La concorrenza alla Cina? La farà la Groenlandia

L’appetito per le terre rare rende la Groenlandia un potenziale Eldorado. In grado perfino di minare lo strapotere cinese nel settore

Si stima che in Groenlandia possano essere presenti ingenti quantitativi di terre rare © Elizabeth M. Ruggiero/iStockPhoto

Una montagna spoglia, la vegetazione bassa, il lago Taseq appoggiato sul fianco meridionale. E il mare attorno punteggiato da blocchi di ghiaccio. Cercando “Kvanefjeld” su Google Maps appare un paesaggio tipico della Groenlandia. Uno come un altro, si potrebbe pensare. In realtà, tale nome sconosciuto per la maggior parte di noi, è ben noto alle grandi aziende del settore minerario. È qui infatti che si trova il quinto più importante giacimento di uranio dell’immensa isola artica. E, soprattutto, il secondo di terre rare

Nel sito di Kvanefjeld si stima ci siano 11 milioni di tonnellate di terre rare

Non a caso, su Kvanefjeld, da anni, sono puntati gli occhi della Greenland Minerals, società australiana che punta a sfruttare il sito per estrarre gli 11 milioni di tonnellate di terre rare che esso conserva (assieme a 270mila tonnellate di uranio). Il tutto con la presenza ineluttabile della Cina, ovvero della nazione che controlla il 90% della produzione mondiale. Alla società cinese Shenghe non è infatti sfuggito il potenziale di Kvanefjeld: per questo la compagnia ha deciso di acquistare il 12,5% del capitale della Greenland Minerals, per l’equivalente di 3,3 milioni di euro. Obiettivo: trattare 3 milioni di tonnellate di minerali all’anno. 

Il caso di Kvanefjeld non è isolato in Groenlandia. Aiutate dallo scioglimento dei ghiacci provocato dal riscaldamento globale, le compagnie minerarie sono in grado di giungere facilmente in luoghi che fino a poco tempo fa erano molto più impervi. Un appetito per l’isola che è stato confermato anche dalla vicenda che nell’estate del 2019 ha visto come protagonista l’ormai ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump

La proposta di Donald Trump di comprare la Groenlandia

Il miliardario americano, infatti, aveva fatto scalpore evocando la possibilità di comprare la Groenlandia, territorio autonomo legato al regno della Danimarca. Una dichiarazione che aveva provocato una crisi diplomatica con Copenaghen, ma che non andava considerata una semplice boutade. Sono proprio le materie prime (assieme alle nuove rotte commerciali) a rendere infatti così appetibile il territorio nordico. Per Washington e per Pechino, ma anche per la Russia.

Un paesaggio invernale della Groenlandia © RobertH82/iStockPhoto

Un tempo erano soprattutto gli interessi militari a spingere gli Usa in Groenlandia. Considerata una rampa di lancio (letteralmente) per estendere la propria influenza in Europa. Non a caso una prima offerta alla Danimarca fu recapitata dagli americani già nel 1947. A far gola oggi sono invece nichel, rame, oro. E le terre rare, appunto: come neodimio, praseodimio, disprosio e terbio. Indispensabili per la produzione di batterie elettriche, telefoni cellulari o ancora pale eoliche. 

Dopo un referendum tenuto nel 2008, il cui risultato è stato riconosciuto dalla Danimarca, alla Groenlandia è stata attribuita una serie di competenze. In particolare in materia giudiziaria e nella gestione delle risorse naturali. E dal momento che l’isola dipende ancora per circa il 60% dai finanziamenti concessi da Copenaghen, la risposta a Trump delle autorità di Nuuk fu negativa ma non priva di aperture. «La Groenlandia – aveva dichiarato Ane Lone Bagger, ministro degli Esteri – è ricca di materie preziose, di acqua dolce, di pesce, di energie rinnovabili e di turismo. Per questo decliniamo l’offerta ma siamo aperti a discutere di affari». 

La Cina controlla il 90% del mercato mondiale delle terre rare

L’isola nordica è cosciente del fatto che potrebbe porsi come autentico (e unico) rivale mondiale della Cina. Già un secondo progetto minerario è in cantiere, con un’altra azienda australiana, la Tanbreez Mining. Qualora dovessero essere avviati scavi e produzione, la posizione dominante della Cina verrebbe sensibilmente indebolita, come suggerito da un’analisi della testata economica francese La Tribune. 

«Via via che la calotta glaciale si scioglie – ha commentato al giornale svizzero Le Temps Mikaa Mered, docente di Geopolitica e Geoeconomia dei mondi polari presso l’istituto ILERI di Parigi – nuove territori diventano accessibili. Quante siano le risorse che si potranno estrarre è ancora ignoto». Secondo le compagnie, si renderanno disponibili immense quantità di terre rare, ma anche di zinco, uranio e ferro.

Intanto, nello scorso mese di settembre, la Greenland Minerals, nonostante forti proteste da parte della popolazione locale, ha ottenuto un importante risultato. Le autorità dell’isola si sono infatti dichiarate soddisfatte dall’analisi di impatto ambientale relativa al possibile sfruttamento di uranio e terre rare a Kvanefjeld. Ora l’ultima parola spetta al governo. Ma il partito socialdemocratico al potere, il Siumut, non sembra avere dubbi circa l’opportunità di sfruttare appieno il giacimento