1,4 miliardi di viaggiatori l’anno. Una razzia per le risorse naturali
8.800 miliardi di dollari l'anno di contributo al Pil mondiale. Ma anche 8% della CO2 emessa. Sono le cifre di un turismo insostenibile per l'ambiente
Ciascuno può pensare al turismo in modo differente. Come la contemplazione silenziosa di uno paesaggio incontaminato, come un passaggio difficile in sella alla mountain bike su un sentiero o il passo lento battuto sulla via Francigena. Ma c’è chi s’immagina invece a bordo piscina sorseggiando il cocktail con l’ombrellino, tra le grida degli animatori a bordo di una grande nave, sui torpedoni affollati in sudamerica o sommerso di bagagli nel terminal di un aeroporto. Comunque la vediate, dietro ogni forma di viaggio esiste un business dai contorni socio-economici, occupazionali e ambientali straordinari. Buoni e cattivi, naturalmente.
Un business articolato che corre senza sosta almeno dal 1950. E cresce oltre oltre ogni previsione. Tanto che l’UNWTO, l’organizzazione mondiale del turismo, a gennaio 2019 poteva pubblicare una nota trionfante in cui sottolineava come il volume di traffico dei turisti nel 2018 avesse già raggiunto e superato le stime rilasciate nel 2010. Con due anni di anticipo i viaggiatori internazionali hanno infatti toccato la cifra impressionante di 1,4 miliardi di persone l’anno (+6% sul 2017), ovvero quasi il 20% della popolazione globale, oggi calcolata in 7,7 miliardi di individui circa.
I numeri del turismo e i Paesi che ci guadagnano
Cifre da capogiro, se si pensa che il settore viaggi contribuisce al Pil globale con almeno 8.800 miliardi di dollari l’anno, tra contributi diretti, indiretti e indotti. Significa che, dalle vacanze e dai viaggi in genere (quelli d’affari pesano per un 21,5% delle spese), derivano più di 10 dollari ogni cento del Pil mondiale. E, mentre nel 2015 il comparto vi partecipava direttamente con quasi 2.300 miliardi di dollari, nel 2029 si prevede che questa cifra supererà i 4mila miliardi di dollari. Merito dei mercati consolidati come quello europeo e statunitense, naturalmente, protagonisti sia tra le destinazioni che tra le provenienze.
USA, Cina, Giappone, Germania e Regno Unito, da soli, valgono il 47% del contributo 2018 al Pil dal comparto viaggi e turismo. E l’Italia che si conferma tra le prime 10 nazioni per quantità di denaro speso nel settore.
La crescita degli arrivi è trainata in assoluto dall’Europa, ma cresce il contributo delle economie emergenti. E di giganti come Russia e Cina, grazie al continuo aumento del numero di famiglie della classe media. Ma i risultati relativamente più interessanti arrivano da Paesi quali Etiopia, Ecuador, Saint Kitts e Nevis, Egitto e Turchia – sottolinea il World Travel & Tourism Council – e da altre regioni. In primis l’Africa (che per l’area settentrionale segna incrementi del 10%, quindi ben oltre la media globale) e il Medio Oriente. Anche qui si riscontra una crescita degli arrivi in doppia cifra (+10%), stabilizzando il trend del 2017 e portando il numero di turisti internazionali in viaggio nella regione a 64 milioni.
Acqua, energia e rifiuti: le risorse bruciate
Flussi frenetici che si trasformano in milioni di camere d’albergo, chilometri percorsi da bici, auto, pullman, navi, treni, aerei, e in un consumo sfrenato di risorse naturali. L’Agenzia europea per l’ambiente ha infatti calcolato che ogni turista consuma un quantitativo giornaliero di acqua in misura 3 o 4 volte superiore a un residente permanente. Un dato che dovrebbe essere illuminante per chi investe e per chi amministra, evidenziando uno stress idrico per le reti documentato in diversi studi.
Non diversamente, una ricerca svolta sulla cittadina di Torremolinos, in Spagna, ha mostrato che «il consumo di energia elettrica (del quale il turismo rappresenta circa il 40%) è aumentato del 160% tra il 1989 e il 2008». Mentre nell’isola di Malta ogni turista genera 1,25 kg di rifiuti al giorno, contro una media giornaliera di 0,68 kg prodotti dai residenti. Determinando così una difficoltà di tenuta dei servizi locali di raccolta, gestione e smaltimento che si ritrova a diverse latitudini. Stimolando una ricerca di soluzioni di volta in volta differenti. Dalla chiusura degli accessi al campo base cinese sotto la cima dell’Everest allo sviluppo di proposte ad hoc per il villaggio indiano di Pahalgam, per arrivare all’ipotesi di tassare i viaggiatori per salvare le spiagge di Bali dalla plastica.
Situazioni limite che sono la spia di un generale malessere ambientale certificato in una corposa indagine del 2015 e ribadito in un recente studio pubblicato nel maggio 2018 su «Nature». Sebbene infatti le emissioni globali di carbonio correlate al turismo non siano attualmente ben quantificate, «tra il 2009 e il 2013 – scrivono i ricercatori – l’impronta ecologica globale del turismo è aumentata da da 3,9 a 4,5 GtCO2e, quattro volte più di quanto stimato in precedenza, rappresentando circa l’8% delle emissioni globali di gas a effetto serra. Con i trasporti, lo shopping e il cibo a costituire i contributi più importanti».
Turismo che crea lavoro e vale il 7% dell’export globale
L’equilibrio ambientale è quindi messo a dura prova dalla pressione turistica. La quale, naturalmente e per fortuna, produce anche diverse esternalità positive sul piano economico e occupazionale. In una sorta di piramide che ha il viaggiatore all’apice e, a cascata, via via più marginalmente, coinvolge tutti i settori che operano intorno al suo spostamento. Dai mezzi di trasporto agli affari che ruotano intorno all’alloggio, alle comunicazioni, ai servizi ricettivi, alle assicurazioni. Sul piano dei posti di lavoro la stima del World Travel & Tourism Council è che addirittura 319 milioni siano stati coperti dal settore viaggi e turismo in forma diretta, indiretta o indotta. Ovvero il 10% dell’occupazione totale nel 2018. E questa cifra potrebbe aumentare di 100 milioni di unità entro il 2029.
Una fetta importantissima di persone trae quindi il proprio reddito da un impiego nel settore turistico. In un ambito fortemente legato all’utilizzo di stagionali, in corrispondenza con i picchi di arrivi e partenze, e spesso al centro di casi di cronaca legati al lavoro nero. Ma il peso economico del turismo è in gran parte di tipo indiretto, quale catalizzatore di prodotti e servizi che vanno a costituire il valore dell’export internazionale. Il trasporto passeggeri e le spese effettuate dai turisti rappresenterebbero un 7% della torta delle esportazioni planetarie, per un controvalore monetario registrato nel 2018 di 1.586 miliardi di dollari. Più di quanto espresso dal settore del cibo e a non troppa distanza dai combustibili fossili.