Sull’orlo della crisi (economica e climatica): urge un immediato cambio di rotta
Serve una nuova politica economica e una nuova finanza. Per dire addio alle fonti fossili e finanziare l'economia reale e la transizione ecologica
Tredicimila miliardi di dollari. A tanto ammonta lo stimolo messo in campo dalle Banche centrali per tentare di rilanciare l’economia mondiale negli ultimi dieci anni. E ora la Bce annuncia un nuovo bazooka monetario. Ma gli effetti sono stati minimi e l’unico vero beneficiario dello stimolo è stato il mondo della finanza.
Una bolla di tutti i segmenti del sistema, dalle azioni alle opzioni, amplificata da politiche distorsive (come quella del riacquisto delle azioni proprie), che, a oltre undici anni dalla Grande Crisi, lasciano il mondo sull’orlo del baratro della nuova crisi che oggi è quella climatica. Alcuni fattori della recessione già in atto, come quella in Germania, sono riconducibili proprio alle conseguenze dell’emergenza in atto.
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La nuova era dell’auto
Il modello dell’automobile non è solo investito da una rivoluzione tecnologica epocale (dalla combustione interna all’elettrico), ma è letteralmente terremotato dal cambiamento degli stili di vita (dalla proprietà dell’automobile alla mobilità collettiva e in sharing), che renderà drammaticamente superflua un’enorme capacità industriale che impatta in termini di Pil e occupati (nella sola Germania 850mila posti di lavoro diretti e oltre 2 milioni indiretti, con un contributo diretto di 497 miliardi di euro, pari all’1,5% del Pil).
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Aspettando un Green New Deal
Tutti auspicano, e sperano, che si possa attivare un Green New Deal per rispondere alla crisi strutturale di un sistema economico che deve fare i conti con il mix esplosivo di disuguaglianze, rendite (vecchie, come quelle delle multinazionali, e nuove, come quelle delle piattaforme digitali) e inefficienze.
La verità è che bisognerebbe mettere mano a una profonda riforma (non quelle richiamate dagli slogan neoliberisti), che sia in grado di mettere in campo vere politiche redistributive, indispensabili per produrre effetti positivi sui sistemi economici.
Climate change: non solo costi
L’impatto degli effetti climalteranti sul PIL è per lo più misurato in termini di costi, trascurando il capitale (capacità produttiva); in effetti, i costi di qualcuno sono anche un reddito per altri: la messa in sicurezza di un’area, il risanamento di un territorio, il disinquinamento delle falde acquifere e/o la ricerca di falde più profonde, sono effetti del cambiamento climatico che potrebbero diventare reddito in presenza di una politica economica all’altezza.
La disputa sui costi nasconde qualcosa di più profondo, ossia la quantità di capitale che rischia seriamente di essere compromesso perché distrutto o reso inutilizzabile dagli effetti climalteranti. Più precisamente, ci sono ampie porzioni di territorio, considerate le previsioni di innalzamento delle superfici del mare, che produrranno una distruzione di capitale paragonabile a quella dei disastri naturali.
Addio alle fonti fossili
Il primo passo è rescindere in modo netto i nodi gordiani con le fonti fossili. Non è pensabile un Green New Deal se non si interrompono tutti i sistemi di finanziamento diretti e indiretti nei confronti di carbone, lignite, petrolio e gas naturale.
Il sistema economico non si può più permettere di erogare 5.200 miliardi (dati Fmi), pari al 6,2% del pil mondiale, per sovvenzionare i killer del clima.
Gli investimenti per la conversione dei sistemi economici sono quindi urgentissimi. E non possono essere disgiunti dalle scelte finanziarie. La moda Esg non risponde all’emergenza climatica e agli impatti economici che sta già producendo. Anzi per certi versi rischia di aggravarli in assenza di misure politiche volte a rafforzare gli investimenti dell’economia reale in beni e infrastrutture verdi, essenziali per raggiungere gli obiettivi posti dagli accordi climatici di Parigi 2015.