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Unicredit inaugura la stagione delle “assemblee a porte chiuse”

Nonostante l'emergenza coronavirus, la banca milanese tiene ugualmente l'assemblea azionisti. Una strategia per aggirare le domande scomode a partire dagli investimenti in carbone e petrolio?

Simone Ogno
Uno scorcio della Unicredt Tower di Milano in zona Porta Nuova.
Simone Ogno
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Un’assemblea degli azionisti a porte chiuse durante una pandemia, che sta causando conseguenze drammatiche sulla vita delle persone, sulla sanità pubblica e sull’economia. Questa la linea adottata da UniCredit, nonostante nei giorni precedenti siano state espresse forti critiche al riguardo, rimaste ad oggi inascoltate; senza contare che, con la sua decisione, la banca guidata da Jean Pierre Mustier ha fatto da spartiacque per altri istituti finanziari e società.

Nei prossimi mesi, la necessità di affrontare le conseguenze della pandemia dovrà avere giustamente massima priorità, tuttavia è fondamentale vigilare affinché altre sfide ugualmente epocali – nonché fortemente connesse – come quella dei cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondisci, non cadano in secondo piano, dal momento che solamente un mutamento sistemico può tutelare la salute delle persone a livello globale.

Le lacune negli obiettivi di sostenibilità Unicredit

A novembre 2019, UniCredit ha annunciato gli obiettivi strategici di sostenibilità, andando ad aggiornare la sua policy in merito ai finanziamenti ad alcuni settori dei combustibili fossili. Una presa di posizione di rilievo ma insufficiente, mancante di una strategia per allinearsi all’Accordo di ParigiL’Accordo di Parigi è un documento d’intesa tra le nazioni facenti parte dell’UNFCCC che è stato raggiunto nel 2015 al termine della Cop21.Approfondisci sul Clima del 2015, che si pone l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C.

Il passo più rilevante fatto dalla banca riguarda alcuni sotto-settori definiti “non convenzionali” del comparto oil&gas: quelli provenienti da sabbie bituminose, estrazioni in acque ultra-profonde, fracking e, in ultimo, dall’area del Circolo Polare Artico.

Tuttavia, alcune “scorciatoie” o vuoti nella policy non escludono la possibilità di finanziare progetti estrattivi di gas onshore nella regione artica. Oltre alla sua necessaria introduzione, il quadro risulterebbe ancora più paradossale senza l’estensione della policy sul gas onshore nella regione artica anche per i clienti nuovi ed esistenti. Inoltre, la presenza di una soglia di esclusione ancora molto alta (superiore al 25% dei ricavi totali) in questi sotto-settori rischia di vanificare qualsiasi sforzo, dal momento che le estrazioni non convenzionali risultano tra le più impattanti sugli ecosistemi, per di più spesso ubicate in aree a rischio o già fortemente compromesse.

Carbone, vero buco nero della “banca sostenibile”

Se queste mancanze rappresentano già dei malus di portata considerevole, è in relazione al settore del carbone che si può parlare dell’elefante nella stanza di UniCredit, a cui piace definirsi “una banca sostenibile”. Il carbone è responsabile di circa la metà delle emissioni legate ai combustibili fossili ed è la singola causa principale dell’aumento delle temperatura media globale.

Si stima che ogni anno in Europa il carbone provochi la morte prematura di oltre 16mila persone , a causa delle sostanze tossiche come mercurio e polveri sottili che provengono dalle ciminiere delle centrali. Circa 45 miliardi di euro in costi sanitari, interamente scaricati sul pubblico.

Tra i campioni dei finanziamenti sporchi

Cinque società sono responsabili del 45 per cento delle emissioni legate al carbone in Europa. Dalle ricerche effettuate da Re:Common e Greenpeace Italia emerge che fra il 2016 e il 2019 UniCredit ha finanziato quattro di loro per un totale di 6 miliardi di euro.

Il princiale beneficiario di questi finanziamenti è il colosso finlo-tedesco Fortum-Uniper, con 4,7 miliardi di euro. In tempi recenti, Fortum-Uniper è finita sotto i riflettori per alcune scelte che ostacolano fortemente il raggiungimento degli obiettivi posti dall’Accordo di Parigi, a partire dall’intenzione di fare causa allo stato olandese, reo di aver approvato una legge sul phase-out dal carbone entro il 2030. Permessa dall’Energy Charter Treaty del 1994, la causa è un affronto alle mobilitazioni degli ultimi mesi, con il rischio che il risarcimento sia pagato con le tasse dei cittadini olandesi.

A ciò si aggiunge la volontà di portare a termine l’impianto a carbone Datteln 4, che dovrebbe divenire operativo entro l’estate 2020. L’impianto si è già trovato al centro di numerose azioni legali, portate avanti in Germania da cittadini e organizzazioni della società civile per denunciarne l’impatto sull’ambiente e la salute delle persone, a causa delle emissioni stimate tra 2 e 4 tonnellate annue di CO2.

Le gravi responsabilità in Turchia

UniCredit si distingue poi come primo finanziatore estero del carbone in Turchia, terzo paese al mondo – dopo Cina e India – per piani di espansione di questo combustibile fossile. Il governo turco è fermamente deciso alla costruzione di nuove centrali per 35 GW di potenza – quattro volte la potenza installata in Italia – e la banca italiana sta contribuendo a questi piani potenzialmente catastrofici per il clima e la salute delle persone.

Le case di Yesilbagcilar sono state rese invivibili per evitare che i residenti ci facciano ritorno; nel frattempo le società carbonifere definiscono le viabilità di servizio per l'imminente avanzamento della miniera. FOTO: Re:Common - Dino Bonaiuto
Le case di Yesilbagcilar sono state rese invivibili per evitare che i residenti ci facciano ritorno; nel frattempo le società carbonifere definiscono le viabilità di servizio per l’imminente avanzamento della miniera. FOTO: Re:Common – Dino Bonaiuto

Alla luce di queste evidenze, si evince come il tempo di UniCredit per tergiversare su una strategia per la completa uscita dal carbone sia finito. Già altri istituti di credito hanno adottato policy più stringenti, non solo in relazione ai progetti di estrazione o combustione, ma anche per i clienti nuovi e quelli esistenti che traggono profitti da questo combustibile fossile. Tra questi spiccano le recenti posizioni di Axa e Crédit Agricole, che hanno entrambe implementato un phase-out totale dal carbone entro il 2030.

La banca tergiversa

Alle domande pre-assembleari di Re:Common inerenti l’esposizione di UniCredit verso clienti controversi, quali Fortum, e la mancanza di coerenza con la nuova policy sul carbone, la banca si trincera dietro la confidenzialità commerciale, anche se si dice aperta al dialogo.

È necessario che UniCredit smetta di rimanere aggrappata al passato, cessando ogni finanziamento alle società che stanno espandendo nel carbone e implementi un obiettivo di phase-out totale dal carbone entro il 2030. Altrimenti potrà fregiarsi unicamente del titolo di “banca insostenibile”.


  * L’autore è esponente di Re:Common, associazione impegnata in inchieste e campagne contro la corruzione e la distruzione dei territori in Italia, in Europa e nel mondo.