Benvenuti al Nord. Welfare addio, i rifugiati nelle mani del business privato
Dalla Scandinavia alla Germania l’accoglienza dei rifugiati è affidata alle compagnie private. Aziende “familiari” che non amano fornire informazioni
Per i rifugiati diretti in Europa, il nord del Continente rappresenta una meta legittimamente – e sottolineiamo con forza l’avverbio – ambita. Approdo sicuro, almeno sulla carta. Accoglienza e sostegno come da tradizione. Ma proprio questi elementi, negli anni, sono stati messi in qualche modo in discussione. Lo evidenzia la parabola di due aziende di “successo”: la norvegese Hero e la tedesca Homecare. Ad occuparsi dei richiedenti asilo, lì, sono soprattutto loro. E il modello che rappresentano è al centro delle polemiche.
Da un lato, c’è la loro stessa esistenza, sintomo di un welfare pubblico che abdica scientemente al business privato e alle sue ragioni. Dall’altro c’è la loro struttura strettamente familiare, ma nel senso meno nobile del termine. Quello, per capirci, che caratterizza le compagnie private che non amano fornire molte informazioni. Le stesse compagnie che tra molte controversie – più o meno gravi – registrano fatturati a sette o otto zeri.
Due fratelli e una banca
Hero Norge AS è la creatura dei fratelli Roger e Kristian Adolfsen. Secondo le informazioni fornite dalle banche dati del provider Bureau van Dijk, l’azienda è l’ultimo anello di una catena di partecipazioni uniche, che ha al suo vertice un’altra impresa: la Hospitality Invest SA. Gli Adolfsen ne controllano il 90,51% delle quote attraverso due società: Mecca Invest AS (partecipata al 100% da Roger Adolfsen) e Klevenstern AS (proprietà esclusiva di Kristian).
Tra gli azionisti di minoranza ci sono alcuni investitori come l’imprenditore Geir Hjorth (attraverso la controllata Kronhjorten AS), che ha interessi in 16 diverse compagnie di vario genere (immobiliare, ristorazione, produzione di birra) e, soprattutto, l’istituto DNB Bank. DNB è controllata per un terzo circa dal Ministero dell’Industria e della Pesca (Nærings- og fiskeridepartementet) e al 6% circa dalla Folketrygdfondet, la società di gestione che opera per conto del fondo sovrano norvegese (Pensjonsfondet). Tra gli azionisti privati della banca: Vanguard, Deutsche Bank, Schroders e Blackrock.
Una galassia di 171 società
In base ai dati reperiti da Valori consultando le medesime banche dati, risulta che Kristian Adolfsen abbia interessi in 71 compagnie attive nei settori immobiliare, alberghiero, edilizio e del residential care. Roger opera in 87 diverse società dei medesimi comparti. In totale le società partecipate della galassia Hospitality sono 171, buona parte delle quali in Norvegia. Le restanti sono concentrate in Svezia, Danimarca, Olanda e Finlandia, con l’eccezione di una piccola società thailandese: la Thai Tour Golf Co Ltd.
Dal picco rifugiati alla crisi
Gli Adolfsen sono entrati nel business nel 2013 quando hanno acquistato la Hero dalla danese ISS Facility Services sborsando, secondo Bloomberg, circa 22 milioni di dollari. Hero operava in Norvegia fin dal 1987 e al momento dell’acquisto, nota ancora l’agenzia, gestiva 32 centri di accoglienza per richiedenti asilo. Nel 2016, l’anno del picco dei profitti, la società controllava 90 centri in Norvegia e 10 in Svezia.
Le polemiche non mancano: Hero, in particolare, è vista dagli osservatori più critici come un simbolo della progressiva espansione del welfare privato a danno dello Stato sociale tradizionale. I governi di Oslo e Stoccolma pagano quote fisse comprese tra i 31 e i 75 dollari al giorno per ospite lasciando alla società un margine di profitto molto basso: più o meno il 3,5%. Detto in altri termini per ottenere guadagni significativi Hero deve operare sui grandi numeri.
