Auto elettrica? Più sharing che Tesla. O le disuguaglianze cresceranno
Più condivisione, meno auto di proprietà. Il futuro (elettrico) dei trasporti sarà multimodale. Poggio (Legambiente): «Milano è già un esempio»
La mobilità del futuro non è solo sinonimo di auto elettrica. Lo dicono le stime sui costi previsti e lo suggerisce l’esperienza dei fenomeni già in atto. Macchina sì, d’accordo, ma condivisa. E poi mezzi pubblici e ancora veicoli leggeri, elettrici o “muscolari” che siano. Si chiama trasporto multimodale e per un numero crescente di persone è già una realtà. Lo ribadisce Andrea Poggio, responsabile mobilità sostenibile e stili di vita alla segreteria nazionale Legambiente, puntando dritto al cuore del problema: «è una questione di sostenibilità sociale, non solo ambientale» spiega a Valori. Perché spostarsi sarà pure un diritto ma i costi crescenti possono essere proibitivi.
Trasporti alternativi
Negli anni della crisi, coincisi a loro volta con i rincari del petrolio, ricorda, «non c’è stata una migrazione dall’automobile di proprietà ai mezzi pubblici e alla bicicletta bensì un aumento degli italiani immobili, passati dal 16% al 25% del totale tra il 2006 e il 2012».
Pesa l’assenza di alternative, come il car sharing o le piste ciclabili. Tutte risorse, queste ultime, che una volta introdotte possono fare la differenza. «Rispetto a 20 anni fa – aggiunge – Milano conta 100mila abitanti in più e 100mila macchine in meno e il risultato è che la gente si muove di più: oltre un quarto dei suoi cittadini effettua almeno 3 o 4 spostamenti al giorno utilizzando fino a 7 mezzi o servizi diversi a settimana». Il divario tra metropoli e provincia, ammette, è evidente. Ma la strada, in ogni caso, è già tracciata.
Auto elettrica? Non per tutti
In tutto questo le fonti pulite giocano un ruolo chiave. Il Ceo di Tesla Elon Musk, è noto, non ha dubbi a riguardo, al punto da affermare che in un futuro prossimo «tutti i mezzi di trasporto saranno elettrici». La crescita delle vendite sui veicoli a batteria è un dato di fatto. Ma una sostituzione di massa appare ancora lontana, se non addirittura impossibile.
In Italia, ha ricordato lo stesso Poggio in “Green Mobility. Come cambiare la città e la vita”, un saggio, pubblicato nei mesi scorsi, di cui è curatore e co-autore, ci sono 38 milioni di automobili, oltre 62 ogni 100 abitanti. È il tasso più elevato tra i maggiori Paesi europei e rinnovare il parco auto, è facile intuire, costerebbe moltissimo.
Morale, segnala ancora l’analisi, «se dovessimo sostituire in 15 anni i 38 milioni di autoveicoli inquinanti con nuovi elettrici al prezzo medio di 25mila euro, la spesa annuale per l’acquisto di nuove auto raddoppierebbe: oltre 60 miliardi all’anno». Un livello fuori portata per molti.
La fine della proprietà
Non tutti, insomma, potranno permettersi di comprare un’innovativa Tesla o una Nissan ultimo modello. Ma le politiche pubbliche – o almeno questo è l’auspicio – potrebbero venire incontro alle nuove esigenze di mobilità. Meno incentivi all’acquisto e più attenzione per politiche di condivisione dei mezzi di trasporto, dunque, come ha suggerito a fine 2016 uno studio della Bocconi.
Nell’ipotesi dell’ateneo milanese, nel 2035 i veicoli elettrici circolanti in Italia dovrebbero essere circa 4 milioni ma la mobilità “con altri mezzi” dovrebbe aumentare. Secondo Legambiente, invece, lo scenario ideale prevede da qui a 12 anni una forte riduzione delle auto (non più di 18 milioni) compensata da altrettanti veicoli alternativi leggeri, elettrici ed elettro-muscolari. Sarà davvero così?
La crisi del fossile
Chissà. Una cosa però è certa: l’alternativa fossile, complici le polemiche sui livelli di emissione, attraversa una crisi profonda. «È crollato il mito europeo, prima ancora che italiano, del diesel motore efficiente e pulito» scrive Poggio. La verità – aggiunge – è che «per abbattere gli inquinanti, i motori perdono efficienza» con tutte le conseguenze del caso. Tradotto: si spinge di più e le emissioni totali di CO2 aumentano. E il gas, GPL o metano che sia? Dieci anni fa, vinceva il confronto con i combustibili tradizionali, oggi, al contrario, evidenzia «emissioni simili alla benzina».
In questo quadro, il mercato italiano sconta un ritardo strutturale. Rottamazioni e incentivi statali hanno condizionato per anni la domanda creando uno squilibrio senza eguali nel Continente. Ancora nel 2017, i veicoli diesel rappresentavano oltre il 50% delle immatricolazioni della Penisola, in crescita (+7%) nel confronto a 12 mesi. Ma l’inversione di tendenza è ormai in atto: nei primi cinque mesi di quest’anno le vendite a privati di veicoli diesel nuovi sono calate del 4,2%. I dati di settembre hanno confermato ampiamente il trend.