Cosa significa essere “sostenibile”? L’importanza di fare chiarezza e gli ostacoli per l’Ue
Nel mondo della finanza il termine "sostenibile" vale miliardi. L'Ue è al lavoro per stabilire regole precise e definizioni univoche. Con molti intoppi
“Sostenibile”. Un termine alquanto inflazionato di questi tempi, di gran moda si potrebbe dire. Ormai non c’è azienda che non usi questo aggettivo sui propri canali informativi. Dichiarare di essere “sostenibili”, verso l’ambiente in particolare, sembra essere un must degli ultimi anni, dell’ultimo anno forse ancora di più.
Ma che cosa significa esattamente essere “sostenibili”? Significa non inquinare? O inquinare poco? Ma quanto poco? O anche solo un po’ meno dell’anno scorso? Significa usare lampadine a led nei propri uffici? O forse pagare per piantare alberi dall’altro capo del mondo per compensare le emissioni inquinanti che si rilasciano in Italia? Significa anche rispettare i diritti umani delle popolazioni dove si produce o quelli dei lavoratori dell’azienda? E magari anche pagare le tasse nel proprio paese?
Difficile rispondere a queste domande. O diciamo che ognuno potrebbe rispondere a modo suo. E così è stato, almeno per ora. Perché, fino ad ora, non esiste una definizione ufficiale di sostenibilità. E ogni azienda può usare questo termine come le pare e piace. Creando ovviamente una gran confusione nel consumatore. Facendo promesse, spesso generiche (e non verificabili). Tutto, nella maggior parte dei casi, come ennesimo “stratagemma” di marketing.
La finanza sostenibile salverà il Pianeta e ci farà uscire dalla crisi? L’Ue ci sta lavorando
La Commissione europea da 4 anni è al lavoro per “costruire” definizioni chiare e standard uniformi riguardo la finanza sostenibile. Facciamo il punto
La confusione attorno agli investimenti sostenibili
Ma parliamo di un ambito specifico, la finanza. Perché qui, ancor più, il termine “sostenibile” ha un peso. E una responsabilità. Perché chi propone un investimento “sostenibile” sta facendo una promessa che vale miliardi. Nel 2020 in Europa i fondi di investimento sostenibile hanno raccolto 223 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto al 2019.
Ma, anche in questo caso, il termine “sostenibile” non ha definizioni ufficiali. Fino ad oggi, infatti, non esisteva una definizione univoca di “investimento responsabile”. Ogni agenzia di rating Esg, ogni gestore finanziario, ogni fondo di investimento applicava i suoi criteri e la sua metodologia nella selezione del portafoglio di imprese sostenibili.
Dietro agli investimenti sostenibili c’era una gran “confusione”. Termine ideato dai ricercatori del celebre Mit, il Massachusetts Institute of Technology, in una ricerca pubblicata intitolata proprio “Aggregate Confusion: The Divergence of Esg Ratings”, ovvero “Confusione aggregata: la divergenza dei rating Esg”. E questa, per il Mit, non è una buona cosa. È una situazione che, causa notevoli problemi: «L’ambiguità attorno ai rating Esg è un ostacolo a un processo decisionale prudente che contribuirebbe a un’economia sostenibile».
Fare chiarezza
Investimenti responsabili: la grande “confusione” dietro le pagelle
Lo evidenzia uno studio del Mit: troppo diversi i voti delle agenzie di rating ESG. Senza criteri univoci ognuno definisce la sostenibilità a modo suo
Commissione europea al lavoro
Ed ecco, quindi, perché la Commissione europea da oltre 4 anni sta lavorando per fare chiarezza in questo mercato. Nel marzo del 2018 ha lanciato un enorme piano per creare un corpo di regole attorno alla finanza sostenibile: l’Action plan on sustainable finance. Il motivo alla base di questo impegno lo aveva esplicitato chiaramente: per salvare il Pianeta l’economia deve ridurre il proprio impatto, deve avvenire una vera rivoluzione. Una trasformazione costosa: 180 miliardi di euro all’anno. Tanto costerà la transizione a un’economia low carbon, secondo Bruxelles. E i fondi pubblici non basteranno: è necessario il contributo dei capitali privati, che dovranno essere orientati verso la finanza etica e sostenibile, investiti in attività economiche sostenibili. Fondamentale quindi definire chiaramente quali attività possano “meritarsi” questo attributo. Così è nato il lavoro attorno alla “tassonomia delle attività economiche sostenibili”.
