Come la Banca Mondiale finanzia la crisi climatica
Il presidente della Banca Mondiale David Malpass è sotto attacco per le sue posizioni negazioniste. Ma le colpe dell'istituto vanno ben oltre
New York, 20 settembre 2022. Il più importante quotidiano del mondo, il New York Times, ha invitato per un dibattito pubblico il più importante banchiere del mondo, David Malpass. L’evento è parte di un ciclo di incontri dedicato al riscaldamento globale, e il panel di fine settembre coincide con l’assemblea generale delle Nazioni Unite.
David Malpass è stato definito un negazionista climatico da Al Gore
Malpass dirige la Banca Mondiale, assieme al Fondo Monetario Internazionale il pilastro della finanza globale. È stato scelto per quel ruolo dall’amministrazione Trump, e solo poche ore prima aveva ricevuto un duro attacco da parte dell’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore. L’esponente democratico, in un’altra sessione dello stesso evento, aveva definito Malpass un climate denier, un negazionista climatico.
Il presidente della Banca Mondiale, interrogato sul tema, respinge le accuse snocciolando le iniziative in difesa del clima assunte durante il suo mandato. Il giornalista del New York Times che lo intervista sul palco, però, non si accontenta: «Lei quindi riconosce il consenso scientifico sul fatto che la combustione di fonti fossili voluta dall’uomo sta rapidamente e pericolosamente riscaldando il Pianeta?», gli chiede insistentemente. Malpass tenta più volte di sviare la conversazione. Il pubblico rumoreggia. Alla fine, incalzato, dà la sua risposta: «Non lo so, non sono uno scienziato».
Banca Mondiale, più promesse che certezze
Le dichiarazioni di Malpass, per quanto clamorose, non sono giunte inattese. Da anni esperti ed ecologisti denunciano le responsabilità della Banca Mondiale nel finanziare progetti legati all’oil&gas.
Durante la presidenza Malpass, la Banca si è posta l’obiettivo di destinare il 35% dei suoi investimenti a progetti legati alla lotta contro il riscaldamento globale. L’istituto si definisce per questo «il più grande finanziatore multilaterale di investimenti climatici nei Paesi in via di sviluppo». Un curriculum verde continuamente rivendicato: «Stanzieremo finanziamenti record per il clima e cercheremo soluzioni che aiutino i maggiori responsabili delle emissioni ad appiattire la curva dei gas ad effetto serra». Solo pochi anni fa Malpass si esprimeva in questo modo.
Tra quanti mettono in dubbio la buona fede dell’istituto c’è l’ong britannica Oxfam. In un report di poche settimane fa l’associazione ha cercato di ricostruire tramite dati pubblici gli investimenti che la Banca Mondiale propone come green. I risultati sono poco confortanti. Per oltre il 40% dei progetti, sostengono i ricercatori, non è stato possibile verificare in modo indipendente gli impatti positivi sul clima. Le dichiarazioni della Banca Mondiale sui suoi investimenti legati alla lotta contro il riscaldamento globale possono essere sovrastimate, scrive Oxfam, di oltre 7 miliardi.
Ambiente
Fonti fossili, la Banca mondiale getta sia acqua che benzina sul fuoco
Nel piano d’azione per il clima della Banca mondiale manca una promessa, la più importante: smettere di finanziare i combustibili fossili
Dalla Turchia all’Argentina: la Banca Mondiale finanzia il fossile
Se Oxfam mette in dubbio la bontà degli investimenti verdi targati Banca Mondiale, è la campagna “The Bigh Shift” a porre una pietra tombale sulla reputazione ambientale dell’istituto. La coalizione di ong ha tracciato 15 progetti finanziati dalla Banca Mondiale dalla firma dell’Accordo di Parigi nel 2015 ad oggi. Si tratta di gasdotti, impianti d’estrazione, centrali a carbone. Tutte infrastrutture in aperto contrasto con gli obiettivi stabiliti dalle Nazioni Unite e indicati dalla comunità scientifica.
Dieci di questi casi-studio consistono in finanziamenti diretti. Tra questi c’è la Trans-anatolic Pipeline. Un gasdotto che attraversa l’intera Turchia in lunghezza, dai confini azeri a quelli greci. Costituisce la tratta centrale del più ampio Corridoio Meridionale del Gas. L’insieme di infrastrutture che punta a collegare i ricchi giacimenti di gas dell’Azerbaigian con la rete di metanodotti europea. Un disegno faraonico che vede coinvolto in prima fila il nostro Paese. L’attracco finale del corridoio è infatti la Puglia. Il tratto conclusivo dell’opera altro non è che la tanto discussa TAP (Trans-adriatic Pipeline), da sempre contestata dalle comunità coinvolte e dagli ecologisti italiani. La Banca Mondiale garantisce gli investimenti relativi allo spezzone turco.
