Dalla crisi del ’29 a Biden: 100 anni di economia e finanza americana
L'economia degli Stati Uniti, stremata dalla pandemia da Covid-19, con il nuovo presidente Biden ancora una volta deve ripartire
«It’s time we invest in the future of America once again». È ora di investire ancora una volta nel futuro dell’America. Sono le parole di impegno pronunciate da Joe Biden, il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America con l’annuncio dell’American Job Plan. Lo Stato americano torna a investire per le comunità, i territori, le infrastrutture. E il nuovo piano da 2000 miliardi di dollari dovrà trainare fuori dalla crisi pandemica quella che rimane, almeno per ora e nonostante tutto, la più grande economia mondiale.
Ed è come se si chiudesse un cerchio. Sono passati quasi 100 anni dalla Grande Depressione del 1929. Ma l’America, stremata dalla pandemia Covid-19, che ha causato più di mezzo milione di morti ed esasperato la disuguaglianza sociale, deve ancora una volta ripartire. Affrontando una delle più gravi crisi economiche globali del secolo.
Il ruolo centrale della Federal Reserve
Una crisi che dovrà essere anche affrontata evitando gli errori del passato, come ha ricordato Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, la banca centrale americana, in un’intervista alla Cbs, lo scorso 12 aprile. «Valuteremo un aumento dei tassi di interesse quando la ripresa del mercato del lavoro sarà completa e quando torneremo alla massima occupazione e all’obiettivo di inflazione al 2%», ha dichiarato.
Lo spettro dell’inflazione rimane, anche per l’economia americana. «Non vogliamo che salga materialmente al di sopra del 2% e si torni ai brutti, vecchi giorni dell’inflazione degli anni ’70», ha spiegato Powell. La Federal Reserve intende, quindi, «mantenere il sostegno all’economia fino a quando la ripresa sarà in gran parte completa». La Fed non cambierà, dunque, la sua attuale politica di tassi d’interesse vicini allo zero e di acquisti di obbligazioni per 120 miliardi di dollari al mese.
Dichiarazioni che, insieme a quelle del presidente Biden, sono da tenere più che da conto, anche oltreoceano. Le decisioni della Federal Reserve (Fed), la banca centrale americana, organismo indipendente, non devono essere ratificate da alcun organo che eserciti un potere esecutivo o legislativo. E sono determinanti, ora più che mai, nell’economia americana. Ma, in un mondo globalizzato, ci riguardano da vicino. Anche per questo, abbiamo deciso di ripercorrere, in un momento epocale, alcune delle tappe cruciali della storia dell’economia e della finanza «made in USA», che resta determinante, volenti o nolenti, per tutte le altre economie. Compresa la nostra.
[1929] La grande depressione
1929. Sono passati quasi cent’anni dal crollo della Borsa di Wall Street, che ebbe il suo culmine tra il 24 ottobre, il famoso giovedì nero, e il 29 ottobre. 13 milioni di azioni furono vendute, provocando un ribasso dell’indice della Borsa americana superiore ai 50 punti percentuali. Ma uno dei motivi della gravità di quanto accaduto è legato al fatto che le banche utilizzarono i soldi dei correntisti proprio per speculare in Borsa. Quando esplose la bolla finanziaria, gli istituti finanziari non furono più in grado di restituire i risparmi depositati sui conti correnti.
Fu una delle peggiori crisi economiche e finanziarie della storia moderna, che ebbe ricadute in tutto il mondo. E che portò gli USA a perdere metà della propria ricchezza. Con un aumento dei disoccupati che arrivò a 14 milioni di persone, il 25% della forza lavoro. Va anche ricordato che in quel contesto la Federal Reserve (Fed), la banca centrale degli Stati Uniti d’America, scelse di non sostenere le banche. Una crisi epocale che va anche ricordata perché alcune delle leggi che furono poi emesse dal Congresso degli Stati Uniti, per impedire le speculazioni finanziarie, sono state abolite negli ultimi trent’anni. Con le conseguenze che vedremo.
