Mercati, finanza e speculazione: qualche consiglio a Joe Biden
Una finanza che torni ad essere al servizio dell'economia. Obama ci aveva provato, Trump aveva fatto marcia indietro. Biden dovrà lottare contro le lobby
È già stato indicato come il ritorno del “big government”. Parliamo del piano di Biden per rilanciare l’economia statunitense dopo la pandemia. Duemila miliardi di dollari (qualcosa come l’intero PIL dell’Italia) per investimenti in infrastrutture. Strade, ponti, ferrovie, ma anche “infrastrutture umane”, ovvero ricerca e formazione. E interventi per contrastare i cambiamenti climatici, a seguito del rientro nell’Accordo di Parigi. Dopo la decisione del suo predecessore, Donald Trump, di tirarsi fuori.
Sul lato delle entrate, si parla di una tassazione minima delle multinazionali – una proposta discussa in termini diversi anche dall’altro lato dell’Atlantico – e di rinforzare il contrasto ai paradisi fiscali e all’evasione ed elusione fiscale. Proposte che permetterebbero di reperire risorse e di andare nella direzione di una maggiore regolamentazione delle attività finanziarie.
Biden ponga la finanza al servizio dell’economia reale
Sì, perché è fondamentale un intervento pubblico per fare ripartire l’economia su binari diversi da quelli seguiti nel recente passato. Ma è altrettanto importante che la finanza privata faccia la sua parte. Fino a oggi, questo non è avvenuto. La Federal Reserve ha immesso montagne di liquidità, ma questa, come avvenuto anche in altre parti del mondo, solo in minima parte è passata dal sistema finanziario all’economia reale. Le Borse sono ai massimi storici, le grandi banche segnano profitti da record, ma disoccupazione e sistema produttivo non tengono il passo.
Come conseguenza, oltre al rischio di una nuova bolla finanziaria, le disuguaglianze già molto pronunciate negli Stati Uniti continuano ad aumentare. Il problema non è unicamente di giustizia sociale. Se sempre meno persone possiedono una fetta sempre più grande della ricchezza, diventa difficile sostenere i consumi e la domanda aggregata.
L’obiettivo – di Joe Biden e non solo – deve quindi essere quello di reindirizzare l’enorme liquidità che oggi gira su circuiti meramente finanziari, se non speculativi, verso investimenti e creazione di posti di lavoro. Le idee per andare in questa direzione non sono nuove, anzi. Si tratterebbe di mettere in pratica proposte già discusse e analizzate in passato.
Separare le banche commerciali da quelle di investimento
Prendiamo un esempio. Dopo la crisi dei mutui subprime, tanto le autorità europee quanto quelle statunitensi si sono interrogate su come evitare il ripetersi di simili disastri. Una delle richieste principali riguardava il separare le banche commerciali da quelle di investimento.
Le prime sono quelle che aprono conti correnti a persone e imprese. Quelle d’affari invece realizzano operazioni più complesse e spesso rischiose. Se i soldi dei correntisti finiscono in queste ultime, i problemi sono diversi. I clienti si assumono implicitamente i rischi, ma non partecipano agli eventuali profitti. Ancora prima, somme enormi vengono sottratte ai canali dell’economia per rimanere incastrate in meccanismi speculativi. Ancora, in caso di problemi o crisi finanziarie legate a tali operazioni speculative, le autorità pubbliche devono intervenire con piani di salvataggio, dietro la minaccia di conseguenze per famiglie e imprese. In pratica le banche “too big to fail”, troppo grandi per potere fallire senza trascinare a cascata l’intera economia, possono ricattare i governi in caso di problemi.
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In Europa si è fatto poco per rimediare a questi problemi. Malgrado un rapporto di esperti, commissionato dalle stesse istituzioni europee e guidato dal governatore della Banca centrale finlandese (rapporto Liikanen), mettesse al primo posto, tra le riforme da intraprendere, proprio la separazione tra banche diverse.
I passi avanti di Obama e quelli indietro di Trump
Negli Stati Uniti l’amministrazione Obama è andata più avanti. Nell’ambito del pacchetto di riforme noto come Dodd-Frank Act, era infatti stata introdotta la Volcker rule, dal nome dell’ex-governatore della Federal Reserve Paul Volcker. Non si tratta di una vera e propria separazione tra banche commerciali e di investimento, ma è un passo in quella direzione. Poiché proibisce alle banche di realizzare operazioni speculative con i depositi dei correntisti (il cosiddetto trading proprietario). Un primo passo, appunto, a cui avrebbero dovuto seguirne diversi altri.
Purtroppo negli anni dell’amministrazione Trump tali passi non si sono visti. Anzi, si è andati in direzione opposta. La stessa Volcker rule è stata indebolita nel corso del 2020, autorizzando le banche a compiere determinate operazioni prima vietate.
La sfida per Joe Biden
Questa è solo una delle misure che andrebbero adottate per riportare la finanza a essere uno strumento al servizio dell’economia. Le idee non mancano. Come detto, molte proposte sono già state studiate nel dettaglio e avanzate negli scorsi anni. L’aspetto più complesso non è, quindi, capire cosa fare, ma riuscire a scalfire il potere della lobby finanziaria. Una realtà che in questi anni, persino in quelli più difficili dopo la bolla dei subprime, ha saputo resistere a quasi ogni richiesta di maggiore regolamentazione o trasparenza. Probabilmente è questa la sfida maggiore che attende l’amministrazione Biden nei prossimi mesi.