Quanta energia consuma il metaverso
Il metaverso è un universo virtuale, ma il suo impatto sui consumi di energia – e quindi sul riscaldamento globale – sarà molto concreto
Fin dal suo primo entusiasta discorso di presentazione del metaverso, Mark Zuckerberg ci ha tenuto a precisare una cosa. Partecipare a un concerto, a una riunione o a un caffè con i parenti attraverso un avatar virtuale, invece di raggiungerli a bordo di un’auto, significa evitare le emissioni di CO2 connesse agli spostamenti. Questo è innegabile. Ma qual è il rovescio della medaglia?
Tutto si spiega
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Per il metaverso servono computer immensamente più potenti
La multinazionale hi-tech Intel sostiene che la capacità di elaborazione dei computer debba aumentare di mille volte rispetto a ora per garantire a miliardi di persone un’esperienza realmente immersiva in tempo reale, passando dalle due alle tre dimensioni e rappresentando in modo così realistico gli ambienti e gli avatar che si muovono al loro interno. Difficile fare una stima di cosa significhi tutto questo in termini di fabbisogno di energia. Che ad oggi, va ricordato, a livello globale è ancora soddisfatto per l’80% dalle fonti fossili, le principali responsabili dei cambiamenti climatici di origine antropica.
Pur essendo intangibili, infatti, i servizi digitali (metaverso compreso) si reggono su strutture fisiche chiamate data center che ospitano server, sistemi di archiviazione, gruppi di continuità, cavi, impianti di raffreddamento e altre apparecchiature. Ancora nel 2015 alcuni studi ipotizzavano che queste “sale macchine” – attive 24 ore su 24 per 365 giorni all’anno – fossero responsabili del 2% delle emissioni di gas a effetto serra, una quota simile a quella dell’aviazione.
Si tratta però di dati inevitabilmente parziali, per due motivi. Innanzitutto, la maggior parte dei data center non tiene traccia del proprio impatto climatico e ambientale. Nel 2015, inoltre, mancavano ancora all’appello le piattaforme di cloud gaming, cioè i videogiochi che vengono eseguiti in remoto e trasmessi in streaming sul dispositivo dell’utente; la differenza rispetto a quelli tradizionali è paragonabile a quella che intercorre tra Netflix e un DVD. Questi servizi fanno impennare i consumi di elettricità dei dispositivi: si parla di +120-300% per i laptop e +30-200% per le consolle.
L’enorme impatto climatico di Intelligenza Artificiale e NFT
La user experience personalizzata promessa dal metaverso, inoltre, è possibile soltanto grazie all’Intelligenza Artificiale. Gli algoritmi di deep learning (uno dei sistemi di apprendimento automatico più performanti) devono essere allenati per riuscire poi a elaborare le informazioni in autonomia. Peccato che addestrare un singolo modello riversi in atmosfera fino a 284 tonnellate di CO2 equivalente, cioè cinque volte le emissioni legate all’intero ciclo di vita di un’automobile americana, fabbricazione inclusa. A dirlo sono i ricercatori della University of Massachusetts, Amherst.
In questo conteggio bisogna poi includere anche gli NFT (non-fungible token), certificati digitali impossibili da modificare che dimostrano l’autenticità e l’originalità di un bene. Gli NFT saranno parte integrante del metaverso, perché è grazie a loro se ogni utente potrà legare in modo univoco e indissolubile la propria identità reale all’avatar, ma anche comprare e vendere veicoli, terreni, oggetti di ogni genere.
Gli NFT, però, fanno leva sulla blockchain di Ethereum. Che è estremamente energivora. Stando alle analisi di Pete Howson, ricercatore presso la Northumbria University, Ethereum usa 100 TWh di energia all’anno, più dei Paesi Bassi. La carbon footprint (impronta di CO2) della blockchain è il doppio di quella della centrale a carbone di Belchatow, in Polonia, la più inquinante d’Europa. Vendere o comprare un singolo NFT richiede all’incirca l’energia che un cittadino britannico medio consuma nell’arco di due settimane.
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Una questione di equità
Considerata la crescente sensibilità dell’opinione pubblica verso le sorti del clima, c’è da scommettere sul fatto che le big della tecnologia faranno a gara ad annunciare ambiziosi programmi di compensazione delle emissioni. La questione, tuttavia, va molto oltre il conteggio delle tonnellate di CO2 riversate in atmosfera. E sconfina nell’equità.
Già nel 2020, fa sapere l’organizzazione umanitaria Oxfam, il 10% più ricco dell’umanità è stato responsabile di più della metà delle emissioni di CO2. Il 52%, per la precisione. Consumando così un terzo del carbon burget, cioè della quantità massima di anidride carbonica che si può ancora emettere in atmosfera per avere una chance di contenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi rispetto all’era preindustriale. Viceversa, la metà più povera dell’umanità (3,1 miliardi di individui) ha generato il 7% della CO2, erodendo soltanto il 4% del carbon burget.
Tutto questo avviene alla vigilia del roboante lancio del metaverso. Un “nuovo mondo” digitale che, per lungo tempo, inevitabilmente sarà appannaggio soltanto di chi può permettersi computer e smartphone di nuova generazione, connessioni 5G, costosi visori per la realtà virtuale e via discorrendo. Insomma, di quella piccola nicchia di privilegiati che già oggi inquina e spreca, noncurante del fatto che siano altri a pagare le conseguenze.