Il sistema italiano d’accoglienza? Il problema è l’opacità, non i costi
In 5 anni spesi 7,5 miliardi. Ma il più delle volte, le prefetture usano procedure negoziate e affidamenti diretti. E i controlli sono pochissimi
Quanto costa, davvero, il sistema di accoglienza straordinario in Italia, quello che verrà potenziato dal decreto Sicurezza voluto dal Ministro dell’Interno Matteo Salvini, a discapito del modelo Sprar dei comuni?
Solo nel 2017, l’importo a base d’asta degli appalti gestiti dalla prefetture registrato dall’Autorità Nazionale Anticorruzione su elaborazione Openpolis, ammonta a ben 3,831 miliardi di euro, con una spesa media di 1,297 milioni di euro per gara. Dal 2013 al 2017 oltre 7,5 miliardi di euro, a fronte di 12.715 contratti. Fondi gestiti, però, con scarsa trasparenza, mancanza di coerenza nelle procedure di assegnazione dei bandi, disomogeneità delle stime e delle voci di spesa.
Un esempio su tutti: la presenza di affidamenti diretti, in deroga alle soglie previste dal codice degli appalti, per somme che vanno dai 68mila euro ai 688mila euro, in pressoché totale mancanza di dati aperti e verificabili.
Centri d’accoglienza straordinaria, l’84% dei bandi è scritto male (e aiuta i furbi)
Un immane lavoro di indagine e accesso agli atti
Lo scenario è fotografato dal rapporto “Centri d’Italia”, stilato da Openpolis in collaborazione con Actionaid, che hanno rielaborato solo fonti ufficiali e utilizzato il Freedom Information Act (FOIA), il diritto di accesso alle informazioni della pubblica amministrazione, per scoprire quello che, ancora, trasparente non è.
Un imponente lavoro di monitoraggio e verifica della spesa pubblica sull’accoglienza straordinaria dei migranti e dei richiedenti asilo, a partire dalla Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Autorità nazionale Anticorruzione, e le informazioni reperite dai siti delle prefetture.
La logica dell’emergenza aiuta il malaffare
Perché, a differenza del modello Sprar che ha un’organizzazione centralizzata, procedure standardizzate e una gestione trasparente delle informazioni, i centri di accoglienza straordinaria (Cas) rispondono a una logica emergenziale.
È proprio nell’emergenza e nell’amministrazione non ordinata che possono più facilmente annidarsi la cattiva gestione e il malaffare. Basta ricordarsi della cronaca giudiziaria in questi anni, a partire da Mafia Capitale.
La capacità ricettiva del nostro sistema di accoglienza è passata da circa 66mila nel 2014 a 176mila posti nel 2016. Ma, sottolineano Openpolis e Actionaid, nel 2017 i numeri non si sono discostati di molto dall’anno precedente. I dati per il 2018 mostrano per ora un calo moderato, nonostante il numero di arrivi si sia considerevolmente ridotto, in seguito agli accordi con la Libia e alla “chiusura” dei nostri porti, in violazione alle norme violazioni europee e nazionali in tema di salvataggio in mare e diritto di asilo.
Nonostante ciò, la riduzione degli arrivi non è coincisa con una diminuzione del numero di persone in accoglienza, per via dei lunghi tempi di permanenza nei Centri di accoglienza straordinaria, tre volte più lunghi di quelli negli Sprar: nel 2017 erano necessari ben 18 mesi alle commissioni territoriali per valutare le richieste di asilo, come hanno documentato la Fondazione Cesvi Onlus e l’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale).
Prefetture, tra massima collaborazione e muri di gomma
Ma quanti, dove e quali sono i centri di accoglienza straordinaria (Cas) nel nostro Paese, quante persone accolgono, quanto spendono, in quali condizioni? La pagina dedicata del Ministero dell’Interno è stata aggiornata per l’ultima volta nel 2015. Secondo la Corte dei Conti a quell’epoca le strutture temporanee di prima accoglienza, ammontavano a 2.332 unità, sparse sul territorio.
Anche per questo Openpolis ha inviato a tutte le prefetture d’Italia centinaia di richieste di accesso. Il quadro che ne è emerso, è stato definito, dai ricercatori di Openpolis, “problematico”, sia per atteggiamento adottato (dalla massima apertura e collaborazione al completo rifiuto di comunicare le informazioni) sia per la completezza e la qualità dei dati forniti. È una conferma di quanto necessarie siano le raccomandazioni che la Corte dei Conti ha inviato agli uffici territoriali del Governo affinché si impegnino ad «effettuare, preventivamente, i controlli antimafia, economici e strutturali sui soggetti privati, gestori, che saranno chiamati ad erogare i servizi».
