Sanità, il fronte caldo del terzo settore
Il settore privato, nel 2018 ha fattutato quasi 24 miliardi. I soggetti profit dilagano. Per il non profit, che occupa 812mila persone, nodo finanziamenti a medio-lungo termine
Il Terzo settore, quello dell’economia civileVisione generale dell’economia basata sui principi di reciprocità e solidarietà che si pone come alternativa all’economia di mercato tradizionale in senso capitalistico.Approfondisci non profit, è da decenni un elemento essenziale del sistema del sistema italiano di welfare. Essenziale ma in difficoltà, con un ruolo che rischia di essere marginalizzato man mano che il peso economico dei privati profit assume rilevanza grazie all’apporto di imponenti risorse finanziarie. Il non profit, specie nella sanità, fa fatica a fare “massa critica”. Dietro questa difficoltà c’è la fragilità di molte strutture non profit che hanno trovato parziale risposta in un processo di aggregazioni consortili che non ha sanato però il vero tallone d’Achille: la “bancabilità”. Il termine tecnico indica la possibilità di portare al mondo degli istituti di credito i propri progetti e di vederli valutati e finanziati in un’ottica di medio e lungo termine. Per rispondere a questa debolezza servono riforme che valorizzino la sanità non profit.
Dal privato profit concorrenza brutale
Il problema sta anche nel fatto che il mondo della sanità non profit deve scontrarsi con la concorrenza brutale dei privati profit. Secondo i dati dell’ultima edizione dell’Osservatorio Cergas-Bocconi sulla sanità in Italia, nel 2018 la spesa del Sistema sanitario nazionale per l’assistenza privata accreditata ha registrato un valore medio di 392 euro per abitante, pari al 20,3% della spesa complessiva del Servizio sanitario nazionale (Ssn), in aumento del 18,8% rispetto al 2017. A livello nazionale il settore vale quindi 23,7 miliardi di euro circa rispetto ai 116,8 miliardi della spesa del Ssn.
Quante differenza tra Regioni
L’incidenza dei privati nella sanità varia sensibilmente a livello regionale, passando dai massimi registrati in Lombardia (27,5%), Lazio (24,5%) e Molise (23,2%), al minimo del 6,7% in Valle d’Aosta, unica regione insieme all’Umbria (9,3%) e alla Provincia autonoma di Bolzano (9,7%) sotto la soglia del 10%. Per quel che riguarda la composizione della spesa del Ssn gestita da erogatori accreditati, il 37,1% della spesa complessiva (146 euro pro capite) va a ricoveri ospedalieri in strutture accreditate, mentre un altro 35,5% è da imputare alla “Altra assistenza accreditata”, legata prevalentemente all’assistenza territoriale socio-sanitaria presso strutture residenziali.
I privati accreditati detengono il 31,3% dei posti letto totali a livello nazionale, concentrati per il 64,9% nelle case di cura. Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs), Policlinici privati ed enti di ricerca hanno in dotazione il 21,4% dei posti letto accreditati: il 18,3% negli Ircss, il 2,7% nei due Policlinici universitari privati e lo 0,4% negli enti di ricerca. Il restante 13,7% dei posti letto privati accreditati è suddiviso tra ospedali classificati (9,8%) e istituti qualificati (3,9%).
Quanto ai ricoveri ospedalieri, il peso del privato accreditato in termini di posti letto risulta minore nell’attività per acuti (23,5% dei posti letti per acuti totali del Ssn, +0,9 rispetto al 2014), il 51,7% nella lungodegenza (+0,6% rispetto il 2014) e il 72,9% (–0,8%) nella riabilitazione. Queste cifre comprendono sia il business dei privati profit che quello della sanità confessionale, in Italia quasi totalmente cattolica, che il mondo dei privati non profit.
Il ruolo delle strutture vigilate dalla CEI
Distinguere però tra le tre componenti del settore non è semplice. Il business della sanità gestito da privati profit è enorme ma l’associazione di categoria dei privati sottostimano le cifre. Secondo l’Aiop, l’Associazione Ospedalità Privata che raggruppa solo una parte degli operatori, nel 2018 il fatturato realizzato da 315 strutture ospedaliere è stato di 7,9 miliardi. La cifra è molto al ribasso perché all’Aiop sono associate 518 strutture con 60mila posti letto dei quali 52mila accreditati al Servizio sanitario nazionale (Ssn).
Nel comparto operano poi le strutture collegate all’Aris, l’Associazione religiosa istituti socio sanitari, che opera in conformità al Magistero sociale della Chiesa ed è vigilata dalla Conferenza Episcopale Italiana. Aris associa oltre 230 strutture sociosanitarie gestite da enti religiosi tra ospedali, istituti scientifici, case di cura, centri di riabilitazione, residenze per anziani. Pochi anni fa erano più di 300, ma molte istituzioni hanno chiuso o ceduto l’attività per difficoltà «talvolta purtroppo aggravate dalla cattiva gestione degli istituti da parte della proprietà, di solito una Congregazione religiosa», come riportato dalla “Civiltà Cattolica”.
