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Un quantitative easing a 13 zeri: così le banche centrali (non) hanno cambiato il mondo

Il QE ha dimensioni shock: $19 trilioni. in dieci anni quadruplicati gli asset delle 4 principali banche centrali. Effetti sull'economia reale? Quasi zero

Matteo Cavallito
Il presidente uscente della BCE Mario Draghi ha annunciato a settembre l'imminente ripresa degli acquisti da parte dell'Eurotower © Aron Urb (EU2017EE)/Flickr
Matteo Cavallito
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Stampare denaro, comprare titoli, immettere liquidità, prestarne altra a interessi (sotto)zero e guardare con speranza al tasso di inflazione: si chiama QE, quantitative easing o alleggerimento quantitativo, che dir si voglia. È il grande fenomeno del decennio, misurato dalla crescita del volumi dei titoli in mano ai regolatori della politica monetaria.

Dalla crisi ad oggi, rileva l’ultima analisi di Yardeni Research, il valore degli asset a bilancio delle quattro maggiori banche centrali del Pianeta – Fed, BCE, Bank of Japan e People’s Bank of China – sono quasi quadruplicati passando da 5 a oltre 19 trilioni (migliaia di miliardi) di dollari. La dimensione degli acquisti è impressionante, il trend è stazionario. In termini di paradigma è stata quasi una rivoluzione. Ma l’economia reale, per così dire, non ha sperimentato un cambiamento significativo. E l’attuale congiuntura economica mette definitivamente in discussione la validità delle strategie dello stesso quantitative easing.

Banche centrali sempre meno autonome

Stagnazione europea, impercettibile inflazione giapponese, rallentamento cinese e timori statunitensi: bastano questi elementi per capire che il quantitative easing, in tutte le sue forme, non è stato (e non è) una panacea del malessere economico. Solo la Fed ha da tempo interrotto gli acquisti dei titoli sul mercato; la BCE è pronta a ricominciare, i regolatori di Cina e Giappone non hanno mai smesso.

Le banche centrali sono sempre meno autonome, costrette di fatto a intervenire senza sosta a sostegno degli investitori e della ragion di Stato in economia.

Forse ha ragione il Guardian a definire i mercati finanziari sotto quantitative easing «uno degli ultimi bastioni del socialismo». Il Financial Times è andato persino oltre: il quantitative easing, ha rilevato il quotidiano britannico, avrebbe salvato i risparmi delle vecchie generazioni escludendo però da ogni beneficio i millennials. Da qui il comprensibile spirito di rivolta e la crescente popolarità dei nuovi leader socialisti globali come Alexandria Ocasio-Cortez. Tesi ardita e ovviamente affascinante. Chissà.

Il quantitative easing è una grande metafora

Il nesso, forse, è più filosofico che politico. Socialismo castrante alla Goodbye Lenin!, «vissuto – rilevava ai tempi il noto critico cinematografico Paolo Mereghetti – come una grande madre, con i difetti e i pregi di un ingombrante genitrice». Sistema benevolo e opprimente, diremmo fuor di metafora, per mercati bamboccioni, pretenziosi oltremisura quanto incapaci di concepire un mondo diverso nel quale muoversi da soli. quantitative easing come guerra alla deflazione, spettro che agita le notti dei regolatori, sindrome giapponese combattuta a suon di cannonate. È l’allegoria del bazooka monetario, armato di volta in volta per stimolare la crescita. I risultati sono stati variabili, i timori di un mercato gonfiato artificialmente riguardano tutte le maggiori aree economiche. E l’unica certezza, per ora, è data dai numeri. Questi.

Banca Centrale Europea

Asset a bilancio: $5,2 trilioni

Gli asset detenuti dalla Banca Centrale Europea ammontano a 4.682 miliardi di euro, pari a circa 5,2 trilioni di dollari. Lanciato nel marzo del 2015 e concluso ufficialmente il 31 dicembre 2018, il quantitative easing si è tradotto in acquisti complessivi per 2.600 miliardi di euro (3 trilioni di dollari). Le operazioni hanno interessato in particolare i titoli di Stato comprati sul mercato secondario (la banca centrale non può partecipare alle aste) ma anche obbligazioni corporate (emesse cioè dalle aziende) nonché, sottolinea la Reuters, titoli strutturati come covered bonds e asset-backed securities.

