In Italia 1,1 milioni di famiglie non hanno un conto corrente. 8 su 10 vivono al Sud
Ampie fasce della popolazione sono prive di strumenti finanziari di base. Lo dimostra il rapporto Inclusione finanziaria e microcredito
L’inclusione (o, viceversa, l’esclusione) finanziaria può sembrare un argomento un po’ teorico, da addetti ai lavori. In realtà, basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanto innumerevoli azioni, dalle banalità quotidiane alle grandi scelte della vita, dipendano in modo determinante dall’accesso ai servizi finanziari. Ricevere lo stipendio nel conto corrente, stipulare un’assicurazione sulla vita, chiedere un mutuo per la prima casa: e gli esempi potrebbero continuare ancora a lungo. Alla luce di questo, è senza dubbio preoccupante il fatto che il 4,4 per cento delle famiglie italiane non disponga nemmeno di un conto corrente o di deposito bancario, né di un conto postale. Un quadro di esclusione finanziaria che è molto più grave al Sud.
La seconda edizione del rapporto “Inclusione finanziaria e microcredito”
Questi e altri dati sono contenuti nella seconda edizione del rapporto “Inclusione finanziaria e microcredito. Con le comunità per contrastare la povertà e l’esclusione”, pubblicato da Fondazione Finanza Etica. Uno studio che nasce dalla collaborazione tra Gruppo Banca Etica, Rete Italiana di Microfinanza (RITMI) e c.borgomeo&co. e, per la seconda volta, unisce i risultati della 5a indagine sull’inclusione finanziaria realizzata da Banca Etica e quelli della 17a edizione del Rapporto sul microcredito in Italia curata da c.borgomeo&co. L’analisi si impernia sui dati provenienti da fonti istituzionali, come Banca d’Italia e Istituto nazionale di statistica (Istat), integrandoli con altri studi realizzati dalle organizzazioni autrici.
Quante famiglie sono prive di un conto corrente
Uno dei dati più eloquenti emerge dall’ultima Indagine sui bilanci delle famiglie di Banca d’Italia, che fa riferimento al 2020. Il 4,4% delle famiglie non ha un conto corrente, né un conto deposito o postale. Si tratta di qualcosa come 1,1 milioni di nuclei familiari, che corrispondono a 2,3 milioni di persone.
Un dato che peraltro è fortemente sbilanciato a livello geografico. Di queste famiglie escluse finanziariamente, solo il 16% risiede al Nord e il 6% al Centro, mentre al Sud e nelle isole le percentuali sono nettamente più alte: rispettivamente il 56 e il 22%. In Campania e Molise, addirittura due famiglie su dieci non dispongono di un conto corrente. In Calabria e Sicilia, invece, si sfiora il 12%.
L’andamento dell’indice di inclusione finanziaria in Italia
Se è vero che il conto corrente è la porta d’accesso al mondo bancario e finanziario, è anche vero che da solo non basta. Per i grandi e piccoli progetti di vita, spesso è necessario chiedere un finanziamento rateale. Nel 2020 lo ha fatto il 4,6% delle famiglie italiane: di queste, il 18% si è visto rifiutare la domanda, mentre il 3% si è dovuto accontentare di un’accettazione parziale.
Anche in questo caso, la geografia conta. Se al Nordest più del 90% delle richieste viene accolto, al Sud tale percentuale crolla al 57,5%. A livello nazionale, i tassi di rifiuto più frequenti sono nel comparto del credito al consumo (30% delle domande), mentre per i finanziamenti con finalità professionali si attestano al 19% e in quelli per l’acquisto di immobili all’11%.
Queste evidenze trovano riscontro nell’Indice di inclusione finanziaria. Banca Etica lo elabora a partire da due dati. Il primo è l’intensità creditizia, cioè il rapporto tra finanziamenti e prodotto interno lordo (Pil) al netto delle sofferenze bancarie. Il secondo sono le condizioni di offerta del credito, cioè la propensione delle banche a erogare nuovi finanziamenti in una determinata area del Paese. La curva è in discesa dal 2012 ma a partire dal 2018 ha virato verso l’alto, con una brusca accelerazione nel 2020. Tra il 2020 e il 2021, però, il dato è tornato a peggiorare di tre punti percentuali, con un picco negativo nell’Italia centrale (-6,4%).
Le banche sono sempre meno presenti sul territorio
Il rapporto insiste sul fatto che questa distanza tra i cittadini e i servizi finanziari rispecchi la crescente distanza che li separa dalle banche, intese come presìdi fisici sul territorio. Complice il sempre maggiore consolidamento del settore, in cui pochi grandi gruppi si stanno accaparrando quote di mercato, le filiali sono sempre meno. A fine 2021 gli sportelli bancari attivi erano 21.650, un anno dopo 20.986: in media, due filiali al giorno hanno chiuso i battenti. Ed è un fenomeno comune ad altri 25 Stati dell’Unione europea su 27. Oltre quattro milioni di italiani abitano in Comuni in cui di filiale bancaria non ce n’è nemmeno una: il 6,3% della popolazione del Nord, il 4,6% della popolazione del Centro e il 20,4% di quella del Sud e delle Isole.
Certamente questa desertificazione bancaria è in parte compensata dall’avvento dei servizi bancari digitali, il cui accesso ha visto un +29% nell’arco di dieci anni. Ma, appunto, questo è vero solo in parte. In un territorio come l’Italia, in cui l’età media è la più alta d’Europa e la rete internet veloce è ancora lacunosa, soltanto il 45% della clientela sfrutta i canali digitali delle banche. Molto meno rispetto alla media dell’Unione, pari al 58%. Per giunta, l’internet banking non è andato a sopperire alla mancanza di sportelli sul territorio. Lo dimostrano Trentino-Alto Adige e Calabria. La prima è in testa sia per accesso online ai servizi bancari (59,61% della popolazione), sia per diffusione degli sportelli (65 ogni 100mila abitanti). La seconda, viceversa, è fanalino di coda di entrambe le graduatorie, con il 26,8% della popolazione che usa l’home banking e 18 sportelli ogni 100mila abitanti.