La sanità cattolica costa il 40% in meno del pubblico
Secondo dati aggiornati al 2013 offrivano 25mila posti letto, di cui 14mila nell’area ospedaliera. Secondo il volume di Giuseppe Rusconi “L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno”, pubblicato da Rubbettino nel 2013 la sanità cattolica costa allo Stato, mediamente, il 40% in meno di quella pubblica. Dedotte le somme rimborsate alla sanità cattolica attraverso le convenzioni, Rusconi calcola il contributo cattolico alla società italiana nella sanità intorno a un miliardo e 200 milioni l’anno.
A limitare il business dei privati, sia profit che non profit, nella sanità ci sono le tariffe delle prestazioni erogate dal Ssn che sono congelate dal 2012 grazie al Decreto Balduzzi che limita il ricorso delle Regioni al privato accreditato.
Ma il 7 novembre il presidente della Conferenza Stato Regioni, il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ha scritto al ministro della Sanità Roberto Speranza, al presidente dell’Aiop, Barbara Cittadini, e a quello dell’Aris (l’Associazione religiosa istituti socio sanitari), Virginio Bebber, per chiedere di sbloccare il tetto al budget della sanità privata accreditata.
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Sanità privata, per i dipendenti contratto fermo da 13 anni
La disponibilità delle Regioni era arrivata dopo l’incremento del Fondo sanitario nazionale di 2 miliardi per il 2020. Le Regioni vogliono dal Governo l’aumento dei budget per i ricoveri in modo da coprire il 50% dei costi del rinnovo del contratto di categoria dei 70mila dipendenti della sanità privata. Il contratto vale 300 milioni ma è fermo da 13 anni. Il personale delle Rsa ha poi un contratto specifico che i sindacati confederali non hanno firmato, perché ha abbassato le retribuzioni e ridotto i diritti, mentre i privati ricorrono sempre più all’outsourcing attraverso appalti a cooperative.
Il rischio per la sanità privata è l’esodo del personale nel settore pubblico che ha riaperto i concorsi e rinnovato il contratto. Nonostante la mossa, il contratto Aiop è rimasto bloccato e Cgil, Cisl e Uil reclamano ancora un tavolo negoziale.
La sanità privata dilaga al Centro-Sud
Dal punto di vista sociale, la più recente fotografia del peso del terzo settore nel mondo sanitario e assistenziale è quella contenuta nel 53° rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, diffuso a dicembre scorso con dati relativi al 2018. Per avere ciò di cui hanno bisogno per la propria salute, gli italiani si rivolgono sia al Servizio sanitario nazionale, sia a operatori e strutture private, profit o non profit, a pagamento.
Nel 2018 il 62% degli italiani che ha ottenuto almeno una prestazione dalla sanità pubblica ne ha fatta anche almeno una nella sanità a pagamento e la percentuale raggiunge il 68,9% per chi ha un reddito di oltre 50mila euro annui. Nello stesso anno per 100 prestazioni dei Livelli essenziali di assistenza prenotate nel pubblico 27,9 sono transitate nella sanità a pagamento. Mentre al Nord il livello di utilizzo della sanità privata è inferiore della media italiana, a dimostrazione della tenuta del Sistema sanitario nazionale, il dato raggiunge il 31,6% nel Centro e il 33,2% al Sud. Un’incidenza che va di pari passo alla spesa sanitaria privata sul bilancio familiare.
L'intervista
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L’insoddisfazione per i servizi ai non autosufficienti
Il 56% degli italiani dichiara di non essere soddisfatto dei principali servizi socio-sanitari per i non autosufficienti presenti nella propria regione (il 45,5% dei residenti al Nord-Ovest, il 33,7% nel Nord-Est, il 58,2% nel Centro, il 76,5% al Sud).
A fronte di questa domanda, in Italia sono presenti 343.432 istituzioni non profit, cresciute del 14% tra il 2011 e il 2016, che occupano 812.706 dipendenti (+19,4% nello stesso periodo). Più della metà ha sede nelle regioni settentrionali (il 28% nel Nord-Ovest, il 23,3% nel Nord-Est), il 22,2% nel Centro, il 26,7% nel Mezzogiorno. La famiglia resta la rete più importante di solidarietà tra le persone di diverse generazioni. La capacità di creare relazioni all’interno delle comunità diventa quindi una priorità e il terzo settore è l’unico protagonista che può mettere in campo soluzioni efficaci ed efficienti.