Il rischio di bloccare il miglioramento in atto
Scendendo nel dettaglio, l’analisi mette in luce come il ricorso alle procedure per l’affidamento degli appalti, sia notevolmente cambiato tra il 2012 e il 2017. Vero è che, negli anni, sono aumentati gli importi messi a bando con procedure aperte e affidamenti diretti in adesione ad accordo quadro, a fronte di una quota ridotta di affidamenti diretti.
C’è un miglioramento in atto, che potrebbe però nuovamente rallentare, per via dello smantellamento del Sistema Sprar e la sospensione dei bandi già assegnati nel 2018 voluta dal Viminale con la circolare del 24 luglio, che dovranno essere rinegoziati con il nuovo capitolato concordato con ANAC.
Il decreto Sicurezza indica la possibilità di utilizzare la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara, sempre “con la vigilanza collaborativa dell’Autorità nazionale anticorruzione” . Sarà sufficiente, quando il ricorso a procedure semplificate comporta un abbassamento del livello di trasparenza sia nella gestione di fondi pubblici che nella possibilità di monitorare l’affidamento di servizi?
Sale il limite per gli affidamenti diretti: da 40mila a 150mila euro
Ricordiamo che gli affidamenti diretti sono altra cosa rispetto alle procedure negoziate. Il codice degli appalti del 2016 prevedeva gli affidamenti diretti fino a 40mila euro, e poi varie soglie per le procedure negoziate, con chiamate di 5, 10 o 15 operatori.
La riforma al codice introdotta in legge di bilancio 2019, che desta preoccupazione delle associazioni antimafia, ha innalzato la soglia da 40mila a 150mila euro per gli affidamenti diretti, e la procedura negoziata tra i 150mila e i 350mila euro.
Le prefetture non amano i bandi (né i controlli)
Resta il fatto che, secondo i dati rielaborati da Openpolis e Actionaid, c’è stato il ricorso a procedure semplificate, da parte delle prefetture, per affidamenti che hanno un valore medio altissimo e fuori soglia, pur facendo riferimento alle deroghe del d.lgs 142/2015 e del codice degli appalti.
Come i 688 milioni di euro della prefettura di Roma, i 673 milioni di euro della prefettura di Genova, i 278 milioni di euro della prefettura di Trapani. Quest’ultima ha messo a bando tra il 2012 e il 2018 più di 73 milioni di euro attraverso 337 contratti in affidamento diretto.
In pratica da Trapani arriva il 20% di tutti i contratti in affidamento diretto effettuati dalle prefetture italiane in materia di accoglienza.
Miliardi, spesi senza un adeguato controllo e monitoraggio. Sulla pelle dei migranti e con le tasche dei contribuenti. Infatti una domanda è obbligatoria: chi controlla, poi, il rispetto degli obblighi contrattuali, la qualità dei servizi e le condizioni degli ospiti dei centri? «Il monitoraggio è fatto male o non è fatto con costanza, ora come in passato» rivela Alfredo Biondo dell’associazione italiana Borderline, ad Openpolis.
Le associazioni si sostituiscono alle prefetture nei controlli
Il quadro delineato dall’associazione Borderline, attiva in Sicilia dal 2008, proprio per raccontare le situazioni di disagio dei migranti arrivati nell’isola, a partire dai tantissimi minori non accompagnati, è preoccupante. «Oggi c’è una struttura ministeriale che dovrebbe monitorare tutti i Cas d’Italia e che sporadicamente va nei vari territori. Tutte le prefetture a cominciare da Trapani hanno personale risicato, una, due persone che dovrebbero fare tutto, compreso il monitoraggio, e non ce la fanno».
Così, a muoversi per verificare le condizioni dei richiedenti asilo, sono le tanto bistrattate organizzazioni umanitarie e Ong. Racconta Biondo: «Chiediamo di volta in volta l’autorizzazione per andare a monitorare il centro che ci viene indicato magari tramite ragazzi, tramite qualche operatore. Poi contestualmente al report che pubblichiamo, portiamo a conoscenza della prefettura le situazioni che troviamo e facciamo lo stesso con Unhcr, Oim o Save the Children se riguarda minori».