La storia delle Conferenze delle Parti (Cop)

Le Conferenze delle Parti (Cop) sono gli strumenti di cui le Nazioni Unite si sono dotate per cercare di risolvere il problema dei cambiamenti climatici

Per cercare di risolvere in modo comune un problema globale come quello dei cambiamenti climatici, le Nazioni Unite, a partire dal 1992, hanno deciso di organizzare un summit chiamato Conferenza delle Parti (Cop). La prima si è tenuta a Rio de Janeiro, in Brasile. Il suo obiettivo dichiarato di «raggiungere la stabilizzazione delle concentrazioni dei gas serra in atmosfera a un livello abbastanza basso per prevenire interferenze antropogeniche dannose per il sistema climatico».

Il protocollo di Kyoto

Fu dunque stabilito il legame tra i comportamenti umani e il riscaldamento globale. All’epoca, tuttavia, ci si accontentò di indicare che sarebbe stato sufficiente “stabilizzare” le emissioni. Cinque anni più tardi, a Kyoto, in Giappone, si tenne la Cop3. L’11 dicembre 1997 viene adottato il Protocollo che prende il nome della città nipponica. Per la prima volta viene imposto un obbligo di riduzione (e non più, dunque, di stabilizzazione) delle emissioni di CO2 in atmosfera. Ma rivolto soltanto ai Paesi più ricchi e più responsabili delle stesse. La riduzione globale media avrebbe dovuto essere pari al 5%, entro il periodo 2008-2012, rispetto ai livelli che si sono registrati del 1990.

Sono stati necessari però sette anni per far sì che, il 16 febbraio 2005, il Protocollo entrasse in vigore (grazie alla ratifica della Russia, fondamentale dopo il no degli Stati Uniti).

La Cop di Bali

Nel 2007, la Cop13 si tenne a Bali, in Indonesia. In quell’occasione prende vita un piano d’azione finalizzato a raggiungere un accordo globale. Il suo scopo avrebbe dovuto comprendere un aumento degli obblighi di riduzione della CO2 dei Paesi ricchi e l’inclusione, per la prima volta, delle economie emergenti (come Cina, India e Brasile), finora senza alcun vincolo proprio perché considerate in via di sviluppo.

Il fallimento della Cop di Copenhagen

Il tentativo di giungere ad un accordo a Copenaghen (Cop15, 2009) si rivela però un fallimento. I governi non riescono a trovare un’intesa, limitandosi ad una dichiarazione d’intenti. Tuttavia, per lo meno, per la prima volta vengono promesse erogazioni pari a 100 miliardi di dollari all’anno, dai Paesi ricchi a favore di quelli più poveri, per consentire a questi ultimi di adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici.

Inoltre, a Copenaghen si parlò per la prima volta di un tetto massimo di 2 gradi centigradi da non superare, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali. Occorrerà però aspettare il 2015, quando alla Cop21 ospitata dalla Francia verrà raggiunto l’Accordo di Parigi. Il mondo accetta in quell’occasione di confermare l’obiettivo dei 2 gradi, precisando però che occorrerà «rimanere il più possibile vicini agli 1,5 gradi».

La Cop26 di Glasgow sarà cruciale

L’Accordo è tuttavia come una Costituzione: enuncia dei principi che devono essere poi applicati concretamente. È su questo che si sono concentrate le Cop successive: Marrakesh (2016), Bonn (2017), Katowize (2018) e Madrid (2019). Con risultati insufficienti. La prossima Cop26, che dovrebbe tenersi (vaccini anti-Covid permettendo) a Glasgow nel mese di novembre, sarà per questo cruciale per le sorti della battaglia climatica.