[1933 – 1939] Il New Deal di Franklin D. Roosevelt
Come uscirono gli Stati Uniti dalla grande depressione? Intanto, e l’analogia storica con il presente è davvero sconcertante, lo fecero con un nuovo presidente. Il 4 marzo 1933 venne eletto 32esimo presidente degli Stati Uniti, Franklin D. Roosevelt che successe a Herbert Hoover. Il 9 marzo 1939 il neo-presidente Roosevelt, FDR per gli americani, firmò l’Emergency Banking Act, il primo di una serie di atti che rientrano nel cosiddetto “New Deal” il programma di politica economica da lui promosso per uscire dalla crisi. Che mise in pratica i concetti della teoria economica keynesiana, contrapposta al liberismo sfrenato, secondo la quale è il governo di uno Stato che dovrebbe aumentare la domanda per stimolare la crescita.
Così fu. I programmi di soccorso su larga scala vennero sostenuti dalla spesa pubblica che divenne il motore economico per stimolare la domanda dei consumatori. II New Deal venne attuato nell’arco di 6 anni, dal 1933 al 1939, e riuscì a contrastare gli effetti drammatici della grande depressione, come la disoccupazione al 25% e crollo dei consumi interni. Riattivò così la produzione, l’occupazione e l’economia. Nel frattempo il Congresso approvò dozzine di programmi per stabilizzare il sistema finanziario degli Stati Uniti, tra cui il Glass-Steagall Act.
[1933] Varo del Glass-Steagall Act
All’interno delle politiche economiche previste dal New Deal, venne varato dal Congresso americano il Glass-Steagall Act, dal nome dei due promotori, il senatore Carter Glass e il deputato Henry Steagall. Norma importante che introdusse la separazione netta tra banche commerciali e di investimento. Prevedeva, cioè, che le due attività non potessero essere esercitate dallo stesso intermediario. Così da evitare che il fallimento dell’intermediario trascinasse con sé anche il fallimento della banca commerciale. Il Glass-Steagall Act diede inoltre il potere alla Federal Reserve di attuare un regolamento per le banche al dettaglio e creò il Federal Open Market Committee, permettendo alla Fed di attuare meglio la politica monetaria.
Una norma che ha salvaguardato i correntisti e garantito una relativa stabilità delle banche, finché non è stata, prima, indebolita e, poi, abrogata alla fine degli anni ’90, portando alla nascita delle “banche universali”, fondendo cioè istituti di credito e società finanziarie. Quelle stesse che, come Lehman Brothers, fallirono sotto il peso della speculazione nel 2007, nella crisi dei mutui Subprime.
[1999] Abolizione del Glass Steagall Act con il Gramm-Leach-Bliley Act
Dopo un forte pressing dei grandi gruppi bancari, nel 1999 il Congresso a maggioranza repubblicana abolì il Glass Steagall Act, con una legge promossa dal deputato Leach e dal senatore Gramm e promulgata dal presidente Bill Clinton. L’abrogazione del Glass-Steagall Act ha permesso che si ri-creassero gruppi bancari che al loro interno, con qualche labile limitazione, esercitavano sia l’attività bancaria tradizionale che quella d’investment banking.
Così successe con l’autorizzazione retroattiva alla fusione del 1998 di Citigroup e Travelers Group, come riporta un’inchiesta di The Guardian. Confermando, attraverso documenti della stessa Casa Bianca, le sollecitazioni ricevute da Clinton per sostenere l’abrogazione del Glass Steagall Act. Ripartì così il consolidamento e la speculazione di Wall Street. Che, da lì a qualche anno, riportò le banche di investimento, le assicurazioni e le banche al dettaglio a fondersi. Alleanza pericolosa, pagata dai cittadini americani con lo scoppio della crisi dei mutui subprime.
[2000] La bolla di internet o “Nasdaq bubble”
L’anno 2000 ha segnato la fine della “bolla Internet” o delle dotcom. Un periodo di cinque anni in cui il valore cartaceo delle azioni quotate in Borsa delle aziende basate su Internet è aumentato ben al di sopra del loro reale potenziale di guadagno. Il punto massimo fu raggiunto il 10 marzo 2000, quando il Nasdaq, l’indice azionario di riferimento, toccò i 5.048,62 punti, per poi cominciare a crollare nel giro di tre giorni, quasi del 9%.
