Le “banche fossili” colpiscono ancora: 2.700 miliardi alle fonti sporche
L'Accordo di Parigi sul clima può attendere: 35 grandi istituti di credito, nonostante i proclami pubblici, proseguono a foraggiare la filiera delle fossili
“Sbagliando s’impara”? Per certe banche l’adagio non vale. L’amara lezione emerge dalle cifre pubblicate sulle pagine di Banking on Climate Change 2020: Fossil Fuel Finance, un nuovo rapporto elaborato da alcune organizzazioni attive sui temi della finanza etica e dello sviluppo sostenibile. Instancabili nel denunciare l’attuale modello di sviluppo inquinante, che ancora punta sulle fonti di energia fossile, alimentando la crisi climatica globale, e in parte corresponsabile della pandemia da coronavirus.
Oil Change International, Rainforest Action Network, BankTrack, Indigenous Environmental Network, Reclaim Finance e Sierra Club rivelano che ben 35 tra le maggiori banche del Pianeta hanno proseguito a incanalare una smisurata quantità di denaro verso società e progetti che partecipano alla filiera dei combustibili fossili, cioè gas, petrolio, e carbone. Una scelta strategica sostenuta, tra il 2016 e il 2019, con 2,7 trilioni di dollari. Un comportamento orientato al solo profitto, ancor più inaccettabile perché condotto dopo la stipula avvenuta alla Cop 21 del 2015 dell’Accordo di Parigi sul clima.
4 banche USA guidano il gruppo: il cattivo primato di JPMorgan
Mentre il gruppo intergovernativo ONU sui cambiamenti climatici (IPCCSi tratta del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Intergovernmental Panel on Climate Change), creato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite.Approfondisci) nel suo rapporto speciale Global Warming of 1.5 °C mostrava la necessità di ridurre rapidamente le emissioni globali di gas a effetto serra, gli istituti indicati nel rapporto erogavano prestiti e sottoscrivevano azioni relativamente a 2100 imprese del comparto dei combustibili fossili, in pratica favorendo così tali società assicurando loro infinite risorse e guadagnando sui loro successi economici.
A guidare il gruppo sono ancora una volta le grandi banche statunitensi: JPMorgan Chase, Wells Fargo, Citi e Bank of America. JPMorgan Chase, per esempio, conduce con margine (+36% di quanto erogato dalla seconda in classifica) la schiera degli investitori eco-incompatibili. JPMorgan spicca con un’esborso di 269 miliardi di dollari e rappresenta – insieme alle sue tre connazionali – addirittura il 30% di tutti i finanziamenti del genere registrati in questa speciale classifica.
Non che JPMorgan Chase e il suo CEO James Dimon smentiscano con questo comportamento le proprie azioni passate. Di certo però si fanno notare perché contribuiscono per quasi il 10% dei finanziamenti alle fossili indagati nel rapporto. Non è solo un problema di quantità, però. I ricercatori fanno infatti notare che JPMorgan Chase è anche il «finanziatore più aggressivo in alcune delle categorie più pericolose e dannose». Due su tutte: l’espansione dei combustibili fossili nell’Artico e nello sviluppo di shale oil e shale gas, estratti tramite il contestatissimo fracking.
BNP Paribas principale finanziatore europeo 2019
Se le banche USA sgomitano, altrove si tirano certo indietro. A cominciare dalla canadese RBC, con 140 miliardi investiti nello stesso periodo, e da Barclays, l’istituto europeo che si è dimostrato più ricettivo ai bisogni finanziari dell’Oil & Gas. La banca britannica ha versato 118 miliardi di dollari del proprio patrimonio (come la giapponese MUFG) nella filiera delle fossili dal 2016. Ma il titolo di maggior finanziatore europeo per l’anno 2019 va alla francese BNP Paribas (che primeggia nel proprio Paese per tutti e quattro gli anni considerati, con 84 miliardi di dollari).
Da questa sorta di internazionale finanziaria non manca il gigante cinese, presente con gli 84 miliardi di Bank of China. Tuttavia dell’elenco fa parte anche l’Italia: le nostre due banche principali, Unicredit e Intesa Sanpaolo, di miliardi di dollari investiti nel comparto più inquinante le nostre big ne hanno messi ben 35. In particolare, l’istituto condotto da Jean Pierre Mustier è responsabile di circa due terzi dell’intera posta.
Dai numeri i segni per capire il futuro: per il clima non sono buoni
In conclusione, il trend che già l’anno scorso era emerso non dà segni di inversione, nonostante tutto. Il rapporto 2020 permette anche di approfondire l’analisi dei finanziamenti bancari che hanno raggiunto le 100 aziende in prima linea nella pianificazione dell’estrazione di carbone, petrolio e gas e nell’investimento sulle relative infrastrutture. Nel biennio ’18-’19, proprio queste società hanno beneficiato di un +40% degli investimenti, a dimostrazione di un flusso espansivo inarrestabile.
È l’ennesima conferma – sottolineano gli estensori del rapporto – di quanto ingannevoli siano i buoni propositi sbandierati dagli stessi istituti a proposito di sviluppo sostenibile. Pur tradotti in politiche interne di contenimento del business verso i combustibili fossili, «nessuna grande banca è nemmeno vicina al raggiungimento di questi obiettivi». Unica nota positiva, «il generale declino dei finanziamenti per l’estrazione di energia dal carbone», come pure per le dannosissime sabbie bituminose (non è il caso dei canadesi di TD e RBC né di JPMorgan Chase e Barclays). Troppo poco, se si vuole azzerare il flusso entro questo decennio.