Clima, Glencore nel mirino di un gruppo di investitori
Un gruppo di azionisti del colosso minerario Glencore depositerà una risoluzione per chiedere trasparenza sulla strategia climatica
Il colosso minerario Glencore deve dimostrare che la sua strategia aziendale sia davvero allineata all’Accordo di Parigi. A chiederlo è un gruppo di investitori, tra i quali il fondo australiano Vision Super, la società di gestione Legal & General Investment Management, HSBC Asset Management e la Fondazione Ethos. Quest’ultima fa parte di Shareholders for Change (SfC), rete europea di azionisti attivi creata su iniziativa, tra gli altri, di Fondazione Finanza Etica.
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Glencore vuole continuare a sfruttare le miniere di carbone
La ragione per la quale ci si è concentrati proprio su Glencore è semplice. La società anglo-elvetica, al contrario di quanto fatto da numerosi suoi concorrenti, ha deciso di conservare le proprie miniere. Ciò al fine di sfruttarne i giacimenti fino al loro esaurimento.
Una politica che cozza con gli impegni assunti dalla comunità internazionale in materia di limitazione del riscaldamento globale. Per centrare l’obiettivo più ambizioso dell’Accordo di Parigi (limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 1,5 gradi centigradi, alla fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali) dovremo lasciare sottoterra tutte le fonti fossili che non abbiamo ancora estratto. E smettere di usare il prima possibile quelle già a disposizione.
La strategia poco convincente del colosso anglo-elvetico
La richiesta degli investitori a Glencore prenderà la forma di una risoluzione che sarà depositata nel corso della prossima assemblea generale, prevista per il mese di maggio. Si tratta di un documento “pesante” se si tiene conto che il gruppo che l’ha sottoscritto vale oltre duemila miliardi di dollari in termini di asset gestiti.
Per loro, infatti, non è bastato l’impegno della compagnia mineraria assunto nel 2019. Che prevedeva di ridurre progressivamente le proprie emissioni. Fino ad arrivare alla carbon neutrality (l’azzeramento delle emissioni nette di CO2) entro il 2050. Inoltre, l’azienda ha promesso la chiusura di dodici miniere e, nell’immediato, ha rinunciato ad aprire una nuova in Australia.
Troppo poco, però, per convincere gli azionisti. Che nello scorso mese avevano già votato contro il piano sul clima della compagnia. Anche perché i concorrenti diretti – Rio Tinto, Anglo American o ancora BHP – hanno promesso impegni ben più stringenti in materia di decarbonizzazione dei loro business. A partire dalla cessione degli asset più nocivi in termini di emissioni climalteranti.
Per Glencore 9,5 miliardi di dollari di profitti solo dal carbone
Né è bastata la “giustificazione” addotta da Glencore. Secondo la quale sarebbe più responsabile conservare i business piuttosto che venderli, per poter reinvestire i proventi nei metalli utili per la transizione ecologica, come rame, nichel o cobalto.
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Difficile, d’altra parte, credere ad un reale impegno sul fronte climatico, da parte di un’azienda che, nel 2021, ha estratto più di 100 milioni di tonnellate di carbone. Ovvero la fonte fossile in assoluto più dannosa per il clima. Che, per l’azienda quotata a Londra, continua a garantire profitti giganteschi. Dei 18,9 miliardi di dollari incassati nel primo semestre del 2022, 9,5 sono arrivati proprio dall’estrazione di carbone.