Le suore-azioniste ai top manager: «Ascoltateci. Eviterete nuove crisi»
Già nel 2007 Valori parlava di azionariato attivo. Suor Judy Bryron interviene nelle assemblee delle società quotate per ricordare ai manager i loro errori
La presente intervista a Suor Judy Byron è stata pubblicata sul numero 55 di Valori nel dicembre 2007. La riproponiamo a quasi 12 anni di distanza per la grande attualità delle riflessioni.
Gruppi di suore e reverendi che partecipano in modo critico alle assemblee degli azionisti. Accade negli Stati Uniti e i risultati sono evidenti. Suor Judy Byron appartiene all’istituto religioso delle Sisters of the Holy Names of Jesus and Mary di Spokane, tra i membri di Iccr, l’Interfaith Center on Corporate Responsibility), il primo network internazionale di azionisti attivi (include investitori istituzionali, per lo più statunitensi e di stampo religioso, ma non solo) che svolge attività di engagement di gruppo, usando gli investimenti finanziari per promuovere valori sociali, ambientali e di buona governance nella gestione d’impresa.
Suor Byron, cosa vi spinge a presentare mozioni alle assemblee degli azionisti delle multinazionali americane?
«Le porto un esempio. Due anni fa siamo intervenute, per conto di Iccr, all’assemblea di Cisco Systems, leader mondiale nel networking per internet. Abbiamo chiesto maggiore chiarezza sulla disparità crescente tra le paghe dei manager e gli stipendi dei dipendenti meno pagati. È allo stesso tempo sintomo e causa di distorsioni che possono avere terribili conseguenze».
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Per esempio?
«È il segno del valore prevalente dell’economia su tutti gli altri valori, in particolare sul bene comune. Quando tutti i dipendenti di una corporation si convincono che ad essere importanti sono solo i risultati finanziari, è facile seguire l’adagio “More, better, faster, cheaper” (di più, meglio, più velocemente, a costi più bassi, ndr): ottieni il massimo che puoi dalla produzione e poi trasloca da un’altra parte».
Che ruolo hanno le paghe eccessive dei manager?
«Gli attuali sistemi di remunerazione hanno portato alla concentrazione di ricchezze incredibili nelle mani di pochissime persone. I membri di questi piccoli gruppi elitari di manager uniscono le loro forze attraverso la partecipazione incrociata ai consigli di amministrazione di decine di imprese. Grazie alla loro abilità nell’usare le risorse aziendali per scopi personali sono in grado di esercitare un’enorme influenza sui processi politici».
Come interpretate il vostro ruolo in assemblea?
«Io e le sorelle del mio ordine siamo prima di tutto una comunità di insegnanti. Se la ricorda la maestra delle elementari, quella che segnava con la penna rossa gli errori di ortografia? Ecco, davanti ai consigli di amministrazione delle imprese svolgiamo lo stesso ruolo: ricordiamo ai manager quanto meglio potrebbero fare se fossero abbastanza disciplinati da indirizzare le proprie energie al servizio di un bene più grande».
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Ma le imprese vi prendono sul serio?
«Molti anni fa l’amministratore delegato di una grande società americana è venuto a trovarci per discutere di alcune proposte che avevamo fatto in assemblea. Gli sembrava molto curioso il fatto di doversi confrontare con un gruppo di religiose specializzate nella presentazione di mozioni, ma un membro del loro consiglio di amministrazione gli aveva detto: «È meglio che ascoltiate le suore quando vi fanno presente un problema perché, nell’arco di dieci o quindici anni quel problema, potrebbe diventare un motivo di crisi per tutta l’impresa».
Noi lottiamo anche per aiutare le imprese a fare meglio il loro mestiere, cioè generare profitti. L’impegno per un mondo migliore non è in contrasto con il bene comune, anzi, quasi sempre è la base per il successo di un’impresa».