 2050. E, nel frattempo, distribuire centinaia di miliardi a carbone, petrolio e gas naturale. È il macroscopico paradosso in cui sono incappati i principali firmatari della Glasgow Financial Alliance for Net Zero. Un paradosso smascherato da un report scritto da tredici organizzazioni non governative, tra cui Reclaim Finance, Rainforest Action Network e Urgewald.
I dubbi sulla Glasgow Financial Alliance for Net Zero
Era in corso la Cop26, la Conferenza delle parti sul clima di Glasgow, quando l’ex-governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney e il magnate dell’editoria Michael Bloomberg battezzavano la Glasgow Financial Alliance for Net Zero. Cioè un’alleanza con cui asset manager, banche e compagnie di assicurazione si impegnano ad accelerare la decarbonizzazione dell’economia globale. Ad oggi le adesioni sono circa 550, per un totale di 150mila miliardi di dollari di asset in gestione.
Troppo bello per essere vero? Forse sì. Perché, ben presto, quest’iniziativa apparentemente lodevole inizia a mostrare le prime crepe. Dopo meno di un anno dal suo debutto, il Guardian scova un cavillo che permette ai firmatari di mantenere gli investimenti nel carbone. Il nuovo report delle ONG, pubblicato durante il World Economic Forum di Davos, dimostra che il sospetto è fondato. Anzi, il carbone è in buona compagnia.
Centinaia di miliardi a carbone, petrolio e gas
I ricercatori sono andati a spulciare tra gli investimenti di 161 istituti finanziarie che fanno parte della Glasgow Financial Alliance for Net Zero. Per la precisione 56 banche, 58 asset manager, 42 investitori istituzionali (asset owner) e 15 compagnie di assicurazione. Ciascuna di queste categorie fa capo a una sotto-alleanza settoriale. I dettagli sui target dunque variano leggermente, ma tutte sono partner della campagna Race to Zero delle Nazioni Unite, il che impone di eliminare gradualmente il supporto per nuovi progetti legati ai combustibili fossili. Un criterio tanto chiaro quanto ignorato.
Da quando si sono unite alla Glasgow Financial Alliance for Net Zero fino ad agosto del 2022, le 56 banche hanno infatti fornito 270 miliardi di dollari, tra prestiti e sottoscrizioni, a 102 società del ramo dei combustibili fossili. Società che si sono messe all’opera per portare in produzione altri 137 miliardi di barili equivalenti di petrolio e altri 92 Gigawatt di energia dal carbone (all’incirca l’attuale capacità del Giappone sommata a quella del Sudafrica). Un esempio tra tutti: Citi, BNP Paribas, HSBC, Mitsubishi UFJ e Société Générale hanno contribuito a un maxi-prestito da 10 miliardi a Saudi Aramco. Passando ai 58 asset manager, si scopre a settembre 2022 detengono almeno 847 miliardi di dollari in azioni e obbligazioni di 201 compagnie intente ad allargare la produzione di combustibili fossili.
Da Citigroup a Barclays, ecco chi foraggia l’espansione delle fossili
Non stiamo dunque parlando genericamente di società che operano nel comparto dell’energia, ma di aziende che stanno incrementando la produzione di combustibili fossili. Cosa apertamente incompatibile con l’obiettivo di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi, come confermato dall’Agenzia Internazionale per l’Energia. Sui 161 membri della Glasgow Financial Alliance for Net Zero che sono stati presi in esame, soltanto 61 hanno una policy che limita il sostegno a chi è impegnato in nuovi progetti legati al carbone. Di queste 61, solo nove hanno una policy ritenuta rigorosa: tutte francesi, più l’italiana Unicredit.
Un’altra forma di greenwashing
Le Nazioni Unite: tolleranza zero verso il “net zero-washing”
Alla Cop27 l’Onu lancia le linee guide, già annunciate a Glasgow, per impegni Net Zero credibili. Sarà la svolta nella lotta al greenwashing?
Quest’ultima infatti non è indicata tra i finanziatori del carbone ma «solo» di petrolio e gas naturale, con 948 milioni di dollari. Gli altri due nomi italiani citati nello studio sono quelli di Intesa Sanpaolo (157 milioni al carbone e 1,5 miliardi a petrolio e gas) e di Eurizon Capital (300 milioni di investimenti nel carbone e 1,7 miliardi in petrolio e gas). Guardando alle big finanziarie d’Oltreoceano e d’Oltremanica, le cifre sono stratosferiche. Citigroup ha approvato 136 transazioni che hanno fornito direttamente, o facilitato, 30 miliardi di dollari in capitali ad aziende del calibro di Saudi Aramco, QatarEnergy e Gazprom. Barclays ne ha approvate 58, per un totale di almeno 9 miliardi. Entrambe sono tra i membri fondatori della Glasgow Financial Alliance for Net Zero.
Il greenwashing della Glasgow Financial Alliance for Net Zero nuoce a chi agisce davvero per il clima
«La scienza è molto chiara. Dobbiamo smettere di sviluppare nuovi progetti di carbone, petrolio e gas il prima possibile, se vogliamo raggiungere i nostri obiettivi climatici ed evitare lo scenario peggiore». A ricordarlo è ricorda Lucie Pinson, fondatrice e direttrice esecutiva di Reclaim Finance.
«Eppure – prosegue – questa è la normalità per la maggior parte delle banche e degli investitori che continuano a sostenere chi sviluppa combustibili fossili senza alcuna restrizione, nonostante i loro impegni di alto profilo per la carbon neutrality. Il loro greenwashing è tanto più dannoso in quanto mette in dubbio la sincerità di tutti gli impegni per il net zero e mina gli sforzi di coloro che agiscono davvero per il clima».