Bisogna pensare alla scuola. Il Terzo settore lo fa già
Rossi Doria: «Rimettiamo al primo posto il diritto allo studio e alla socialità». Dispersione scolastica e aumento delle disuguaglianze evitati grazie a reti di solidarietà
«La scuola non si ferma, ma non dobbiamo dimenticare ciò che dieci milioni di bambini e ragazzi stanno affrontando in Italia a causa della pandemia da coronavirus». Marco Rossi Doria, primo maestro di strada, già sottosegretario all’Istruzione con il governo Monti, intervistato da Valori, non ha dubbi. «Occorre uno sforzo di tutta la collettività, affinché i ragazzi possano esercitare al meglio sia il loro diritto allo studio che quello alla socialità. La scuola torni a essere il principale presidio di cittadinanza della nostra Repubblica, prima possibile».
Fondamentale, in questo processo straordinario, secondo Rossi Doria, oggi coordinatore del gruppo Education del Forum Disuguaglianze e Diversità, il contributo del Terzo settore, già in campo con progetti diffusi in tutta la penisola contro la dispersione scolastica. Dispersione che nel nostro Paese è una delle più alte d’Europa, pari al 14,5%.
Stop alle disuguaglianze: troppi bambini e ragazzi senza un PC
«Dobbiamo impedire l’aumento delle disuguaglianze, aiutare le nuove generazioni a superare difficoltà e paure – sottolinea Rossi Doria – Dobbiamo incoraggiare la loro capacità di reazione a un’esperienza nuova che in Italia non hanno vissuto neppure i loro nonni».
Garantire il diritto allo studio per tutti, con la didattica a distanza, non è semplice. Specie in una situazione come quella italiana, già con forti differenze sociali ed economiche, che rischia di peggiorare per effetto della crisi. Dalla fotografia scattata da Istat, il 12,3% dei minori, tra i 6 e i 17 anni non ha un computer o un tablet nella sua abitazione. «Occorre, invece, che ogni studente abbia una connessione, un device digitale, un luogo consono dove poter seguire le lezioni a distanza, dove sentirsi a proprio agio», ribadisce Marco Rossi Doria.
..e senza uno spazio adeguato per studiare in casa
Un insieme di condizioni necessarie non così scontate, se si pensa che il 41,9% dei minori nel nostro Paese vive in condizioni di sovraffollamento abitativo. «Poter studiare in una postazione adeguata, con una porta da chiudere e in spazi accettabili» non è una condizione scontata per i bambini italiani, sottolinea Rossi Doria. Disparità che corrono sul filo della rete, che colpiscono, ancora una volta, i più fragili, come ha denunciato Save the Children. Tra gli studenti che partecipano ai progetti della Ong contro la dispersione scolastica, nelle periferie urbane più disagiate del Paese, ben il 46% si è ritrovato a casa senza un pc o un tablet e il 51% senza l’accesso a internet».
Stanziati 165 milioni di euro per superare il digital divide
Intanto, proprio per l’effetto coronavirus, con il decreto del 17 marzo 2020, sono stati stanziati complessivamente 85 milioni di euro, per gli studenti e le scuole più bisognosi, investiti subito dagli istituti per l’acquisto di tablet per l’utilizzo individuale e per la formazione on line dei docenti. Sono seguiti, lo scorso 17 aprile altri 80 milioni di euro, provenienti da fondi PON (Programma Operativo Nazionale). Contestualmente all’erogazione dei fondi, il ministero, attraverso la task force emergenze educative, attiva sin dal terremoto del 2017, ha dato il via ad un nuovo monitoraggio. L’obiettivo è quello di verificare l’andamento della didattica a distanza, individuare le necessità attuali di device e connessioni e intervenire tempestivamente dove ci siano carenze.
La didattica a distanza in Italia c’era già, grazie al terzo settore
Così, dopo l’impasse delle prime settimane, sono stati attivati canali istituzionali, come la pagina dedicata alla didattica a distanza con tutte le risorse disponibili; ma anche contributi provenienti dalle scuole d’eccellenza come il Movimento per le Avanguardie Educative, dalle associazioni e dai privati, a disposizione di tutti i docenti, gli studenti e le famiglie. «Quello che emerge è che, dove c’erano già in atto delle collaborazioni tra scuole e terzo settore, abbiamo avuto dei risultati straordinari – sottolinea Rossi Doria – Penso alla rete di Provaci ancora Sam a Torino, la rete delle scuole a Genova o le comunità educanti del Quartiere alla Zisa di Palermo, piuttosto che a Ponticelli di Napoli». Ancora troppo però, come evidenziano le testimonianze raccolte da Valori, è lasciato alla singola iniziativa.