Le operazioni hanno contribuito in modo decisivo al calo degli spread spingendo i rendimenti offerti dai bond governativi dell’Eurozona ai minimi storici.

Oggi, una quota considerevole delle obbligazioni sovrane dell’area offre rendimenti negativi. I successi però si fermano qui. L’inflazione resta molto bassa, al di sotto della famosa quota obiettivo del 2%. Italia e Germania, principali potenze manifatturiere del Continente, attraversano una fase di stagnazione. Gli ultimi dati trimestrali, infine, segnalano una contrazione del credito concesso dalle banche a consumatori e imprese. Dopo dieci mesi di pausa, la BCE avvierà una nuova fase del quantitative easing con 20 miliardi di euro di acquisti ogni mese.

Gli asset a bilancio della BCE (milioni di euro). Fonte: Tradingeconomics

Federal reserve

Asset a bilancio: $3,7 trilioni

Il quantitative easing statunitense si è svolto tra il 2008 e il 2015. In quel periodo di tempo il valore degli asset in mano alla Federal Reserve è quintuplicato raggiungendo i 4,5 trilioni di dollari. Oggi la cifra a bilancio è scesa a 3.700 miliardi, pari comunque a circa quattro volte il valore registrato nel 2008. Gli acquisti hanno portato in pancia titoli di Stato e mortgage-backed securities, ovvero i derivati costruiti sui mutui (gli insaccati finanziari della crisi, per capirci). A differenza dell’omologa europea, la Fed non pare intenzionata a riprendere le operazioni. Ma il pressing costante di Donald Trump potrebbe indurre i regolatori a tagliare i tassi per offrire un sostegno alla crescita americana.

Bank of Japan

Asset a bilancio: $5,4 trilioni

«Big in Japan, alright. Pay, then I’ll sleep by your side» cantavano gli Alphaville, leggendaria band tedesca dei favolosi anni ’80. Anticipazione del tutto involontaria dell’unica cosa veramente grande registrata in Giappone nel secolo successivo: l’eccezionale sforzo monetario della banca centrale. Nel 2013 Tokyo ha avviato una maxi iniezione di liquidità da 270 trilioni di yen (2.700 miliardi di dollari dell’epoca, ovvero il 60% del Pil) con l’obiettivo di risvegliare l’economia dal suo sonno pluridecennale.

I primi risultati sono stati incoraggianti: nel 2014 l’inflazione è salita al 2,4% su base annuale alimentando le speranze di un significativo slancio dei consumi. Gli effetti, però, sono stati di breve durata. Quest’anno, ha segnalato il FMI, la crescita dell’economia non dovrebbe raggiungere l’1%. «Nessun Paese esemplifica l’impotenza dell’azione monetaria meglio del Giappone» ha scritto di recente il quotidiano Japan Times.

People’s Bank of China

Asset a bilancio: $5,2 trilioni

Il volume degli asset in mano alla People’s bank of China è cresciuto in modo sostanziale nell’ultimo decennio passando da 2,3 a 5,2 trilioni di dollari. Attualmente i regolatori continuano a perseguire strategie espansive iniettando via via nuova liquidità nel sistema finanziario. Le operazioni puntano a sostenere l’economia che sconta una lunga fase di rallentamento esacerbata dagli effetti della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Pechino ha inoltre allentato i vincoli patrimoniali delle banche con l’obiettivo di stimolare l’erogazione del credito.

Alcuni osservatori, tuttavia, mostrano scetticismo. «Gli esperti evidenziano come questo genere di approccio stia diventando sempre meno efficace» scrive il New York Times. Buona parte del credito favorito dal quantitative easing tende a finanziare le grandi società statali escludendo le società private e, in generale, alcuni dei settori più produttivi dell’economia (un limite noto da anni e alla base dell’espansione del sistema bancario ombra con tutti i rischi che ne derivano, ma questa è un’altra storia…).

Nel primo semestre dell’anno l’economia cinese è cresciuta del 6,3%. Ma alle attuali condizioni, ha ammesso il premier Li Keqiang, sarà «molto difficile» mantenere un tasso di crescita simile nel futuro prossimo. Nonostante la generosità della banca centrale, appunto.