Perché il coronavirus può scatenare una crisi alimentare mondiale
La pandemia rischia di mettere in ginocchio l'agricoltura europea: con le frontiere chiuse mancano ovunque i braccianti per le raccolte
«Dobbiamo evitare che la risposta alla pandemia di Covid-19 possa perturbare la catena di approvvigionamento alimentare». L’allarme è arrivato il 31 marzo, in piena emergenza-coronavirus. Firmato da Qu Dongyu, Tedros Adhanom Ghebreyesus et Roberto Azevado. Ovvero dai direttori dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Secondo i tre dirigenti, infatti, «perturbazioni come quelle attuali, tra cui in particolare il rallentamento della circolazione del lavoratori nell’industria alimentare e nell’agricoltura, nonché i ritardi accumulati dai container alle frontiere, provocheranno uno spreco di prodotti deperibili».
The @wto, @WHO, & @FAO have issued a statement warning countries to avoid restricting food trade due to #COVID19 🌍:
“Now is the time to show solidarity, act responsibly & adhere to our common goal of enhancing #foodsecurity, food safety & nutrition"👇 https://t.co/pGunqWOsjR
— Farming First (@farmingfirst) April 9, 2020
Soltanto in Italia servono 370mila braccianti stagionali nei campi
Della questione si è parlato a più riprese in Europa. Le frontiere chiuse e i divieti di spostamento rischiano infatti di bloccare le raccolte. Sono centinaia di migliaia i lavoratori – stagionali e spesso malpagati – che ogni anno migrano di regione in regione, di campo in campo, di parcella in parcella. Seguendo la maturazione dei prodotti agricoli e le esigenze delle filiere agricole.
https://soundcloud.com/valori_it/il-coronavirus-puo-scatenare-una-crisi-alimentare-mondiale
In Italia, il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, ha chiesto un intervento diretto da parte della Commissione europea. Secondo le stime dell’associazione di categoria, riferite dall’agenzia Ansa, con la chiusura delle frontiere nell’Unione europea «a mancare è quasi un milione di lavoratori stagionali nelle campagne dei principali paesi agricoli». Per questo, l’Europa «rischia di perdere quest’anno l’autosufficienza alimentare e il suo ruolo di principale esportatore mondiale di alimenti, per un valore di 151,2 miliardi di euro». La situazione più grave potrebbe essere proprio quella italiana: nel nostro paese servono infatti «370mila lavoratori che arrivano ogni anno dall’estero, fornendo il 27 per cento del totale delle giornate di lavoro necessarie al settore».
With Italy in #COVIDー19 quarantine, tens of thousands of seasonal workers who help to keep the billion pound Italian agriculture industry afloat are blocked from entry | #Food #CoronaVirusUpdateshttps://t.co/Mn5gI3Fwf0
— Context News (@ContextNewsroom) March 15, 2020
La Spagna chiede aiuto ai migranti irregolari per sostenere l’agricoltura
Ma il problema resta generalizzato. Il 21 marzo, un charter con 144 lavoratori stagionali è decollato da Suceava, nella Romania nord-orientale. Destinazione: Hannover, Germania settentrionale. Obiettivo: aiutare nella raccolta di asparagi. È stato però l’ultimo ad arrivare: in seguito, Berlino ha vietato l’ingresso di braccianti in arrivo dalla nazione europea (e anche dalla Bulgaria). Salvo poi annunciare un ripensamento, il 3 aprile. Un altro aereo è quindi arrivato nel Regno Unito il 16 aprile, con 150 agricoltori rumeni a bordo.
Germany flies in seasonal workers from Romania to help its coronavirus-hit agriculture sector pic.twitter.com/nxDzc39A2c
— Bloomberg Originals (@bbgoriginals) April 9, 2020
Si stima che siano circa 200mila i lavoratori agricoli rumeni bloccati in patria. Ma anche quelli in arrivo da Marocco e Tunisia sono in gran parte rimasti a casa. E mentre il periodo di raccolta di frutta e verdura si avvicina, alcune nazioni rischiano di trovarsi paralizzate. È il caso della Spagna, che da metà marzo ha chiuso le proprie frontiere. La penisola iberica rappresenta il primo produttore di frutta d’Europa. E quasi tutte le parcelle non hanno in questo momento sufficienti braccia per garantire la produzione. Tanto che è stato chiesto aiuto ai migranti irregolari.
Belgio, Regno Unito, Olanda: ovunque mancano i braccianti
Il quotidiano francese Le Monde racconta il caso delle coltivazioni di ciliegie ad Alicante e nella valle di Jerte. Ma anche lungo il fiume Ebro, in Aragona e in Catalogna, «servono urgentemente 50mila persone per garantire la raccolta di pesche e albicocche». Stessa situazione nei campi di aglio in Andalusia e in Castiglia-La Mancia. O nella provincia di Guadalajara, nei pressi di Madrid, «dove manca l’80% dei braccianti necessari per la raccolta di asparagi verdi».
Anche il Belgio si appresta ad affrontare una situazione particolarmente difficile. Ad oggi sono circa 60mila le persone che mancano all’appello. Il 90% delle quali sarebbe dovuto arrivare da Polonia, Romania e Bulgaria. Qui a rischio sono soprattutto le raccolte di pomodori, fragole, cavolfiori e ravanelli.
L’Ue: facilitare il passaggio alla frontiera degli stagionali
Nei Paesi Bassi, similmente, è ad oggi assente la maggior parte dei 170mila braccianti stagionali impiegati ogni anno. Con tutto ciò che questo implica anche in termini economici: il settore agricolo olandese, nel 2019, ha esportato nei per 11,9 miliardi di euro. Mentre nel Regno Unito si stima possano mancare 90mila lavoratori.
#Sbarchi di #migranti fermi, ma è allarme #braccianti
Tra #Foggia e #Calabria lavorano a fatica. Rischio proteste per la povertà#ANSA #Agricoltura #2aprilehttps://t.co/Sw5isB9NNE— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) April 2, 2020
Per questo il commissario europeo all’Agricoltura, Janusz Wojciechowski, il 30 marzo scorso ha raccomandato agli Stati membri dell’Ue di facilitare il passaggio alle frontiere dei lavoratori agricoli. Poiché essi «sono indispensabili per la sicurezza alimentare europea».
Il Kazakistan blocca le esportazioni di grano
L’allarme di FAO, WTO e OMS, però, è molto più ampio. La situazione, ad esempio, è aggravata dalle misure protezionistiche adottate da alcuni Stati. È il caso del Kazakistan, il più grande esportatore mondiale di farina di grano, che ha limitato le vendite all’estero. Decisioni che, secondo le tre organizzazioni internazionali, «possono alterare l’equilibrio tra approvvigionamento e domanda. Con la conseguenza di provocare un aumento dei prezzi e una volatilità degli stessi».
"Rice and wheat were the latest crops to see export restrictions, with Vietnam, Russia and Kazakhstan limiting trade in the short term to ensure sufficient domestic food supply during the lockdown."https://t.co/2ig7VRlvpy
— ARC 2020 (@ARC2020eu) April 8, 2020
A farne le spese sarebbero soprattutto dei Paesi più poveri del mondo. Per questo FAO, WTO e OMS hanno chiesto alla comunità internazionale di cooperare, «in modo solidale. Per garantire la sicurezza e la salubrità alimentare a tutte le popolazioni del mondo». Ma se penurie e problemi di approvvigionamento dovessero davvero manifestarsi nei Paesi ricchi, è facile immaginare che il richiamo alla solidarietà globale possa cadere nel vuoto.
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