Il coronavirus mette a rischio le rinnovabili. La ripresa deve essere green
Il crollo del petrolio e l’urgenza di introdurre misure per la ripresa economica rischiano di far passare in secondo piano obiettivi ambientali e climatici
La pandemia del covid19 sta provocando effetti dirompenti sui sistemi economico-finanziari di tutto il Pianeta. Quello dell’energia è uno dei settori che subisce i maggiori contraccolpi. Per le energie rinnovabili il futuro prospetta opportunità e rischi ancora in gran parte imponderabili.
Due aspetti sono certi: anzitutto, il settore uscirà dalla crisi profondamente cambiato. E, secondo, l’energia rappresenterà un fattore cruciale nell’ambito dei piani di rilancio dell’economia post-emergenza:
la transizione energetica verso modelli a ridotto impatto sull’ambiente sarà cruciale per costruire sistemi socio-economici più resilienti. In questo contesto la finanza sostenibile potrà ricoprire un ruolo cruciale.
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Il crollo del petrolio
La sospensione delle attività produttive e la drastica limitazione alla circolazione di persone e merci imposte da molti governi per contrastare la diffusione della pandemia ha generato un massiccio calo della domanda energetica e, in particolare, di petrolio. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia(International Energy Agency – IEA) nel 2020 la domanda di petrolio scenderà per la prima volta dal 2009, l’anno successivo al crollo del mercato immobiliare Usa. Ad aprile la domanda sarà di 29 milioni di barili al giorno più bassa rispetto allo stesso periodo nel 2019, un livello mai registrato dal 1995.
Le dinamiche della domanda si ripercuotono sui prezzi: secondo l’indice WTI (il riferimento per il prezzo del greggio), a gennaio un barile veniva scambiato a oltre 65 dollari; a metà aprile il prezzo è sceso sotto i 20 dollari, fino a entrare in territorio negativo il 20 aprile.
Ad amplificare gli effetti della pandemia si è aggiunta anche la guerra di prezzo scatenata dalla rivalità tra Arabia Saudita e Russia all’interno dell’Opec. Lo scorso 12 aprile hanno trovato un accordo, ma al momento le quotazioni non sono salite.
La reazione dei mercati non si farà attendere: secondo le stime degli analisti i fondi sovrani maggiormente esposti al settore petrolifero (Medio Oriente, Norvegia e Russia, in primis) potrebbero vendere asset per oltre $225 miliardi.
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I rischi per la sostenibilità
Come sottolineato a metà marzo dal Direttore Esecutivo dell’Iea, Fatih Birol, uno dei principali rischi è rappresentato dal fatto che l’ampia disponibilità di combustibili fossili a basso costo disincentivi le imprese a investire nella transizione verso sistemi produttivi a ridotto impatto di carbonio. E riduca così il ricorso alle energie rinnovabili, a impianti per l’efficientamento energetico o allo sviluppo di soluzioni di economia circolare.
Inoltre, il settore delle rinnovabili sta incontrando significative criticità con la pandemia. Per esempio, la riduzione degli scambi internazionali sta compromettendo le catene di approvvigionamento del fotovoltaico, che dipendono in larga parte dalla Cina. Tanto che Bloomberg New Energy Finance (BNEF) ha tagliato le stime di crescita per il 2020 del 16%. Queste dinamiche possono essere temporanee e assorbirsi con la fine dell’emergenza, ma dimensioni, durata ed esito della crisi sono ancora in gran parte incalcolabili.
Un ulteriore rischio è rappresentato dal fatto che l’urgenza di introdurre misure per la ripresa economica dopo la fine dell’emergenza faccia passare in secondo piano gli obiettivi ambientali e climatici fissati da organizzazioni internazionali e dai singoli governi.
Non sembra essere questo l’orientamento delle istituzioni internazionali. Di recente il vicepresidente della Commissione UE Valdis Dombrovskis ha ribadito l’impegno dell’Europa a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, come stabilito con l’EU Green Deal. Sostenibilità e resilienza, ha detto Dombrovskis, saranno elementi chiave della ripresa post-emergenza.
The TEG on #SustainableFinanceEU calls for a sustainable, fair & resilient recovery from the #coronavirus crisis. #EUTaxonomy, #EUGreenBonds & Climate/ESG Benchmarks are even more relevant today to guide the public & private sectors to a swift recovery https://t.co/1Fy2MnblNr pic.twitter.com/AxIC2JcErC
— EU Finance 🇪🇺 (@EU_Finance) April 27, 2020
Le dinamiche di lungo periodo che interessano l’energia
Già prima del coronavirus il settore dei combustibili fossili stava attraversando una fase di criticità caratterizzata da diverse dinamiche di lungo periodo. Quali?
- Il calo dei prezzi
Il calo dei prezzi non è una novità portata dalla pandemia. Per esempio, l’aumento di offerta generato in gran parte dalla massiccia produzione di shale oil negli Stati Uniti ha già provocato un drastico calo dei prezzi: dall’estate del 2014 il WTI (West Texas Intermediate, è un tipo di petrolio prodotto in Texas e utilizzato come benchmark nel prezzo del petrolio) è calato da 110 dollari a valori compresi tra i 40 e gli 80 dollari.
- L’attenzione della comunità internazionale.