Il 2017 è stato un anno difficile per gli Adolfsen. Il crollo dei richiedenti asilo in Norvegia (-48% rispetto al 2016 secondo l’istituto statistico norvegese), nota il quotidiano economico di Oslo Dagens Næringsliv, ha avuto un riflesso diretto sulla performance aziendale: i profitti della Klevenstern sono stati pari ad appena 19 milioni di corone (1,9 milioni di euro al cambio attuale), l’89% in meno rispetto all’anno precedente (168,5 milioni di corone o 17,1 milioni di euro); quelli della Mecca Invest hanno raggiunto quota 20 contro i 170 registrati nel 2016. Viene da chiedersi se la conglomerata norvegese sceglierà di seguire l’esempio di ORS puntando sui Paesi del Mediterraneo. In tal senso la “nuova” Italia del duo Salvini-Di Maio potrebbe fare al caso suo.
Germania: l’uomo Korte al comando
A dominare il mercato tedesco è invece la European Homecare, un’altra azienda a conduzione familiare. La società nasce nel 1989 come Korte & Mrosek, frutto di un sodalizio tra due operatori: l’insegnante Fritz Mrosek e l’imprenditore della plastica Rolf-Dieter Korte. Il primo si era lanciato nel business dell’accoglienza già a metà degli anni ’80 quando i primi rifugiati provenienti dall’Unione Sovietica avevano iniziato ad arrivare in Germania Ovest. All’epoca, ha ricordato il quotidiano Waldeckische Landeszeitung (WLZ), le amministrazioni locali erano ben liete di delegare ai privati.
«Era come una licenza per stampare soldi»
Il botto, però, Rolf e Fritz lo fanno negli anni ’90 quando i numeri degli arrivi iniziano a farsi interessanti: la compagnia si espande dall’Assia, la regione di Francoforte, fino alla Polonia, l’Austria e l’ex DDR. Il business è particolarmente redditizio: «Era come una licenza per stampare soldi» ricorda un ex dipendente al WLZ. Iniziano anche a venire alla luce le prime controversie: i centri sono sovraffollati, la tensione è alta. In un campo profughi di Traiskirchen, in Austria, scoppia una rissa e un rifugiato ceceno ci lascia la pelle. Qualche tempo dopo, una cittadina del Camerun richiedente asilo accusa una guardia di averla violentata. Nel 2012 Homecare abbandona il Paese di Mozart.
Yacht, migranti e fatturato alle stelle
Nel frattempo sono cambiate molte cose. Mrosek è uscito di scena e il controllo della compagnia è ora interamente nelle mani di Sascha, il figlio di Rolf. Sascha Korte, dicono i dati di Bureau van Dijk, ha interessi in 30 compagnie dei settori più diversi: dall’immobiliare al catering, dai servizi sanitari alla vendita di componenti per auto (Sidney Industries GMBH, mezzo milione di dollari di fatturato alla fine del 2015).
Korte jr è anche amministratore unico della SailActive SL, una società di noleggio yacht con sede a Palma di Maiorca, in Spagna. La gestione dei rifugiati, però, continua ad essere l’affare più redditizio: Homecare ha chiuso il 2016 – l’ultimo anno per il quale esistono dati – incamerando ricavi per 279 milioni di euro, contro i 178 milioni del 2015, i 39 del 2014 e i 17 del 2013. Nel 2012 i dipendenti della società erano 182; quattro anni più tardi erano 2.700.
Homecare in tribunale
Alla fine però i guai sono arrivati. A novembre, presso la corte distrettuale di Siegen, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, si è aperto un processo a carico di 31 operatori del centro Homecare di Burbach accusati di maltrattamenti ai danni dei rifugiati. Un altro procedimento è aperto contro altri sette dipendenti che, secondo il settimanale Der Spiegel, avrebbero già «parzialmente confessato».
La prima denuncia risale al 2014 e la ricaduta d’immagine è stata evidente. Nonostante ciò, tuttavia, Homecare ha continuato a ricevere nuovi appalti: pur perdendo la gestione del centro di Burbach, alla fine dello stesso anno la società ha siglato un contratto da 200mila euro per la conduzione di un centro a Gifhorn, in Bassa Sassonia, grazie ai costi particolarmente competitivi garantiti dalla stessa. La valutazione dell’azienda, segnala ancora Bureau van Dijk, si aggira oggi sui 400 milioni di euro.