Cellulari e computer senza terre rare sono ancora un’utopia?

Riparazione e riuso sono ad oggi le soluzioni migliori per affrancarsi dalla dipendenza di terre rare, il cui mercato è controllato in gran parte dalla Cina

Braccio di robot di alta tecnologia che afferra il chip CPU (processore) di un computer. ©gorodenkoff/Istockphoto

Le terre rare presentano delle proprietà elettriche, magnetiche e ottiche tali che la sostituzione con altre sostanze risulta ad oggi quasi impossibile. E comunque economicamente non conveniente.

La difficoltà nella separazione dei materiali, la presenza in prodotti complessi (come le apparecchiature elettriche ed elettroniche) e la mancanza di infrastrutture adeguate per la raccolta e la lavorazione fanno sì che il tasso di riciclo delle terre rare sia al momento inferiore all’1%. La chiave di volta, al momento, potrebbe essere il riuso e la riparazione delle componenti. Per permettere di far durare più a lungo smartphone e computer.

Fairphone: equosolidale e 100% riparabile

A gennaio del 2013 l’azienda olandese Fairphone ha avviato una campagna di crowdfunding per capire se ci fosse mercato per uno smartphone con elevati standard etici nell’approvvigionamento della materia prima, nelle condizioni di lavoro e nelle politiche ambientali. Una volta raggiunte le 25mila prenotazioni (in soli sei mesi), ha dato inizio alla produzione della prima edizione.

Moduli fotografici sostitiuibili di Fairphone 3+

Oggi Fairphone è alla terza generazione di cellulari, ed è lo smartphone più etico e facilmente riparabile oggi in commercio. La filiera del recupero e del riciclo dell’azienda olandese è talmente affinata che in pochi giorni è possibile reperire moduli sostitutivi recuperati da vecchi smartphone. E la riparazione può essere fatta anche da un utente poco esperto, con un cacciavite, quasi come se fosse un gioco della Lego.

Daisy, il robot smonta iPhone: anche Apple punta al riciclo delle terre rare

Anche Apple ha da tempo dichiarato di voler imboccare la strada della sostenibilità, del riciclo, dell’economia circolare e dell’impatto zero. Il primo obiettivo, come sottolineato nell’Apple Environmental Progress Report è quello dell’impiego di materiali riciclati e rinnovabili. Per realizzare prodotti più duraturi possibile. L’intento del colosso di Cupertino è infatti anche quello di contenere attività estrattive che tante polemiche hanno sollevato negli anni passati. In particolare per le condizioni dei lavoratori, ad esempio nelle miniere di cobalto e nell’approvvigionamento delle terre rare.

Per trattare i vecchi dispisitivi elettronici senza sprechi, Apple ha dunque costruito Daisy, un robot che smonta (200 melafonini all’ora) e recupera rapidamente dagli iphone i materiali che altri impianti di riciclo non sarebbero in grado di processare. Fra cui il tungsteno o le preziose terre rare, intorno alle quali si sviluppano forti tensioni geopolitiche.

Daisy, robot smonta Iphone di Apple

Apple divorzia da Intel: verso hardware “terre rare free”?

“Chiunque abbia davvero intenzioni serie col software dovrebbe creare da sé il proprio hardware”, è il mantra che alla Apple si ripetono da decenni. Ecco perché da tempo l’azienda fondata da Steve Jobs lavora per abbandonare del tutto Intel e introdurre un Silicon Apple chip (sistemi integrati, che contengono processori e altri elementi) anche sui Mac. La scelta, adottata per la prima volta nel 2020, mette in gioco un’enorme quantità di fattori.

Pur evitando dettagli troppo tecnici, basti sapere che la nuova tecnologia di Apple apporta notevoli vantaggi a livello di potenza ma con consumi nettamente inferiori. Il nuovo processore è minuscolo (5 nanometri, milionesimi di millimetro), consuma poco (un quarto dell’energia di un comune laptop) e permette di vendere i computer a un costo drasticamente inferiore. Ma oltre a potenza  e innovazione, le motivazioni che hanno guidato la ricerca sul campo sono anche ecologiche e ambientali. I pc scalderanno meno (addirittura MacBook Air non avrà bisogno di ventole di raffreddamento), il che dovrebbe tradursi anche in meno deterioramento.

Un chip al silicio per affrancarsi dalla Cina?

È noto che, da ormai più di un anno, Apple punta a ridurre al minimo la sua dipendenza dalla filiera produttiva cinese. Sebbene la pandemia abbia spostato in maniera importante il focus dell’attenzione mediatica dal problema, tra Stati Uniti e Cina è sorta negli ultimi anni un’aspra guerra commerciale. Combattuta anche a suon di dazi doganali.

Potrebbe non essere un caso, quindi, che la nuova tecnologia Apple abbia puntato su chip in silicio, che come conferma questo studio dell’università austriaca di Saint Pölten rappresenta “un sostituto” di una tecnologia imperniata sulle terre rare. La possibile indipendenza dalla Cina potrebbe passare dunque da uno sforzo economico e di ricerca e sviluppo. Verso una tecnologia totalmente “terre rare free”. Che, attualmente, sembra ancora un’utopia.