I bilanci pubblicati dalle diverse aziende mostravano, infatti, risultati deludenti. Fornendo, così, l’evidenza che l’investimento nelle società del comparto poteva rivelarsi non profittevole. Le quotazioni cominciarono a calare, per effetto delle vendite da parte di coloro che intendevano disinvestire, prima che i titoli in portafoglio si svalutassero ulteriormente.
Nel corso del 2001 molte dotcom companies chiusero o furono oggetto di operazioni di acquisizione e fusione. Nel 2004, solo il 50% delle società quotate nel 2000 erano ancora attive, a quotazioni infinitesimali rispetto ai loro massimi. Poche le aziende solide che, negli anni successivi, riuscirono a crescere. Anche se tra queste ci sono alcune delle più importanti al mondo ancora oggi, come Amazon e Apple. Complessivamente però, nel 2005, le aziende della Silicon Valley quotate in Borsa valevano circa un terzo del loro picco di mercato, con una perdita di circa 2000 miliardi di dollari.
[2006 – 2013] La grande recessione
Per gli americani è stata “The Great Recession”, la grande recessione. Scoppiata nel 2006, fu dapprima una bolla immobiliare, con la crisi dei mutui subprime, prestiti ad alto rischio finanziario da parte degli istituti di credito, in favore di clienti a forte rischio debitorio. Le banche avevano venduto troppi mutui per alimentare la domanda di titoli garantiti da ipoteca. Quando i prezzi delle case crollarono, l’insolvenza del mercato produsse una crisi di liquidità che si trasmise subito all’attività bancaria tradizionale. Attività commistionata con l’attività d’investimento, attraverso l’uso non regolamentato dei titoli derivati, scaricandosi sui risparmiatori.
La conseguente crisi bancaria del 2007 ebbe il suo apice nel 2008, con la bancarotta della società finanziaria Lehman Brothers Holdings Inc, per 613 miliardi di dollari di debiti bancari, 155 miliardi di debiti obbligazionari e attività per un valore di 639 miliardi e creditori in tutto il mondo. La più grave nella storia statunitense.
La somma delle crisi portò alla peggiore recessione dell’economia americana dal 1929, nonostante i passi intrapresi dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti e dalla Federal Reserve per prevenire un collasso economico. Recessione che, per meccanismi finanziari di “contagio”, si è estesa in Europa, con la crisi del debito degli Stati sovrani.
[2008] Il salvataggio: dall’approvazione piani TARP al Quantitative Easing della FED
Per contrastare la crisi in atto, il governo degli Stati Uniti, guidato da presidente George W. Bush, varò nel 2018 il Programma di salvataggio degli attivi problematici (in inglese Troubled Asset Relief Program, abbreviato in TARP). Approvato dal Congresso, firmato dal presidente il 3 ottobre 2008 e introdotto con l’Emergency Economic Stabilization Act of 2008, il TARP originariamente aveva ricevuto l’autorizzazione per effettuare spese per un valore complessivo di 700 miliardi di dollari. Era stato progettato per mantenere in funzione le banche della nazione durante la crisi finanziaria del 2008. Ed è stato finanziato attraverso l’aumento del tetto del debito pubblico, portato dal Congresso a 11,3 trilioni di dollari. Fondi usati dal Dipartimento del Tesoro per iniettare capitale nelle banche e in altre imprese che rischiavano il fallimento. Acquistando le loro azioni, obbligazioni e società in fallimento.
A tutto ciò si sono aggiunte le politiche monetarie della Federal Reserve per impedire il fallimento del sistema finanziario americano. Tra il 2008 e il 2014 la FED ha lanciato quattro cicli di quantitive easing per combattere la crisi finanziaria. Stanziando sia i fondi per acquistare i titoli di Stato, ma pagando addirittura gli interessi alle banche per i loro obblighi di riserva. Il QE stanziato ha raggiunto quasi i 4.000 miliardi di dollari. Fino al 2020, è stata la più grande espansione di qualsiasi programma di stimolo economico nella storia.