L’accresciuta attenzione della comunità internazionale per i temi ambientali e climatici sta generando un’evoluzione dei quadri normativi internazionali e nazionali volti a limitare le emissioni di gas a effetto serra e, dunque, l’impiego di combustibili fossili. Ne sono un esempio l’Accordo di Parigi o, appunto, il Green Deal europeo.
- Il cambiamento degli stili di vita
L’opinione pubblica si sta orientando verso stili di vita e modelli di consumo più sostenibili. Anche i risparmiatori seguono questa tendenza: secondo una ricerca del 2019, condotta sul mercato italiano dal Forum per la Finanza Sostenibile e da BVA Doxa, il 31% dei risparmiatori intervistati sarebbe disposto ad aumentare i volumi dei propri investimenti se i prodotti avessero finalità di sostenibilità ambientale.
- La crescita delle rinnovabili
Secondo l’IEA l’effetto combinato della riduzione dei costi di produzione, dell’innovazione tecnologica e delle politiche attuate dai governi farà crescere del 50% l’energia globale prodotta da fonti rinnovabili tra 2019 e 2024. La porzione di rinnovabili sul totale del fabbisogno energetico salirà al 30% tra quattro anni. Le stime si riferiscono al periodo 2019-2024: potrebbero essere riviste alla luce della crisi globale. Si tratta comunque di tendenze di lungo periodo, il che fa sperare che possano non subire alterazioni significative.
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L’impegno della finanza sostenibile
Un numero crescente di investitori istituzionali sta abbandonando il settore dei combustibili fossili attraverso strategie di disinvestimento o di esclusione. In molti casi queste azioni sono accompagnate dalla “riallocazione”, vale a dire che le risorse liberate vengono investite in settori o emittenti verdi, come le energie rinnovabili, l’efficientamento energetico o l’economia circolare.
Secondo BNEF, nel 2019 gli investimenti nei settori delle energie rinnovabili hanno superato i 280 miliardi di dollari, in aumento rispetto all’anno precedente. Climate Bonds Initiative ha registrato, nel 2019, 258 miliardi di dollari di emissioni di green bond e di green loan (o “prestiti verdi“). Il 30% dei proventi è destinato a progetti nel settore energetico. Inoltre, gli investitori ricorrono con sempre maggior frequenza all’engagement, ovvero il dialogo con le società a maggior impatto ambientale presenti nel portafoglio, avanzando richieste in merito alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.
Se governi, imprese e operatori finanziari manterranno solidi i propri impegni ambientali e climatici, queste dinamiche potrebbero contrastare gli effetti del coronavirus e determinare una significativa, forse decisiva, virata verso sistemi economico-produttivi più sostenibili.
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Puntare su rinnovabili ed efficienza energetica, subito
Le prime analisi sugli elementi che possono aver contribuito a intensificare gli effetti della pandemia hanno evidenziato alcuni fattori ambientali, tra cui l’inquinamento atmosferico. Alcuni studi scientifici – da verificare – hanno provato a legare la concentrazione di particolato atmosferico con la capacità del coronavirus di diffondersi con più facilità nell’aria. Quello che è inconfutabile è che l’inquinamento può creare problemi ai sistemi cardio-respiratori. Secondo le rilevazioni dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, le regioni settentrionali del nostro Paese costituiscono una delle aree a maggior concentrazione di polveri sottili (PM10e PM2.5) dell’Unione Europea. Nel 2016 in Italia il particolato fine (PM2.5) ha mietuto 58.600 vittime.
Sarà quindi importante costruire un sistema regolamentare e di policy che favorisca i flussi di capitale verso le energie rinnovabili, la mobilità sostenibile delle persone e delle merci, e l’efficienza energetica degli edifici a uso privato e pubblico e delle attività produttive.
Investire in questi settori consentirebbe di creare nuovi posti di lavoro: secondo dati Eurostat nel 2017 in Italia l’economia circolare ha occupato oltre 517.000 persone, pari al 2% della forza lavoro.
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Gli strumenti su cui investire
È su questi temi che potrebbe concentrarsi l’emissione di green bond sovrani per ridurre l’impatto ambientale delle attività umane. Inoltre, la Commissione Europea sta introducendo diversi strumenti finanziari che saranno utili in ottica di transizione low-carbon: la tassonomia, per esempio, una classificazione delle attività economiche che possono essere considerate eco-compatibili in base a determinati criteri e soglie tecniche. I benchmark climatici (Climate Transition e Paris-aligned Benchmark) aiuteranno gli investitori a costruire portafogli in linea con l’obiettivo della neutralità climatica.
La crisi economica potrebbe incrementare le disuguaglianze nell’accesso alle risorse energetiche: la diffusione delle rinnovabili a basso costo potrebbe intervenire a colmare questo “energy divide” nei contesti più vulnerabili. L’impact investing o i mini-green bond potrebbero essere utili per investire nella realizzazione di strutture o impianti in grado di alleviare i problemi delle comunità energetiche.
La ripresa, dunque, dovrà intervenire sulle vulnerabilità socio-ambientali che hanno alimentato la crisi: oltre all’inquinamento, anche la perdita di biodiversità o la carenza di mezzi per tutelare la salute dei cittadini. Solo in questo modo sarà possibile dotare i Paesi degli anticorpi necessari per rispondere alle prossime sfide.