Un’iniziativa di educazione finanziaria
ValoriLab. È online la piattaforma di educazione critica alla finanza del Gruppo Banca Etica
Fornire strumenti per capire le regole della finanza e l’impatto sul mondo: è l’obiettivo di ValoriLab, piattaforma del Gruppo Banca Etica
Le fasce più fragili della popolazione sono a rischio
Quando mancano i servizi finanziari sul territorio, o quando da quei servizi finanziari ci si sente tagliati fuori, allora il rischio è quello di rivolgersi a società finanziarie borderline, che sfuggono alle stringenti regolamentazioni previste per le banche propriamente detto. O ancora, di ricorrere a uno strumento come la cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Legale e utile, certo, ma non privo di rischi, soprattutto per chi si trova in difficoltà. Peggio ancora, si rischia di cadere nella rete dell’usura.
«Che oltre 2 milioni di cittadine e cittadini italiani non abbiano accesso ai servizi finanziari di base è sintomo di deterioramento dei presidi territoriali e rappresenta una porta aperta ai circuiti finanziari non vigilati e criminali, in primis l’usura», commenta Anna Fasano, presidente di Banca Etica. «Del resto tale scenario è il contraltare sociale di un calo dell’Indice di inclusione finanziaria sul 2020, e dovrebbe stimolare al contempo le istituzioni a rendere l’ecosistema bancario e finanziario più accogliente verso lavoratori fragili e precari (tra cui molte donne), verso le famiglie e le imprese in difficoltà, condividendo così (almeno in parte) la visione della finanza etica, che considera l’accesso al credito un diritto umano».
Quanto vale il microcredito in Italia
Una risposta concreta al rischio di esclusione finanziaria è il microcredito. Grazie a 130 diverse iniziative, nel corso del 2022 sono stati concessi prestiti a 15.679 beneficiari. Il loro ammontare complessivo sfiora i 214 milioni di euro. Salvo rarissime eccezioni, non c’è stato bisogno di garanzie personali. Il 46,7% dei prestiti resta su un importo inferiore ai 25mila euro.
Rispetto al 2021, crescono visibilmente i prestiti per studenti (nel 2022 sono 5.568, per un totale di 59 milioni di euro) mentre quelli del microcredito sociale vivono un forte calo, fermandosi a 4.139, per un volume totale di 20 milioni di euro. Cala anche il numero di prestiti nel campo del microcredito produttivo (sono 4.847, per un totale di 115 milioni di euro) e dei programmi antiusura (974, per un totale di 18 milioni di euro). Nelle altre tipologie ricadono 151 prestiti dal volume complessivo di un milione di euro.
Il microcredito, dunque, può essere un ponte verso l’inclusione finanziaria. Per questo, diventa interessante capire chi sono i beneficiari. Il divario di genere è ancora tangibile e trasversale: sia nel microcredito d’impresa sia in quello sociale, solo quattro beneficiari su dieci sono donne. I giovani under 30 sono clienti e beneficiari dell’83% dei finanziamenti per l’avvio della propria attività economica, ma solo del 9% dei prestiti legati al microcredito sociale. La presenza dei migranti ha un andamento opposto: sono il 35% della popolazione servita dal microcredito sociale e il 2% di quella servita dal microcredito d’impresa.
«Il nostro rapporto raccoglie i dati sulle esperienze di microcredito in Italia dal 2005. I dati confermano una utilizzazione sostanzialmente costante di questo strumento», dichiara Carlo Borgomeo, presidente di c.borgomeo&co. «La nostra convinzione è che la domanda potenziale di microcredito, sia di quello “sociale” che di quello “imprenditoriale”, è molto più alta, ma che le politiche, le normative adottate nel corso degli anni non hanno consentito una estensione del fenomeno. E l’ultimo decreto del Mef, quello del novembre 2023, rischia addirittura di snaturare lo strumento».
Come cambia la normativa che regola gli operatori di microcredito
In Italia a regolare il microcredito è l’articolo 111 del Testo unico bancario (TUB). Un articolo che un decreto ministeriale del 12 gennaio 2024 ha modificato in modo rilevante. Innanzitutto, la soglia massima dei finanziamenti è stata portata a 75mila euro, che salgono a 100mila se il credito è concesso a una srl. D’ora in poi possono fare ricorso al microcredito anche le imprese già in attività, e non solo quelle in fase di avvio e di sviluppo, e le piccole imprese con un massimo di 10 addetti.
«Il nuovo decreto (211/2023) espone il microcredito a rischi e potenzialità e come Rete Italiana di Microfinanza riteniamo importante monitorare come questa norma diventa effettiva sui territori», sottolinea Giampietro Pizzo, presidente di RITMI. «Il nuovo assetto allarga la platea del microcredito, le finalità di finanziamento così come gli importi, ma non sarà possibile applicare le nuove disposizioni ai prestiti già in essere, lasciando molte imprese, indebolite dal recente contesto economico, in una situazione drammatica. Inoltre, la nuova norma non apre nuovi orizzonti per il microcredito sociale, uno strumento indispensabile per contrastare l’esclusione sociale che alimenta fenomeni di illegalità finanziaria e criminalità usuraria, in particolare nel Mezzogiorno».