Le grandi banche sfruttano il Covid-19: «Via le norme su fossili e trasparenza»
Sfruttando la crisi coronavirus, i principali finanziatori di carbone e petrolio tentano un attacco contro le nuove misure di regolamentazione finanziaria e gli stress-test climatici
Il 2020 doveva essere l’anno della svolta per quanto riguarda il legame tra finanza e cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondisci, ma probabilmente così non sarà. Lo scorso dicembre, dopo l’imbarazzante fallimento della COP25 di Madrid, la Banca d’Inghilterra aveva annunciato l’introduzione dei rischi climatici tra i fattori da considerare per valutare la stabilità del sistema finanziario britannico, banche e assicurazioni in primis. Stesso discorso per la Banca Centrale Europea: il suo vice-presidente De Guindos aveva comunicato di essere in procinto di implementare una misura simile. Una svolta rimandata, però, causa COVID-19.
Basilea IV sotto attacco
Come riporta il Financial Times, nelle scorse settimane le lobby bancarie hanno lanciato un attacco coordinato alle nuove misure di regolamentazione finanziaria in attesa di entrare in vigore.
Al centro dell’offensiva sono prima di tutto il pacchetto normativo noto come Basilea IV, che impone maggiori requisiti di capitale alle banche, la cui adozione era prevista per il 2027, ma che sembra essere destinata a slittare per consentire massima flessibilità agli istituti bancari.
A preoccupare le banche europee sono anche i nuovi principi contabili – IFRS 9 – introdotti nel 2018, con l’obiettivo di registrare in modo più tempestivo i rischi dovuti al deterioramento della qualità del credito e accantonare per coprire eventuali perdite prima che queste si verifichino. Con lo spettro ormai certo di una recessione globale, gli istituti di credito temono di dover contabilizzare già da ora perdite enormi, con il rischio di non disporre di coperture sufficienti. Anche in questo caso, le autorità centrali sembrano essere intenzionate a chiudere un occhio per accomodare le richieste del settore.
Riciclaggio e abuso di mercato
La lista non si ferma però qui: a essere messe in discussione sono anche le norme relative a riciclaggio e abuso di mercato, che imporrebbero un carico di lavoro eccessivo ai trader costretti a lavorare da casa e sprovvisti di tecnologie quali dispositivi di registrazione delle telefonate.
A pagare lo scotto di questa de-regolamentazione saranno inoltre le misure riguardanti i rischi finanziari legati alla crisi climatica, non più ritenute prioritarie in questa fase di estrema incertezza.
Quello previsto per quest’anno dalla Banca d’Inghilterra sarebbe stato il primo climate stress-test obbligatorio nella storia della finanza. L’obiettivo era di valutare la capacità del sistema finanziario inglese di far fronte ai rischi posti dal riscaldamento globale sia fisici, come l’impatto di sempre più frequenti catastrofi ambientali, che di transizione, ovvero la svalutazione di asset fossili nel passaggio ad una società a basse emissioni di carbonio. Test simili erano stati annunciati dalla Banca Centrale Europea, la quale però non aveva ancora definito una data per l’entrata in vigore.
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Ora però tutto sembra essere rimandato a data da destinarsi. Via il termometro ma non la febbre, si potrebbe dire. Già prima che scoppiasse la crisi del coronavirus, i sintomi dell’eccessiva esposizione delle banche ai combustibili fossili si facevano sempre più evidenti.
Una bolla da $20mila miliardi
Da un rapporto di Greenpeace, emerge che dall’Accordo di ParigiL’Accordo di Parigi è un documento d’intesa tra le nazioni facenti parte dell’UNFCCC che è stato raggiunto nel 2015 al termine della Cop21.Approfondisci, siglato a fine 2015, ad oggi i finanziamenti delle principali banche mondiali (partecipanti al World Economic Forum) alle compagnie che sfruttano i combustibili fossili hanno raggiunto l’astronomica cifra di 1.400 miliardi di dollari. Poiché il valore delle suddette società si basa su quello delle loro riserve fossili, il rischio di una repentina svalutazione è estremamente alto, dato che molte di queste riserve dovranno rimanere nel sottosuolo per rispettare gli accordi sul clima. Secondo il Governatore uscente della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, lo scoppio della bolla del carbonio potrebbe polverizzare fino a 20mila miliardi di dollari equivalenti di asset.
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Carbone sul baratro
Per ora è il carbone a mostrare i segni più evidenti di questo inevitabile trend al ribasso, specie negli Stati Uniti, dove il comparto ha perso il 90% del valore dal 2011 al 2019, con le dichiarazioni di bancarotta che ormai non si contano più.
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Oil&gas sotto stress
Non va molto meglio all’oil&gas, il cui andamento azionario non era di certo roseo ancor prima dell’emergenza coronavirus. L’Institute for Energy Economics and Financial Analysis (IEFA) ha analizzato il rendimento del portafoglio d’investimenti di Blackrock, il più grande fondo d’investimenti al mondo, scoprendo che la sua esposizione a quattro società petrolifere (Exxon, Chevron, Shell e BP) gli ha fatto registrare perdite per 70 miliardi di dollari. Cifra che sale di altri 20 miliardi se si considera l’intero suo investimento nelle fossili.
Sarà forse anche per questo che poco dopo l’amministratore delegato di Blackrock, Larry Fink, occupava le prime pagine di tutto il mondo affermando che i cambiamenti climatici avrebbero trasformato definitivamente la finanza globale.
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L’ammissione di JP Morgan
Qualche mese più tardi erano gli analisti di JP Morgan – il principale finanziatore dei combustbili fossili al mondo – a scrivere di non poter escludere “esiti catastrofici per l’umanità” qualora non si riuscisse a contenere la crisi climatica.
Poi è arrivata la crisi COVID-19. Dall’oggi al domani il petrolio affonda e le big del settore perdono 500 miliardi di dollari in una settimana. Si parla di pacchetti di salvataggio per le compagnie aree, il comparto croceristico e l’industria petrolifera, ovvero per i più grandi inquinatori al mondo.
Persino la non così progressista Agenzia internazionale dell’Energia ha preso posizione, chiedendo ai leader mondiali e alle istituzioni finanziarie di non far piovere aiuti sui settori non più sostenibili, bensì di veicolarli verso una transizione energetica pulita. Staremo a vedere.
Unicredit si riunisce a porte chiuse
Nel frattempo dalle nostre parti, UniCredit ha confermato la data della prossima assemblea degli azionisti, in programma il 9 aprile a Milano, nonostante la proroga concessa dal Governo a tutte le società quotate. Concessione respinta da Unicredit, ancora molto impegnata a finanziarie il comparto dei combustibili fossili, che ha invece deciso di far svolgere l’Assemblea a porte chiuse, ovvero senza reale possibilità di confronto. Una scelta che lascia non poche perplessità, ma che purtroppo sembra essere in linea con il trend delle ultime settimane.
Re:Common e @Greenpeace_ITA: «Perplessità su decisione di @UniCredit_IT di confermare assemblea azionisti a porte chiuse senza possibilità di intervento della società civile». Il comunicato: https://t.co/XEKrj2CbPe #Unicredit pic.twitter.com/1x2TKQxn0R
— ReCommon (@Recommon) March 25, 2020
* L’autore è esponente di Re:Common, associazione impegnata in inchieste e campagne contro la corruzione e la distruzione dei territori in Italia, in Europa e nel mondo.