Dei dieci progetti finanziati direttamente, nove hanno a che far col gas. Solo uno riguarda il petrolio. Si tratta del prestito concesso alla Pan American Energy per espandere le sue raffinerie in Argentina.
Contratti, lobbismo e finanziamenti indiretti
Il peggiore dei combustibili fossili, il carbone, trova invece spazio tra i cinque progetti studiati da The Big Shift in cui la Banca Mondiale è coinvolta indirettamente. Sia in Sud Africa che in Indonesia i soldi della Banca sono andati alla costruzione di nuove centrali.
Ancora più complesso l’operato dell’istituto in Pakistan, Ghana e Guyana. Nel primo caso, i ricercatori rimproverano alla Banca di aver fornito al governo di Islamabad un pacchetto di analisi sulle politiche energetiche viziato da un atteggiamento conservatore. Nel secondo, l’accusa è quella di aver spinto il paese verso costosi ed inquinanti accordi per la fornitura di energia da combustibili fossili. Nel terzo caso, la Banca Mondiale avrebbe facilitato accordi capestro tra il governo della Guyana e alcuni delle principali aziende petrolifere mondiali.
L’istituto, già sotto la gestione Malpass, ha stanziato 55 milioni di dollari americani per lo sviluppo del settore oil&gas nella piccola nazione sudamericana. Contestualmente, ha aiutato la statunitense Exxon Mobil e la cinese China National Offshore Oil Corporation nell’ottenere i permessi necessari a nuove esplorazioni offshore. Un danno ecologico a cui si aggiunge la beffa economica. Uno dei contratti stipulati con Exxon, ad esempio, prevede che lo Stato riceva il 50% dei profitti, ma solo a partire dal momento in cui l’azienda sarà riuscita a ripagare al 75% i suoi costi. Di fatto, ad oggi, la Guyana riceve in cambio della licenza concessa royalties nell’ordine del 2% dei ricavi.
Una storia di false promesse
Le pessime performance ambientali della Banca Mondiale non sono una novità. Già nel 2020 l’ong tedesca Urgewald aveva messo in fila le responsabilità dell’istituto. Dalla firma dell’Accordo di Parigi, secondo i calcoli di Urgewald, la Banca Mondiale ha sostenuto il consumo di combustibili fossili in 38 Paesi con una spesa non inferiore ai 12 miliardi di dollari. Una cifra che gli stessi analisti ritengono probabilmente sottostimata.
Clima
«Aramco nemica del clima e dei diritti umani». Gli attivisti sfidano le banche
Il colosso saudita del petrolio arriva in Borsa. Dieci organizzazioni scrivono alle banche-sponsor: operazione incompatibile con gli obiettivi sul clima
«I miliardi di aiuti pubblici della Banca Mondiale stanno distorcendo il mercato a favore dell’energia fossile e a svantaggio delle rinnovabili, rallentando il cambiamento. Invece di creare una giusta transizione energetica, la Banca Mondiale sta lavorando ad una maggiore dipendenza dai combustibili fossili», è il commento di Urgewald.
Una Banca parte del problema
Inoltre, le maldestre uscite negazioniste di David Malpass hanno attirato le critiche del mondo ecologista e non solo. Negli Stati Uniti buona parte del Partito Democratico ha chiesto le sue dimissioni, e lo stesso ha fatto la stampa progressista.
Ma le responsabilità della Banca Mondiale vanno ben oltre le frasi infelici del suo presidente. Le agenzie ricordano molte dichiarazioni dello stesso Malpass ben più allineate con il consenso scientifico nel campo della climatologia. Questo non ha impedito a lui e alla sua squadra di investire massicciamente nel settore dei combustibili fossili, in aperto contrasto con le raccomandazioni dell’IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Clima
«Ora o mai più». L’IPCC indica la strada per salvare il clima della Terra
Pubblicata la terza parte del Sesto rapporto dell’IPCC sui cambiamenti climatici. Ecco cosa dobbiamo fare per vincere la battaglia
La strada per recuperare credibilità in campo ambientale, insomma, richiederebbe ben più di un cambio al vertice. Meno di un anno fa Friends Of the Earth International descriveva l’azione climatica della Banca Mondiale con un’efficace metafora: «È come se gettassero contemporaneamente acqua e benzina su una casa che va a fuoco». Con il passare del tempo, l’acqua sembra essere sempre meno. E la benzina – o, fuor di metafora, il finanziamento alle energie fossili – sempre più abbondante.