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Gli avanzi primari non bastano. Alle finanze italiane servono politiche di crescita

Tra i fanatici del rigore e chi ignora il problema indebitamento, c'è una terza via: migliorare il rapporto debito/PIL facendo crescere il Paese

Alessandro Santoro
Alessandro Santoro
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A 10 anni dalla crisi le condizioni della finanza pubblica italiana sono nettamente peggiorate. In particolare, il rapporto debito/PIL, che alla fine del 2008 era pari a poco più del 100%, dovrebbe attestarsi a circa il 131% alla fine del 2018.

 Debito pubblico in percentuale del PIL 2000-2017. Confronto Italia-Ue
Debito pubblico in percentuale del PIL 2000-2017. Confronto Italia-Ue. FONTE: Eurostat

Il rapporto debito/PIL alla fine di un determinato anno dipende da tre variabili principali (oltre che dal rapporto debito/PIL di partenza):

  • il disavanzo primario, ovvero la differenza tra spese (esclusi gli interessi) ed entrate realizzate in quell’anno, che diventa avanzo primario quando le entrate superano le spese (sempre esclusi gli interessi);
  • la spesa per gli interessi sui titoli del debito pubblico in circolazione;
  • il tasso di crescita del Pil. Ovviamente, il rapporto debito/PIL di un qualsiasi anno tende a crescere all’aumentare del disavanzo primario e della spesa per interessi mentre tende a diminuire quando è maggiore il tasso di crescita del PIL ovvero se viene realizzato un avanzo primario.

Debito/Pil, una crescita apparentemente inesorabile

Quello che è accaduto negli ultimi 10 anni si può sintetizzare così: pure in presenza di un avanzo primario, la modesta crescita economica e la spesa per interessi hanno determinato la rapida crescita del rapporto debito/PIL. Vediamo alcuni numeri in proposito, recentemente calcolati dall’Ufficio Parlamentare per il Bilancio.

Dal 2008 al 2016, la successione di avanzi primari ha contribuito a ridurre il rapporto debito/PIL di 11 punti percentuali, mentre la spesa per interessi ha contribuito ad aumentare tale rapporto di 41 punti percentuali.

La crescita del PIL ha avuto un effetto molto modesto, riducendo il rapporto di 5 punti. Infine, alla crescita del rapporto debito/PIL hanno contribuito ad altri fattori, tra cui il sostegno dato all’Italia agli altri Paesi coinvolti nella crisi, che ha avuto un impatto di quasi 8 punti. La somma di queste componenti spiega la crescita del rapporto debito/PIL tra il 2008 e il 2016.

Scomposizione variazione rapporto Debito Pil
FONTE: Ufficio Parlamentare per il Bilancio.

Rigoristi vs. ignoranti

La domanda spontanea che viene a questo punto è se ci dobbiamo preoccupare di questo andamento. Sul tema si leggono posizioni diverse. Alcuni utilizzano il rapporto debito/PIL come una sorta di clava, soffocando sul nascere ogni opinione che cerchi di sostenere la necessità di un aumento della spesa pubblica e/o di una riduzione delle imposte. È il fronte che potremmo definire dei “rigoristi”.

All’estremo opposto c’è il fronte degli “ignoranti” inteso letteralmente, come coloro che vogliono ignorare il problema e che fanno capire che non esiste o che è colpa dell’Europa.

Conviene allora ritornare ad una dimensione di onestà intellettuale, dicendo che, per evidenti ragioni, il debito pubblico non può crescere indefinitamente e né la sua dimensione né il suo ritmo di crescita possono essere ignorati o considerati come problemi che non incidono sulla quotidianità e il benessere delle persone. Questo perché il debito deve essere finanziato, e quindi bisogna trovare degli investitori che siano disposti a dare fiducia allo Stato italiano e a comprare i 350-400 miliardi di titoli emessi ogni anno.

Non riuscirci vorrebbe dire essere costretti a pagare interessi elevatissimi – riducendo ulteriormente le possibilità di spesa pubblica – o uscire dai mercati internazionali e destinare, presumibilmente con interventi coattivi, l’intero risparmio nazionale al finanziamento del debito pubblico.

Ma queste banali considerazioni non possono giustificare l’idea dei rigoristi che la strada unica per abbattere il debito sia quella di accumulare ancora più ingenti avanzi primari, tagliando la spesa e/o aumentando le imposte.

Rapporto debito pubblico/Pil, costo implicito del debito e tasso di crescita Pil nominale
FONTE: Ufficio Parlamentare per il Bilancio.

Per capire il perché, basta guardare con attenzione, nello studio dell’Upb citato in precedenza, il confronto tra l’Italia e gli altri paesi europei nel periodo della crisi. Da un lato, durante la crisi, l’Italia è stato l’unico Paese in cui la politica di bilancio, ovvero il saldo primario e gli aiuti agli altri Paesi, ha contribuito a ridurre il rapporto debito/PIL: negli altri Paesi è accaduto il contrario.

Detto più chiaramente: durante la crisi gli altri Paesi europei hanno fatto una politica fiscale espansiva, mentre in Italia la politica fiscale è stata restrittiva.

Ma in Italia, dopo la crisi, la crescita economica (ovvero la crescita del Pil nominale) ha dato, come abbiamo visto in precedenza, un contributo quasi irrilevante alla riduzione del rapporto debito/PIL, diversamente da quanto accaduto in altri Paesi, che hanno fatto segnare tassi di crescita ben maggiori.

La conclusione che si può trarre è che del rapporto debito/PIL ci si deve preoccupare ma non seguendo le indicazioni dei rigoristi e dei sostenitori delle politiche dell’austerità: le politiche per la crescita sono le migliori politiche anche per la finanza pubblica. Con buona pace dei sostenitori della decrescita.

* Professore associato di Scienza delle finanze all’università Milano-Bicocca, membro del comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate, è stato consigliere economico della Presidenza del Consiglio dei ministri ed esperto tributario al Secit (Ministero delle Finanze).

Twitter: @saintbull70