Il Recovery Fund europeo ha dimenticato il clima?
La Commissione europea ha indicato che il 30% del Recovery fund stanziato per uscire dalla crisi dovrà essere “green”. Ma i dubbi sono molti
Il Recovery Fund – noto anche come Next Generation EU – è un piano di rilancio economico presentato il 27 maggio dalla Commissione europea. Dotato di 750 miliardi di euro, dovrebbe consentire alle economie degli Stati membri di superare la crisi generata dal coronavirus. Per questo, è stato celebrato (almeno da una parte dei governi del Vecchio Continente) come una vittoria.
Il piano Next Generation EU punta a mantenere la “carbon neutrality”, ma…
Il programma di rilancio individuato da Bruxelles, tuttavia, rappresenta da un lato un compromesso tra i Paesi che si opponevano ad una solidarietà intra-europea troppo marcata e quelli che hanno maggiormente bisogno di sostegno. Dall’altro, lascia ancora aperte numerose questioni. Su tutte, quella relativa agli obiettivi ambientali e climatici indicati dall’Unione europea stessa nel suo Green Deal. Ovvero nel piano di transizione ecologica presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen alla fine del 2019.
Il Green Deal ha indicato infatti, a chiare lettere, la necessità di raggiungere la “carbon neutrality” entro il 2050. Ovvero l’azzeramento delle emissioni nette di CO2. Un obiettivo giudicato perfino insufficiente da alcune associazioni ambientaliste. Secondo le quali occorrerebbe anticipare di molto la data, se si vorrà rispettare l’Accordo di Parigi sul clima del 2015.
L’Accordo di Parigi è un documento d’intesa tra le nazioni facenti parte dell’UNFCCC che è stato raggiunto nel 2015 al termine della Cop21.ApprofondisciIl punto è che la necessità di riavviare la macchina economica europea potrebbe invece spingere i governi a farlo “ad ogni costo”. Perpetuando il cosiddetto “business as usual”. E senza curarsi troppo degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serraGas che compongono l’atmosfera terrestre. Trasparenti alla radiazione solare, trattengono la radiazione infrarossa emessa dalla superficie terrestre, dall'atmosfera, dalle nuvole.Approfondisci.
Il progetto previsto nell’ambito del Recovery Fund, in questo senso, non offre particolari garanzie. Sono al contrario molte le “zone grigie” e i dubbi. Innanzitutto è bene ricordare le cifre. Il “piano Marshall” post-coronavirus prevede lo stanziamento di 750 miliardi di euro. Finanziati grazie ad un prestito (dispositivo inedito) contratto dalla Commissione a nome degli Stati membri. Il cui rimborso è previsto non oltre il 2058.
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Difficile, per ora, sapere come saranno spesi i soldi del Recovery Fund
Di tale imponente cifra, 390 miliardi di euro saranno distribuiti agli Stati membri sotto forma di sovvenzioni. Il cui 70% andrà a programmi nazionali di rilancio, con stanziamenti previsti tra il 2021 e il 2022. Il restante 30% arriverà invece nel 2023. Altri 360 saranno invece concessi sotto forma di prestiti.
Ad oggi, però, non è possibile sapere quali progetti beneficeranno di tali fondi. Soltanto per poche voci sono state fornite indicazioni più precise: 5 miliardi alla ricerca, 7,5 allo sviluppo rurale. E ancora 10 miliardi al Fondo per la transizione giusta. Quest’ultimo consacrato al sostegno delle regioni più in ritardo nella transizione energetica.
Tuttavia, l’Unione europea ha fissato un obiettivo generale: il 30% del piano di rilancio dovrebbe essere consacrato a progetti di lotta ai cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondisci. E, ancor più in generale, non dovrà essere messo in discussione l’azzeramento delle emissioni nette fissato dal Green Deal.
Il tentativo di “pilotaggio dall’alto” della Commissione europea
Inoltre, l’Ue punta a trovare nuove entrate applicando politiche fiscali “verdi”. A cominciare da una tassa sulla plastica non riciclata, che salvo sorprese dovrebbe cominciare ad essere applicata a partire dal 2021. La Commissione è stata inoltre incaricata di presentare una proposta di “meccanismo di aggiustamento alle frontiere” per quanto riguarda le emissioni di biossido di carbonio. In questo modo, dovrebbe essere aumentato il prezzo dei prodotti fabbricati all’estero in modo dannoso per il clima. Allo stesso modo, l’organismo esecutivo di Bruxelles dovrà rivedere il sistema dei cosiddetti carbon credit. Ovvero i “diritti ad inquinare” acquisiti sul mercato attraverso l’Emissions Trading System (ETS).
«La Commissione – ha spiegato Nicolas Berghmans, dell’Istituto per lo Sviluppo sostenibile e le Relazioni internazionali (IDDRI) di Parigi – ha indicato delle prime proposte per rendere l’uso dei fondi compatibile con la transizione ecologica. Immagina ad esempio di prendere in considerazione i Piani nazionali energia-clima. E punta ad applicare la regola del “Do-no-harm” (“Senza impatto negativo”) per gli investimenti pubblici, prendendo in considerazione anche la tassonomia europea».
Tuttavia, secondo l’esperto, tutto dipenderà da come i governi decideranno di applicare, concretamente, tale tentativo di «pilotaggio dall’alto». Di qui la domanda centrale alla quale si attende una risposta: «Che cosa faranno gli Stati membri del denaro messo a disposizione dall’Europa? Su questo la mobilitazione di esperti e società civile potrà essere determinante».
Immagine di apertura di John Polly (www.johnpollyfarmer.com.au)
Traduzione della vignetta a cura di Luca Gariboldi