Zurich: «I virus? Colpa del clima e della deforestazione»

La compagnia assicurativa svizzera concorda con ambientalisti e scienziati: clima e perdita di biodiversità favoriscono la diffusione dei virus di origine animale. Dall'ebola al Covid-19

Matteo Cavallito
Sierra Leone, 2015: operazioni di disinfezione nel villaggio di Makamie, dove il virus Ebola ha ucciso il 60% dei residenti. Foto: DFID - UK Department for International Development Attribution 2.0 Generic (CC BY 2.0)
Matteo Cavallito
Leggi più tardi

Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità hanno contribuito in modo decisivo alla diffusione dei virus e delle pandemie. Un nesso forte, capace persino di prevalere su altri fattori apparentemente più intuitivi come gli scambi globali, i crescenti flussi di persone e l’aumento della densità urbana. È l’allarme lanciato dal colosso assicurativo Zurich sulle colonne del Financial Times. I numeri, sostiene la società elvetica, non mentono: tra il 1980 e il 2013 ci sono state circa 12mila epidemie che hanno colpito 44 milioni di persone nel mondo. Un’escalation legata in primo luogo alla distruzione dell’ambiente.

Dalla deforestazione un assist ai virus

Prima ancora che il virus Covid-19 sconvolgesse le nostre vite, insomma, il mondo stava già sperimentando nuove emergenze sanitarie connesse a forme di sviluppo insostenibile. Sul banco degli imputati svetta in particolare la deforestazione che, secondo Zurich, sarebbe collegata al 31% delle epidemie registrate negli ultimi due decenni. Tra queste spiccano i casi dei virus Ebola, Zika e Nipah.

«La deforestazione – sottolinea la società svizzera – spinge gli animali selvatici fuori dai loro habitat naturali e più vicini alle popolazioni umane, creando una maggiore opportunità per la diffusione delle malattie zoonotiche nell’uomo».

Origine animale, responsabilità umana

La denuncia di Zurich sembra confermare in pieno le conclusioni di una recente ricerca coordinata dal dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin dell’Università La Sapienza. L’analisi dei ricercatori italiani, in particolare, si concentra sulle similitudini riscontrate tra l’attuale pandemia di Covid-19 e altri virus caratterizzati da analoghe forme di insorgenza come Sars, Zika e MERS.

«Circa il 70% degli EID (Emerging Infectious Diseases, cioè le malattie infettive emergenti, ndr) – scrivono i ricercatori – e quasi tutte le pandemie recenti, hanno origine negli animali (la maggior parte nella fauna selvatica) e la loro emergenza deriva da complesse interazioni tra animali selvatici e/o domestici e umani». Relazioni pericolose, per così dire, legate in ultima analisi a scelte sbagliate capaci a loro volta di favorire la diffusione dei virus. A partire dall’alta densità di popolazione e dai livelli insostenibili di caccia e traffico di animali selvatici fino alla distruzione di habitat naturali e allo sviluppo degli allevamenti intensivi.

Il cambiamento climatico favorisce i virus

La denuncia di Zurich non si ferma qui. Secondo gli analisti della compagnia elvetica il cambiamento climatico in senso lato sarebbe stato il principale responsabile della diffusione del virus Zika nonché di altre patologie virali come la malaria e la dengue.

«Lo spostamento di grandi gruppi in nuove aree, spesso in cattive condizioni – si legge nell’analisi –  aumenta la vulnerabilità delle popolazioni sfollate di fronte a minacce biologiche come il morbillo, la malaria, le malattie diarroiche e le infezioni respiratorie acute».

Certo, sottolinea ancora Zurich, nel corso degli anni l’impatto delle epidemie è stato contrastato dalla disponibilità di risorse sanitarie e dal progresso della medicina. La diffusione di vaccini, antivirali e antibiotici è certamente rassicurante. Ma attenzione: lo sviluppo insostenibile con tutte le sue conseguenze finisce a sua volta per impattare sulle risorse stesse a disposizione dei sistemi sanitari. L’attacco alla biodiversità, in altre parole, è un attacco alla cure disponibili.

La perdità di biodiversità è una minaccia per le nuove cure

Spesso, guardando al progresso scientifico, tendiamo a pensare che lo sviluppo di nuove terapie e nuovi farmaci sia legato indissolubilmente alla tecnologia e alla sintesi di laboratorio. Ma la realtà, ovviamente, è più complessa. Accanto agli studi più promettenti – che, segnala la compagnia elvetica, riguardano oggi i cosiddetti anticorpi codificati dai geni e gli anticorpi monoclonali capaci in alcuni casi di prevenire le infezioni – lo ricerca di nuovi farmaci guarda sempre di più alle risorse naturali.

«Lo sviluppo di farmaci di successo non riguarda sempre la biologia sintetica avanzata» spiega ancora Zurich, «ma ha anche un legame con le soluzioni basate sulla natura». Ad oggi, aggiunge, la ricerca medica coinvolge complessivamente dalle 50mila alle 70mila specie di piante raccolte e analizzate dai ricercatori. Attualmente, conclude la compagnia svizzera, «il 50% circa dei farmaci moderni è stato sviluppato a partire da prodotti naturali che sono minacciati dalla perdita di biodiversità».