Banche e carbone: 4 istituti erogano $26 miliardi di fondi anti-clima
Le principali banche inglesi al centro di un paradosso: adottano restrizioni sul finanziamento alle fonti sporche ma foraggiano 163 GW di capacità per nuove centrali
Mentre il Regno Unito fa la parte della nazione consapevole, e adotta un piano d’azione per l’uscita dal carbone (il cosiddetto phase-out) puntato sul 2025, le sue quattro banche maggiori e più influenti fanno resistenza. Contro il piano britannico ma, soprattutto, contro la lotta globale ai cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondisci.
Barclays, HSBC, RBS e Standard Chartered hanno collettivamente sostenuto l’espansione globale delle principali aziende attive nella generazione di energia da carbone con 26,2 miliardi di dollari di finanziamento (project finance, corporate lending e underwriting) durante il periodo che va dal gennaio 2017 al settembre 2019.
E così facendo hanno partecipato all’espansione di una folta schiera di aziende delle 258 che hanno in programma di realizzare oltre 1000 nuove centrali elettriche a carbone in 60 Paesi del mondo. Un volume di impianti che, se costruito, aggiungerebbe 570 gigawatt di capacità complessiva alla flotta delle centrali già in funzione, con un incremento del 28% sul parco attuale.
Un programma ambientalmente scellerato. In piena contraddizione con le indicazioni contenute nella relazione speciale pubblicata dl Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (il famoso IPCC), in cui è confermato che già un aumento di 1,5 °C delle temperature globali rispetto al periodo pre-industriale risulta la soglia di sicurezza da non oltrepassare per evitare i peggiori effetti della crisi climatica. E per cercare di non superarla, nessuna ulteriore centrale a carbone dovrebbe essere mai più costruita. Anzi: la grande maggioranza degli impianti esistenti dovrebbe essere gradualmente spenta entro 15 anni.
I conti sul carbone in tasca delle banche inglesi
A denunciare questa situazione è un rapporto (The Uk’s dirty coal secret) rilanciato a dicembre 2019 dall’organizzazione internazionale Bank Track e realizzato in collaborazione con Urgewald e 350.
In particolare, il documento precisa che 10,2 miliardi di quei 26,2 miliardi di dollari complessivi sarebbero stati erogati come prestiti e 16 miliardi tramite la sottoscrizione di obbligazioni e l’acquisto di azioni di 48 società. Ben 16,7 miliardi del totale finanziato avrebbero avuto aziende asiatiche come destinatario, sostenendo così nuovi progetti in Bangladesh, Vietnam e altri Paesi dove le conseguenze degli eventi climatici estremi connessi all’incremento delle temperature sono già catastrofiche.
Tale sostegno finanziario reso disponibile dalla Big Four del Regno Unito sta invece foraggiando compagnie che progettano la costruzione di 163 gigawatt (GW) di nuova capacità per centrali a carbone, ovvero più di 16 volte la capacità operativa della flotta britannica di impianti a carbone.
Le scelte della banca RDB non bastano a salvare l’onore inglese
Forse non appare così evidente il peso del loro contributo se non si esplicita che dal 2017 al terzo trimestre del 2019 il quartetto ha rappresentato il 94% dei finanziamenti per lo sviluppo delle centrali a carbone provenienti dal settore bancario del Regno Unito. Ovvero la grandissima maggioranza di quanto erogato dal quinto settore bancario nazionale al mondo, e primo in Europa, per questo tipo di finanziamenti.
Evidentemente non bastano i milioni di ragazzi scesi in piazza nei venerdì passati per far rinunciare a questa fetta di business. Anche se RBD potrebbe magari aspirare a diventare coal free entro la Cop26 di Glasgow del prossimo anno. A differenza di Barclays, HSBC e Standard Chartered che invece hanno fornito insieme 6,2 miliardi nel primi tre quarti del 2019 (di cui 2,58 miliardi di dollari la sola Standard Chartered).
Il disinteresse climatico della City
Tuttavia, in attesa di fare i conti anche sull’ultimo trimestre dell’anno appena passato, i ricercatori sottolineano le contraddizioni del comportamento dei colossi bancari inglesi rispetto alla progressiva implementazione di regole restrittive in tema di sostegno alla filiera del carbone. Una tendenza che, sospinta dalle campagne d’informazione sui cambiamenti climatici capitanate da Greta Thunberg e dai giovani di Fridays for future, è arrivata a tradursi in certi casi – e con qualche tentennamento – in un “disinvestimento” dalle fonti fossili (divestment). Cioè nel vero e proprio abbandono sbandierato settori e soggetti economici e finanziari differenti: assicurazioni, banche, fondi pensionistici…
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Persino Barclays, HSBC, RBS e Standard Chartered hanno infatti adottato una restrizione dei criteri di finanziamento che ne limita la disponibilità verso lo sviluppo di centrali a carbone a livello globale. E lo hanno fatto sulla scia delle istituzioni bancarie loro concorrenti in Europa.
Almeno una decina tra queste, scrivono gli analisti nel report, «ha iniziato a rispondere all’emergenza climatica con l’introduzione di nuovi parametri di erogazione», quando non col rifiuto completo di continuare a sovvenzionare la produzione di energia fondata su una tecnologia obsoleta e terribilmente inquinante. Per non dire delle implicazioni del settore estrattivo del carbone nelle violazioni dei diritti umani.
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Ciononostante ci sono grandi nazioni inquinatrici che – come ha dimostrato la recente Cop25 -, investono ancora sul carbone, e le 4 banche inglesi assecondano gli affari, limitandosi a operazioni interlocutorie.
«Le restrizioni sui finanziamenti per l’energia da carbone che le quattro grandi banche del Regno Unito hanno attualmente in essere tramite la loro policy sono tra le più deboli nel settore europeo bancario» si legge in The Uk’s dirty coal secret.
E questa è un’accusa precisa e grave rivolta ai quattro istituti, che vengono messi a confronto con le banche francesi, le quali sarebbero al contrario impegnate per l’uscita della finanza dall’economia carbonifera. Ciò mentre le restrizioni dei criteri adottate dai britannici inciderebbero a malapena sulle attività di prestito e di sottoscrizione, ovvero la stragrande maggioranza degli ambiti di finanziamento delle banche per il settore.
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Tant’è che le suddette restrizioni introdotte dagli istituti nel 2018 non avrebbero impedito «un aumento globale del loro finanziamento al settore. Il totale di 26,2 miliardi di dollari per il periodo 2017- terzo trimestre 2019 è un incremento rispetto ai 18,4 miliardi di dollari che le quattro grandi hanno fornito attraverso il prestito e le attività di sottoscrizione allo stesso gruppo di società nel periodo 2014-2016».