Cop28. Perché il bilancio dell’azione per il clima deve includere una prospettiva di genere
Non si può redigere il Global Shocktake senza tenere in conto il tema della parità di genere. Se n'è discusso alla Cop28
Per la prima volta, alla Cop28 di Dubai si tenterà di negoziare, scrivere e approvare il Global Stocktake. Cioè un documento che spiega a che punto siamo, collettivamente, nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici. Come una sorta di bilancio da redigere ogni cinque anni. «Deve essere un processo importante per avanzare politiche e azioni climatiche giuste dal punto di vista di genere», tuonano le più importanti organizzazioni ecofemministe. Ricordando alle Parti l’importanza di un’analisi intersezionale, che guardi cioè anche in modo critico alle dinamiche di potere esistenti. E fornendo un’occasione per portare sui tavoli dei negoziati proposte che tengano in considerazione le categorie più colpite dalla crisi climatica. A cominciare dalle donne.
La crisi climatica ha impatti più pesanti su donne, Paesi in via di sviluppo e Stati insulari
Ecco perché la Women and Gender Constituency (WGC), uno dei nove gruppi di stakeholder della Convenzione quadro della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e composta da 33 organizzazioni della società civile attive nei settori dei diritti delle donne e della giustizia di genere, è arrivata alla Cop28 forte di un documento formale presentato nel mese di maggio. Il testo chiede espressamente che il Global Stocktake riconosca gli impatti differenziati dei cambiamenti climatici sulle donne, sui Paesi in via di sviluppo e sugli Stati insulari di piccole dimensioni.
Fra le varie proposte divise anche per area geografica, con un focus su Asia, Africa, America Latina e Caraibi, il WGC si è focalizzato anche sul loss and damage, il fondo per risarcire le perdite e i danni che i Paesi più vulnerabili subiscono a causa della crisi climatica. Il WCG chiede di riconoscere il genere come un problema trasversale, considerando che donne e ragazze sono spesso le più colpite.
Gli studi scientifici degli ultimi anni, tra cui il report del Parlamento europeo “The Gender Dimension of Climate Justice”, sottolineano quanto gli impatti dei cambiamenti climatici siano sproporzionati sulle comunità più vulnerabili e marginalizzate e sulle donne. Quest’ultime, in particolare, sono affette dal punto di vista biologico, perché – ad esempio – sono più esposte a problemi cardiovascolari. Ma anche dal punto di vista sociale, perché ricoprono maggiormente quei ruoli tradizionali che le pongono a contatto con l’ambiente, come la gestione dell’agricoltura di sussistenza o la raccolta di acqua.
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A che punto è l’Obiettivo di sviluppo sostenibile 5, sulla parità di genere
Dopotutto, lo aveva dichiarato anche la direttrice esecutiva di UN Women Sima Bahous alla prima sessione ordinaria del comitato esecutivo delle Nazioni Unite di quest’anno. Facendo riferimento al report finale del 2022 che evidenziava come i cambiamenti climatici, i recenti conflitti armati e la pandemia avessero fatto fare dietrofront ai progressi sulla parità di genere. Un obiettivo messo nero su bianco anche nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. «L’Obiettivo di sviluppo sostenibile 5 è uscito fuori dalla sua rotta: al ritmo attuale il suo raggiungimento è stimato fra circa 300 anni».
Un’analisi che non poteva certo passare inosservata agli occhi delle Organizzazioni ecofemministe, che hanno quindi evidenziato la necessità di riconoscere il ruolo cruciale della piena e paritaria partecipazione e leadership delle donne nei processi decisionali sul clima. A tutti i livelli. Ma anche il bisogno di meccanismi robusti di monitoraggio e segnalazione per tracciare i progressi nell’azione climatica e promuovere trasparenza e integrità nell’attuazione dell’Accordo di Parigi.
Un appello alla comunità scientifica: disaggregare i dati per genere
Il 9 dicembre, la tavola rotonda della presidenza ha ospitato un incontro storico che ha coinvolto senatrici, rappresentanti di UN Women, WGC, IUCN (International Union for Conservation of Nature) ed esponenti delle comunità indigene. L’argomento al centro della discussione era proprio il Global Gender Stocktake. Lo scopo era quello di misurare e valutare le metriche riguardanti la parità di genere in risposta al Global Stocktake e in tutte le azioni climatiche, creando uno strumento di responsabilità pluriennale.
Come previsto dall’Accordo di Parigi, i singoli Stati hanno presentato le nationally determined contributions, cioè le loro promesse di riduzione delle emissioni. Ma «solo 55 fra le NDC (hanno riferimenti espliciti all’adattamento climatico in relazione alla popolazione più vulnerabile e solo 23 riconoscono le donne come un agente di accelerazione per il contrasto ai cambiamenti climatici», ha dichiarato Jemimah Njuki, Chief of Economic Empowerment di UN Women, chiudendo la sessione. «La connessione fra cambiamenti climatici e parità di genere deve finalmente essere riconosciuta e portare ad azioni concrete. Senza dati non possiamo portare alla luce le criticità ed evidenziare i progressi fatti».
A più riprese, durante l’incontro, è stato ricordato alla comunità scientifica quanto sia necessario avere a disposizione dati delle ricerche disaggregati per genere. Questo renderebbe possibile maneggiare statistiche più etiche e trasparenti, oltre a rendere le decisioni, la pianificazione e il monitoraggio più efficaci. Tanto nelle politiche, quanto nelle azioni climatiche.