Il perno del lavoro della Commissione europea attorno alla finanza sostenibile è proprio la tassonomia, la classificazione delle attività economiche che possono essere definite, appunto, “sostenibili” per l’ambiente. «Una guida pratica – scrive la Commissione – per politici, imprese e investitori su come investire in attività economiche che contribuiscano ad avere un’economia che non impatti sull’ambiente».
La strada tortuosa per il “vocabolario” degli investimenti sostenibili
Dopo 4 anni di lavoro, il regolamento sulla tassonomia c’è. Ed è entrato in vigore il 22 giugno 2020. Questo “vocabolario” della sostenibilità ambientale sarà un riferimento per il mondo della finanza responsabile, per indicare quanto sostenibile sia effettivamente un investimento; per i governi, per stabilire gli incentivi ad aziende green; per le aziende, per rendicontare il proprio impatto sull’ambiente.
Il 31 dicembre 2021 il primo blocco di criteri tecnici di selezione delle attività da considerare sostenibili diventerà operativo. Da quel momento chi proporrà investimenti sostenibili e responsabili (SRI) dovrà indicare la percentuale di allineamento alla tassonomia del proprio portafoglio investito.
Ma in realtà mancano ancora alcuni (importanti) dettagli, cioè i criteri tecnici per stabilire a quali condizioni un’attività possa essere definita sostenibile. Avrebbero dovuto essere pubblicati a fine 2020 sotto forma di Atti delegati, ma non è stato possibile.
Una prima bozza di questi atti delegati era stata redatta, dai 35 esperti del Tecnical expert Group (il Teg). Poi è arrivata la bozza definitiva scritta dalla Piattaforma per la finanza sostenibile, che si è insediata a settembre per iniziativa della Commissione europea. È stata sottoposta a una consultazione pubblica fino al 18 dicembre scorso. Ma è stata letteralmente sommersa da una valanga di commenti e critiche (oltre 46.000). E una decina di Stati hanno poi chiesto e ottenuto il rinvio degli atti delegati. Per cui al momento non c’è una data precisa.
Dall’ambiente ai diritti, i tasselli mancanti
Uno dei punti che ha ricevuto più critiche riguarda il gas come fonte energetica: in base ai criteri tecnici contenuti nella bozza degli atti delegati, non potrebbe essere considerato un combustibile di “transizione”. E, senza l’etichetta verde dell’Ue, le centrali elettriche a gas potrebbero perdere miliardi di euro di finanziamenti privati. Un problema in particolare per i Paesi dell’Europa orientale, dove gli impianti a gas a ciclo combinato stanno favorendo la transizione dal carbone.
Un altro dei punti dolenti riguarda la bioenergia prodotta con la combustione di alberi, che, in base alla tassonomia, sarebbe “sostenibile”. Ma per gli ambientalisti no. Lo stesso vale per le centrali idroelettriche, incluse tra le categorie sostenibili, ma che per molte Ong dovrebbero esserne escluse a causa dei danni per la biodiversità. Un altro punto dolente riguarda la plastica, considerata sostenibile dalla Tassonomia se “completamente prodotta mediante riciclaggio meccanico dei rifiuti di plastica” o mediante processi di riciclaggio chimico se vengono rispettati gli standard minimi di emissione.
Ma nel lungo lavoro della Commissione europea per definire la finanza sostenibile non c’è traccia (o quasi) di criteri sociali (uno dei 3 fattori chiave dell’ESG, environmental, social, governance). Viene solo specificato che dovranno essere rispettate soglie di salvaguardia minime in ambito sociale: l’allineamento alle linee giuda dell’Ocse per le multinazionali e ai Guiding Principles on Business and Human Rights delle Nazioni Unite.
E non vengono considerati neanche fattori la speculazione e l’evasione (o elusione) fiscale. «Il fattore sociale è fondamentale per un’economia sostenibile, quanto quello ambientale. Oggi questo è ancora più vero – aveva dichiarato a Valori Francesco Bicciato, presidente del Forum per la Finanza Sostenibile – Il coronavirus ha messo in luce l’importanza del fattore sociale anche per gli strumenti finanziari».
E anche Banca Etica, si sta battendo per ottenere un riconoscimento dei fattori sociali, accanto a quelli ambientali. Perché non può esistere una finanza sostenibile che non consideri tutti e tre i pilastri della sosteniblità, quindi ambiente, sociale e governance aziendale.