ESG, servono regole comuni ma ciascuno va per la sua strada
I fattori ambientali, sociali e di governance (ESG) vanno rendicontati in modo univoco. Per ora, però, manca un coordinamento internazionale
Cosa significa ESG? Una domanda a cui potremmo dare tante risposte. Tecnicamente sono i parametri ambientali, sociali e di corretta governance d’impresa (environmental, social e governance) che permettono di stabilire la sostenibilità degli investimenti. Investimenti che nel 2020 valevano 35.300 miliardi di dollari, all’incirca come il Pil di Unione europea e Stati Uniti messi insieme. Fin qui siamo tutti d’accordo.
Se però per la rendicontazione dei dati finanziari esistono princìpi contabili ampiamente validati, per le informazioni non finanziarie diventa tutto molto più fumoso. Così si crea un paradosso. C’è sempre più fame di titoli ESG, ma non c’è un modo per distinguere quelli autentici dal puro e semplice greenwashing.
Passo avanti o rischio?
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Non esiste un modo per testare il grado di sostenibilità di un’impresa e capire se – e quanto – sia migliorato nel corso degli anni. Serve dunque un vocabolario condiviso: questo ormai è assodato. Il problema è che governi e regolatori di tutto il mondo, pur avendo deciso di farsi carico della questione, stanno seguendo strade diverse. Un articolo del quotidiano francese Les Echos offre un quadro della situazione: ed è un quadro fortemente disomogeneo.
Gli Usa promettono regole vincolanti
Negli Stati Uniti il compito spetta alla SEC (Securities and Exchange Commission), l’equivalente della nostra Consob. Durante la transizione tra la gestione di Allison Herren Lee (voluta da Trump) e il neo-presidente Gary Gensler (in quota Biden), l’organismo ha istituito un’apposita task force dedicata ai criteri ESG. Parallelamente ha lanciato una consultazione pubblica sulla rendicontazione delle informazioni legate ai cambiamenti climatici, ricevendo in risposta oltre 550 commenti.
A fine luglio Gensler ha ammesso che le precedenti linee guida ESG erano deboli perché puramente volontarie. «Gli investitori sono alla ricerca di informazioni coerenti, comparabili e utili per le decisioni, in modo da poter investire i propri soldi in società che soddisfano le loro esigenze», ha dichiarato durante un webinar, promettendo una bozza di nuovi standard – stavolta vincolanti – entro la fine dell’anno.
Il Canada punta in alto sulle regole ESG
Il Canada di Justin Trudeau scompagina intanto le carte. Una coalizione formata dal governo e da oltre 55 istituzioni pubbliche e private ha espresso ufficialmente il suo sostegno per la costituzione dell’International Sustainability Standards Board (ISSB). Offrendosi di ospitare la sede nella città di Montréal. Voluto dall’International Financial Reporting Standards Foundation (IFRS Foundation), questo ente mira a essere il contraltare in chiave ESG dell’International Accounting Standards Board (IASB). Che si occupa, invece, di emanare i princìpi contabili internazionali.
Una presa di posizione molto politica visto che il Canada è il primo Stato in assoluto a farsi avanti, candidandosi – di fatto – a un ruolo di leadership. Oltre alla sede, la nazione nordamericana mette sul piatto anche supporto logistico, competenze professionali e generosi finanziamenti per i primi anni di operazioni. Nell’attesa di ricevere altre disponibilità simili, la Fondazione IFRS punta a presentare il consiglio di amministrazione prima della Cop26 di novembre.
L’Europa appare in vantaggio
E l’Unione europea? «Anche lei è determinata a fissare i propri standard ESG e non intende delegarli. È una questione di sovranità politica», scrive Les Echos. Sempre di work in progress si tratta, ma c’è da dire che il nostro Continente appare in netto vantaggio. Una direttiva sulla rendicontazione non finanziaria c’è già, è la 2014/95/UE ed è quella che – tra le altre cose – ha imposto alle aziende di interesse pubblico di redigere un report di sostenibilità se superano i 500 dipendenti e un certo fatturato. Richieste che verranno estese, e rese molto più dettagliate e stringenti, da una futura direttiva attualmente in lavorazione.
Di sicuro, per portare a compimento questo percorso servirà il tanto auspicato vocabolario comune sui parametri ESG. In Europa gli enti che si occupano dei princìpi contabili sono due, l’Accounting Regulatory Committee (di natura politica) e l’European Financial Reporting Advisory (di natura tecnica). Quest’ultimo è stato incaricato dalla Commissione europea di redigere anche gli standard per la rendicontazione non finanziaria.
A guidare il gruppo di lavoro è Patrick de Cambourg, francese, con alle spalle una lunga carriera in Mazars, colosso dell’audit e della consulenza. La prima bozza è attesa già nel 2022, ma bisognerà aspettare almeno un paio d’anni per la sua applicazione. I punti da smarcare saranno sostanziali; alcuni approcci si focalizzano sui rischi per gli investitori, altri invece cercano di avere uno sguardo più ampio sull’impatto dell’azienda sul Pianeta e sulla società. Patrick de Cambourg appare ottimista: a parer suo, è «logico» che l’Europa sia pioniera negli standard non finanziari. Il tempo dirà se ha ragione.