Carceri private: negli Usa il business migranti le sta rendendo miliardarie
Le società di carcerazione privata in America sono nate negli Anni ’80. Oggi fanno miliardi con immigrati e detenuti comuni. Anche grazie al "loro" Trump
Gestire l’accoglienza (sic) dei migranti delegando ai privati. Nel nome di una logica del profitto basata sul taglio dei costi. Suona familiare e non è un caso. Il paragone suggerito da USA Today, commentando le accuse di Amnesty International contro il governo austriaco e la società elvetica ORS, calza alla perfezione.
Negli Stati Uniti, la gestione dei migranti e dei richiedenti asilo è affidata in larga parte ai privati. Anche qui le denunce di abusi non mancano di certo. Ma in verità c’è dell’altro. Perché l’America, ben prima di Trump, si è affermata in primo luogo come la culla di un modello basato sull’appalto a operatori (e investitori) specializzati. Un business da decine di miliardi che, come ricorda, tra gli altri, uno studio dell’associazione no profit newyorchese Urban Justice Center, ha radici molto profonde.
Dagli USA al Sudafrica
In principio fu CoreCivic, conosciuta al tempo come Corrections Corporation of America (CCA). Nel 1983 l’azienda, con sede a Nashville, Tennesse, ottiene un contratto per la gestione di un carcere: è il primo caso di appalto privato nel settore. L’anno seguente tocca a GEO Group, una società di Boca Raton, Florida, che opera oggi anche nel Regno Unito, in Australia e in Sudafrica, dove gestisce un carcere da 3mila posti a Makhado, vicino alla frontiera con lo Zimbabwe.
CoreCivic e GEO, sostiene il rapporto, hanno chiuso il 2017 con un fatturato complessivo da 4 miliardi di dollari. Entrambe sono quotate a Wall Street fin dagli anni ’90. Con alterne fortune. Decisamente migliorate da quando The Donald, che loro avevano finanziato generosamente in campagna elettorale, si è insediato alla Casa Bianca.
Tre migranti su quattro nelle mani dei privati
CoreCivic e GEO restano in prima fila anche nel comparto migranti e richiedenti asilo. Nel maggio 2018 la media giornaliera degli individui detenuti sotto il controllo della Immigration and Customs Enforcement (ICE), l’agenzia federale che si occupa degli ingressi, si aggirava sulle 41mila unità, l’8% in più rispetto all’anno precedente. 11.200 di questi, rileva lo Urban Justice Center, sono “gestiti” da GEO con un fatturato complessivo da 541 milioni di dollari nel 2017; 7.100 circa sono “ospitati” da CoreCivic generando ricavi totali da 444 milioni.
Nel ciclo elettorale 2016, le due società hanno speso in totale 9,2 milioni di dollari tra attività di lobbying e contributi alle campagne politiche. Nel 2019, riferisce ancora lo Urban Justice Center, il budget dell’ICE dovrebbe crescere di quasi 1 miliardo. Tra i migranti in attesa di asilo o espulsione, al momento, quasi tre persone su quattro (725) sono detenute in strutture private.
Carceri private: in gioco tremila società
Le due aziende, rileva il rapporto, sono però in ottima compagnia. L’analisi dei ricercatori fa infatti emergere una galassia di oltre 3.100 operatori privati. Nel comparto delle società non quotate entra in gioco anche il private equity. Colossi dell’investimento che, non diversamente dalla londinese Equistone, beneficiaria ultima del business migranti dell’elvetica ORS, scommettono sulle fortune del settore.
Sul piatto non c’è solo la gestione diretta delle prigioni ma anche la rete di fornitori cui sono appaltati servizi secondari, oltre alle imprese che si avvalgono del lavoro a basso costo dei detenuti. Tra gli investitori si segnalano nomi rilevanti come PAG Asia Capital – che dal 2016 possiede una partecipazione in Lexmark, una società del settore informatico di Lexington, Kentucky, con un fatturato annuale da 3,5 miliardi di dollari – e Silver Lake Partners. Quest’ultima è salita agli onori delle cronache nel 2013, investendo quasi 25 miliardi di dollari nel colosso tecnologico Dell.
Un business da oltre $40 miliardi
Secondo i ricercatori, oltre la metà del budget federale complessivo destinato al sistema carcerario è utilizzato per pagare le compagnie private. Tra la gestione diretta di circa 130 prigioni e la fornitura di servizi vari (assistenza sanitaria, mense e così via) si arriva così a un business da oltre 40 miliardi di dollari. Il boom nasce dall’espansione fuori controllo della popolazione carceraria americana, passata dalle 660mila unità di inizio anni ’80 – ricorda ancora la ricerca – ai 2,2 milioni di oggi.
E il bello, dal punto di vista degli investitori, è che ad essere premiati da questo trend sono proprio le aziende del settore. Secondo un recente rapporto della società di consulenza Arabella Advisors, dal 1999 al 2015 il numero di detenuti reclusi nelle prigioni private americane è passato da meno di 70mila a oltre 126mila.