Dove c’è una rete di solidarietà i ragazzi non si perdono
«La presenza di dirigenti scolastici “smart” e di educatori coordinati con gli insegnanti, ha fatto sì che, non appena i fondi sono arrivati alle scuole, la distribuzione dei device alle famiglie è stata quasi immediata – sottolinea Rossi Doria. Dove, invece, non c’era un nucleo di docenti coeso, presidi in difficoltà perché divisi tra più istituti, con troppi supplenti e un Terzo settore meno presente e radicato, alcuni bambini e ragazzi sono persi. E non sarà facile recuperarli». Ma bisognerà attivarsi per tutti, ribadisce Rossi Doria, «perché non si può lasciare solo il ministero dell’Istruzione nell’opera di monitoraggio necessaria». Che cosa bisognerà fare, quindi, nella fase due e in quelle successive?
Fase 2: servono educatori di prossimità
Una delle soluzioni possibili, prospettate anche dal Forum Disuguaglianze e Diversità, è quella di pensare a “doti comunali”. «Non possiamo lasciare sole le famiglie. In estate potremmo pensare alla dimensione più estesa della scuola, che utilizzi quartieri, città, spazi culturali, oratori come luoghi di educazione e conoscenza», ribadisce ancora Rossi Doria. I sindaci potrebbero riscoprire il ruolo attribuito loro dal codice civile che indica la figura del primo cittadino come responsabile della certezza dell’obbligo di istruzione.
«Le figure degli educatori di prossimità esistono già – ricorda Rossi Doria – Un’alleanza territoriale tra autonomie scolastiche, comuni e terzo settore, territorio per territorio, aiuterebbe a sgravare le famiglie in difficoltà». Per sostenere l’attività dei singoli comuni, basterebbe ampliare le risorse già in dotazione al fondo per la lotta alla povertà educativa minorile. «Questo permetterebbe di creare partenariati territoriali e affiancare educatori del privato sociale agli insegnanti e alle famiglie».
Serve sostegno al Fondo per il contrasto alla povertà educativa
Proprio a causa dell’emergenza coronavirus, l’impresa sociale Con i Bambini, nell’ambito del Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, ha assicurato ai 355 progetti in corso, che coinvolgono 6.600 organizzazioni e oltre 480.000 minori, la possibilità di attivare sistemi di apprendimento a distanza nelle scuole che ne sono sprovviste e di programmare attività educative e ricreative durante il periodo estivo. Fondi che però non basteranno per affrontare i prossimi mesi. Servirà uno sforzo collettivo per l’accompagnamento di tutti i bambini e i ragazzi da nord a sud.
…e per il Terzo Settore
Eppure gli educatori di prossimità, a disposizione delle comunità, ci sono già. Lo ricorda il Forum del Terzo settore, con la campagna #Nonfermateci in rappresentanza di oltre 350.000 organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, imprese sociali. Senza nessun aiuto dello Stato, rischiano, però, di non poter proseguire. In bilico 850 mila posti di lavoro. «Terminata la fase di emergenza il nostro Paese potrà rialzarsi solo se avrà saputo sostenere anche chi si è sempre occupato di proteggere le persone più fragili: bambini, anziani e persone con disabilità», ha dichiarato Claudia Fiaschi, la portavoce nazionale del Forum del Terzo Settore nell’appello al governo.
Servono 10 miliardi per le scuole
Quanto servirebbe per la fase 2 dei bambini e delle scuole? Non si può non ricordare che, già prima della pandemia, la spesa per l’istruzione, in Italia, aveva raggiunto il valore più basso di sempre pari al 3,5%, del PIL. Poco meno di un anno fa, proprio Marco Rossi Doria aveva quantificato in un punto di Pil, le risorse minime per contrastare la dispersione scolastica e rinnovare il sistema educativo e formativo nazionale. Poco più di 10 miliardi, il 2,5% di quanto stanziato con il decreto Liquidità alle imprese, lo scorso 8 aprile.