L’America Latina diventerà la frontiera sostenibile dei metalli rari?

In America Latina esistono casi virtuosi di sfruttamente di terre rare e “metalli tecnologici”. Ma serve un quadro normativo comune

Estrazione di litio in Bolivia © xeni4ka/iStockPhoto

L’America Latina ha riserve stimate di terre rare e “metalli tecnologici” per un totale di 50 milioni di tonnellate. Circa il 40% di tutta l’offerta globale. Solo in Bolivia le risorse (riserve potenziali) di litio, utilizzato nelle batterie delle auto elettriche, sarebbero pari a 21 milioni di tonnellate. Segue l’Argentina, con 17 milioni di tonnellate e il Cile, con 9 milioni. Mentre il Brasile è il maggiore produttore mondiale di niobio, con 59mila tonnellate estratte nel 2019 e 11 milioni di tonnellate di riserve accertate. E poi c’è il coltan, componente cruciale per cellulari e videocamere, estratto con tecniche arretrate e manodopera indigena in Colombia, che possiede il 5% delle riserve globali.

Sono solo alcuni esempi della ricchezza di metalli rari nel sottosuolo latino-americano. In superficie ci sono però l’Amazzonia, gli altipiani boliviani, il deserto del Sonora: territori ricchi di cultura e biodiversità. Per i quali le miniere rappresentano un’opportunità ma anche una minaccia.

Ad oggi, la maggior parte dei benefici viene esportata in Asia

«I rischi connessi all’estrazione di terre rare in America Latina sono molto chiari e comuni a tutte le attività di estrazione mineraria», spiega a Valori.it Julie Klinger, docente di Geografia all’università del Delaware, che nel 2017 ha pubblicato un saggio intitolato “Rare Earth Frontiers: From Terrestrial Subsoils to Lunar Landscapes” (Le frontiere delle terre rare: dai sottosuoli terrestri ai paesaggi lunari). «Si tratta – prosegue – di elevati rischi sociali e ambientali. A fronte di ritorni minimi per il Paese di estrazione e produzione, perché i benefici sono in larga parte esportati».

La copertina del libro di Julie Klinger, “Rare Earth Frontiers”

Chi se ne avvantaggia di più è la Cina o, in generale, i Paesi dell’Asia orientale. Le materie prime, o minimamente lavorate, sono infatti esportate e lavorate in stabilimenti gestiti da società straniere in Asia orientale. Alla fine della lavorazione vengono reimportate, sotto forma di batterie, pannelli solari o magneti, che hanno però un valore aggiunto e quindi un costo maggiore. È un processo comune anche agli Stati Uniti: la lavorazione costa molto meno in Asia, dove anche le normative ambientali sono meno severe. 

Il caso virtuoso della brasiliana CBMM

«Servirebbe un approccio circolare alle catene di produzione, interno ai Paesi di estrazione, che permetta anche la lavorazione e il recupero dei materiali alla fine del ciclo di vita e il rispetto di norme ambientali», aggiunge Klinger. In un mercato nel quale, ad oggi, solo l’1% dei materiali è attualmente riciclato, un’affermazione del genere potrebbe sembrare utopistica. Eppure in America Latina, nel settore minerario, esistono già imprese molto avanzate da questo punto di vista. Come la brasiliana CBMM (Companhia Brasileira de Metalurgia e Mineração), il maggior produttore al mondo di niobio, che copre oltre l’80% dell’offerta globale. Nel 1997 è stata la prima compagnia mineraria ad ottenere la certificazione del sistema di gestione ambientale ISO 14001, uno degli standard ambientali più severi.

«Le buone prassi esistono già, perché non possiamo pensare ad una loro diffusione capillare?», si chiede Klinger. Quello che manca oggi, in America Latina, è un quadro politico e regolamentare favorevole allo sviluppo di imprese come la CBMM. «Oggi le aziende si trovano a competere con la Cina, che ha un modello di sviluppo basato sul maggiore output possibile al minore prezzo. Chi voglia adottare standard sostenibili deve essere incentivato a farlo».

L’approvvigionamento potrebbe essere circolare e interno. Volendo

I Paesi latinoamericani avrebbero abbastanza riserve di terre e metalli rari per competere con la Cina. Oltre a un grandissimo interesse a chiudere la catena di approvvigionamento, oggi verticale e dislocata tra America settentrionale e Asia, per farla diventare circolare e completamente interna. Al momento, però, manca la volontà politica per intervenire.

«Il Sudamerica può dimostrare che un modo più sostenibile di estrarre e lavorare i metalli rari è possibile», insiste la professoressa Klinger. «È questa la sfida per il futuro: come raccogliamo e compostiamo oggi gli scarti alimentari domestici, che fino a pochi anni fa finivano in discarica, così potremo fare con i rifiuti elettronici».

«Basterebbero pochi milioni di dollari e una certificazione»

Le tecnologie per farlo ci sarebbero già perché – sostiene Klinger – si potrebbero utilizzare gli stessi macchinari che sono impiegati già oggi per estrarre e sminuzzare i metalli. «Come si triturano e vagliano le materie prime, così si potrebbero maciullare hard disc di computer o altri apparecchi tecnologi, ridurli in granuli e recuperare così i metalli rari che contengono. Bisogna rendere i processi efficienti ma la tecnologia c’è già». E ci sono già le leggi, a livello internazionale, a partire dalla Convenzione di Basilea per la regolamentazione dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi, del 1992.

https://twitter.com/dw_environment/status/1343980350876184578

La raccolta potrebbe essere organizzata da soggetti pubblici. Ma poi le imprese dovrebbero fare la loro parte, con opportuni incentivi. «Sappiamo già che ci vorrebbero pochi milioni di dollari per duplicare i processi delle compagnie minerarie», conclude Klinger. «Si costruirebbero due catene parallele, con macchinari simili, opportunamente adattati: quella che separa i metalli in origine e quella che sminuzza gli apparecchi tecnologici per  recuperarli».

I «pochi milioni di dollari» dovrebbero metterli a disposizione gli Stati, perché è nel loro primario interesse economico e geopolitico. «A questo si potrebbe aggiungere un bollino, una certificazione dei materiali recuperati, come si è fatto in altri mercati. Solo così ci si potrà affrancare dalla Cina. E rendere l’America Latina la frontiera sostenibile dei metalli rari».