Per capire meglio
Come funziona – o non funziona – il quantitative easing
Cos’è il quantitative easing, a cosa serve e quali problemi ha
[2010] La riforma Obama con il Dodd-Frank Act
Dopo la Grande recessione del 2008, durante la presidenza Obama, insediatosi nel 2009, si tentò di ripristinare, almeno parzialmente la Glass-Steagall. La legge che già nel 1933 aveva previsto la necessità di dividere le banche d’investimento da quelle commerciali.
Sotto Obama venne varata una vera e propria riforma finanziaria, concepita per allontanare quanto più possibile il rischio di nuove crisi, nuovi crack e nuove necessità di intervento pubblico. Il 21 luglio 2010 entrò in vigore il Dodd–Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act.
Tra le tante norme di regolazione, suddivise in 15 titoli e 541 articoli di legge, è stata introdotta la cosiddetta Volcker Rule. Norma che che limita le operazioni speculative effettuate dalle banche. E sono state create due agenzie incaricate di monitorare il rischio sistemico e lo stato dell’economia. Oltre a una regolamentazione sul controllo delle banche da parte della Federal Reserve.
[2020] Dall’era Trump alla Covid-19 Crisis
Il Covid19 nel 2020 ha causato oltre 500 mila morti negli Stati Uniti d’America, il Paese al mondo con il maggior numero di decessi. E il virus, oltre a stravolgere le vite di milioni di persone, ha causato il peggior calo di PIL degli ultimi 74 anni, sceso del 3,5%. Interrompendo così la fase espansiva dell’economia, che era stata anche favorita dalle politiche della presidenza Trump, dal 2017 a gennaio 2021.
Presidenza liberista molto gradita a Wall Street. I tre indici azionari S&P 500, Dow Jones e Nasdaq sono migliorati in media di oltre il 50% nei 4 anni della sua presidenza. Ma nel conto della ricetta trumpiana gradita alle Borse, bisogna inserire l’aumento delle disuguaglianze e degli scontri sociali. I tagli alle tasse del reddito d’impresa, il protezionismo e il prezzo della deregulation ambientale. E i bassi tassi d’interesse, a più riprese sollecitati da Trump con una pressione forte sulla FED, come riporta nella sua analisi l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (lspi). Fattori che hanno permesso a Trump, anche in parziale continuità con Obama, alta crescita, bassa disoccupazione e aumento dei redditi medi. Per contro, oltre la regressione sulle politiche per il clima e la sanità pubblica, il salario minimo federale è sceso a 7.25 dollari all’ora. Circa il 40% in meno rispetto a mezzo secolo fa.
[2021] Joe Biden e l’American Jobs Plan
Lo scorso 31 marzo il Presidente Joe Biden ha presentato l’American Jobs Plan. Definito dalla Casa Bianca un investimento pubblico storico che destinerà l’1% del PIL all’anno per otto anni. Servirà, infatti, per aggiornare tutte le infrastrutture degli Stati Uniti d’America. Digitali, dei trasporti, di assistenza sociale, sanitarie e delle catene di approvvigionamento, persino le tubature dell’acqua ancora in piombo. Duemila miliardi di dollari che secondo la presidenza Biden saranno completamente ripagati entro i prossimi 15 anni, riducendo il deficit negli anni successivi.
Come? Sarebbero finanziati in particolare da un aumento delle imposte sulle imprese, che passerebbe dal 21% al 28%. Secondo la Casa Bianca, questo tasso rimarrebbe, dopo questo aumento, al minimo dalla Seconda guerra mondiale. Ad eccezione degli anni trascorsi dalla riforma fiscale di Donald Trump il Tax Cuts and Jobs Acts (Tcja). Legge che aveva diminuito l’imposizione fiscale ad aziende e persone fisiche e generato un maxi rientro di capitali (3.300 miliardi di dollari).
La sfida è aperta.