L’accoglienza modello-Salvini? Triplicherà i costi. Azzerando i servizi
I documenti ufficiali ANCI depositati alla Camera denunciano: nei megacentri, si spenderanno 14mila euro per migrante. Con il sistema SPRAR se ne spendevano 6300
Più grandi, senza gare pubbliche e con un sistema di costi che, pur avendo costi medi inferiori, farà però spendere di più allo Stato. Per pochi grandi soggetti imprenditoriali senza troppi scrupoli saranno garantiti profitti maggiori. Per i migranti non ci sarà invece alcun obiettivo di integrazione o assistenza e un destino certo di emarginazione sociale. Saranno così i centri di “accoglienza” versione Salvini: il ministro degli Interni punta a renderli sempre più simili, senza pena di smentita, a delle strutture di detenzione.
Ma il nuovo sistema, ratificato dal cosiddetto “decreto Sicurezza” e dai tagli in legge di bilancio, costerà meno? Basta leggere i numeri ufficiali per poter dire: assolutamente di no. Nelle strutture del Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e Rifugiati (il cosidetto SPRAR), gestite dai Comuni, ora fortemente indebolite dalla riforma, mediamente, un migrante costa circa 6300 euro. In un Centro di Accoglienza Straordinaria (i cosiddetti CAS) da 10 a 14mila. A rivelarlo non è qualche pamphlet dei partiti d’opposizione. Sono invece i documenti ufficiali depositati dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) alla commissione Affari Costituzionali della Camera.
Negli SPRAR tempi di permanenza molto inferiori
Come è possibile? Il calcolo è tutto sommato semplice. L’ANCI parte dalla media giornaliera di 35 euro al giorno, quella contro la quale si è scatenato il ministro dell’Interno. Se si considera il costo quotidiano, il sistema dei CAS e quello degli SPRAR si equivalgono.
Ma c’è un fattore chiave da non sottovalutare: la durata della permanenza nelle due diverse realtà: «Un migrante resta in media in uno SPRAR 6 mesi, durante i quali riceve formazione linguistica e professionale. Quindi costa agli italiani circa 6300 euro» confermano da Anci Migrazione. «Nei centri di accoglienza straordinaria (CAS), i richiedenti asilo restano da un anno e mezzo ai due anni, spendendo da 10 a 14mila euro a migrante». E d’ora in poi non riceveranno nemmeno formazione linguistica e professionale.
Un risparmio solo apparente
Ecco, quindi, che le iniziative del ministro dell’Interno, per ridimensionare quei famosi 35 euro a migrante, potrebbero rivelarsi un vero e proprio autogol. A partire dal decreto Sicurezza, entrato in vigore il primo dicembre, che cancella il permesso di soggiorno per motivi umanitari, e lo sostituisce con permessi di soggiorno “speciali” che possono essere rilasciati solo in casi estremi. L’effetto finale, contraddittorio, sarà quello di sfavorire sia l’integrazione sia l’espulsione, in mancanza di procedure e strutture mirate.
Aumenteranno così gli irregolari, i disperati pronti ad ingrandire l’esercito di chi vive di espedienti. Secondo l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (Ispi), saranno almeno 140mila unità, in appena 30 mesi, tra giugno 2018 e dicembre 2020.
A risentirne saranno proprio le 1800 amministrazioni comunali della rete Sprar, che hanno accolto, in questi anni, la maggior parte di chi era in possesso di un permesso per motivi umanitari, favorendo l’integrazione e la qualità della vita sia dei richiedenti asilo sia delle comunità che li hanno accolti.
Il resto del danno lo faranno i tagli effettuati in legge di bilancio: 400 milioni di euro nel 2019, 550 milioni nel 2020 e 650 milioni a decorrere dal 2021. Quasi il 12% di quei 3,4 miliardi di euro di spesa viva per l’accoglienza previsti nel Documento di Economia e Finanza dal governo Gentiloni per il 2018.Con una stima complessiva di spesa tra i 4,6 e 5 miliardi di euro, in cui sono compresi il 18,9% impiegato per il soccorso in mare e il 12,7% per l’istruzione e la sanità.
Una bomba sociale a orologeria
E saranno proprio i servizi per l’inclusione, a partire dai corsi di lingua italiana e la copertura sanitaria a essere eliminati o ridotti nel nuovo sistema. Il risultato? «Tensioni sui territori e l’intasamento dei servizi a bassa soglia del welfare, con un danno alle fasce più deboli della popolazione residente» sottolineano da Anci.
Dal 2019, infatti, i comuni avranno a loro carico le spese socio sanitarie per la vulnerabilità, che nel 2017 ammontavano a 280 milioni di euro. Poveri contro poveri, quindi, ancora una volta.
Ma se da una parte il Viminale smantella il Sistema di Protezione per i richiedenti asilo e rifugiati cardine del decreto legislativo 142/2015, sarà sempre lo stesso ministero dell’Interno, a controllare, indirettamente, i finanziamenti per i nuovi centri di accoglienza straordinaria (CAS), gli Hotspot e i nuovi Centri di permanenza e rimpatrio (Cpr, ex Cie Centri di Identificazione e Espulsione) oltre a dover riorganizzare il sistema di asilo.
Come? Attraverso nuovi bandi di gara delle prefetture, dopo aver sospeso quelli già assegnati nel corso del 2018, come previsto dalla circolare di luglio del ministro Salvini e dopo che lo stesso ha annunciato, lo scorso novembre, di aver redatto un nuovo capitolato d’appalto in collaborazione con ANAC.
Obiettivo: migranti stipati in mega-centri senza far nulla
Il meccanismo mira alla concentrazione del flusso migratorio nei centri di prima accoglienza di grandi dimensioni. In questo modo punta a favorire la gestione dei privati che, in virtù delle economie di scala garantite dai grandi numeri, potranno portare i costi vivi dai 30 ai 35 euro accertati dalla Corte dei Conti, alla forbice tra 19 e i 26 euro a persona accolta al giorno, come ha calcolato il rapporto di InMigrazione. E, nonostante questo, aumentare i loro margini di profitto, grazie all’azzeramento dei servizi utili alla formazione e all’integrazione.
Assegnazioni anche senza bandi di gara
Per accelerare, le prefetture potranno fare “ricorso alla procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara”, riuscendo a ottenere la vigilanza collaborativa dell’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
Tutto ciò, in contraddizione con quanto già rilevato dalla Corte dei Conti, che ha riscontrato situazioni contabili “inattendibili” all’interno delle stesse prefetture. Tanto da non considerare ammissibile “l’affidamento dei servizi di accoglienza a terzi operatori economici, senza adottare alcuna procedura di evidenza pubblica”.
In ballo ci sono i principi di trasparenza e concorrenza, dal momento che l’aspetto dell’immigrazione non può essere più gestito come “fenomeno emergenziale”. Già, proprio quei principi che venendo a mancare hanno favorito la penetrazione della malavita organizzata, pensiamo all’inchiesta Mafia Capitale e di chi ha fatto, in questi anni, dell’immigrazione il proprio business, a discapito degli stessi migranti e dei cittadini italiani. Il giro d’affari degli appalti, come calcolato da Openpolis, solo nel 2017, ha superato i 3 miliardi. La cui gestione però, è ancora troppo opaca.