Due promossi, 43 bocciati. I grandi asset manager ancora lontanissimi dall’Accordo di Parigi
I portafogli dei grandi asset manager sono quasi tutti incoerenti con i piani di decarbonizzazione. Con buona pace del clima
C’è la Net Zero Asset Managers Initiative, quell’alleanza – parte della più vasta Glasgow Financial Alliance for Net Zero – con cui più di trecento società di gestione hanno promesso di fare la loro parte per l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050. C’è la campagna Race to Zero delle Nazioni Unite per dimezzare le emissioni di gas serra già entro il 2030, alla quale hanno aderito – tra gli altri – quasi cinquecento istituzioni finanziarie. Ci sono convegni, eventi, occasioni pubbliche in cui il mondo della finanza non fa che ribadire il proprio impegno per il clima. Solo a parole, però. I dati raccontano una storia ben diversa. Esaminando i portafogli dei 45 maggiori asset manager al mondo, infatti, si scopre che l’assoluta maggioranza – il 95% – è incoerente con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Cosa dice lo studio di FinanceMap
FinanceMap, infatti, ha pubblicato uno studio che si focalizza sui 45 principali asset manager al mondo. Messi insieme, i loro asset in gestione raggiungono un volume complessivo pari a 72mila miliardi di dollari. Soldi che, se venissero orientati verso la decarbonizzazione, potrebbero realmente fare la differenza. Ma, nonostante le promesse, non è così.
I ricercatori attribuiscono infatti a ciascun portafoglio un punteggio che va da -100% a +100%. Se è pari a zero, significa che il portafoglio azionario è investito in aziende in linea con la tabella di marcia dell’Agenzia Internazionale dell’Energia per l’azzeramento delle emissioni nette al 2050. Se invece il punteggio è negativo, significa che i titoli di aziende fossili sono preponderanti. Ebbene, soltanto due asset manager (entrambi europei) superano il test: Schroders e Natixis. Sempre Schroders, insieme a BNP Paribas Asset Management, vanta un volume di investimenti green che supera di 2,7 volte la media.
Male gli asset manager americani e asiatici. Negli Stati Uniti si assiste addirittura a un peggioramento rispetto all’anno precedente. Difficile non cogliere un legame con la crociata anti-ESG portata avanti dalle amministrazioni repubblicane.
Storie di attivismo
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Cosa possono fare gli asset manager (e i loro clienti)
«In conclusione, il report riscontra un significativo divario tra l’aumento degli impegni per il net zero da parte de più grandi asset manager globali e la carenza di una rilevante azione per il clima nel breve termine. Gli sforzi nella gestione appaiono stagnanti, contribuendo a portafogli continuamente disallineati dal punto di vista climatico, mentre il supporto politico è largamente assente», si legge nello studio di FinanceMap.
«Per colmare questo divario nell’immediato, le società possono rivelare e rinnovare le proprie adesioni alle associazioni di settore per assicurarsi che siano allineate con i propri obiettivi climatici, e incrementare il supporto per ambiziose politiche finanziarie sostenibili. In più, per assicurare che i propri impegni per il clima siano credibili, il settore dell’asset management dovrà intensificare il proprio dialogo con settori e aziende critici dal punto di vista climatico. Ma anche implementare solidi processi di voto degli azionisti, con l’obiettivo ultimo di guidare la transizione dell’economia reale».
E i clienti, invece? Cioè coloro che hanno dei capitali da investire e rischiano di sentirsi disorientati, leggendo queste ricerche dai risultati sconfortanti? Le alternative esistono, ma bisogna cercarle documentandosi con cura. Senza fermarsi a claim ed etichette, ma verificando quali sono i settori in cui ogni fondo investe. E quali sono – se ci sono – le politiche di engagament adottate verso le aziende più controverse in portafoglio.