La ricetta di Cucinelli: made in Italy, dipendenti, paesaggio
Impatto sociale positivo, cultura, formazione e risultati economici di livello internazionale: dalla provincia umbra il volto umano del tessile
Marchio ormai noto in tutto il mondo nel settore tessile e simbolo dei filati di cachemire d’alta gamma, Brunello Cucinelli Spa ha la sua base operativa in un centro abitato dell’Umbria con meno di 500 abitanti, Solomeo. Un luogo dove il presidente e amministratore delegato dell’omonima impresa, oggi quotata in Borsa, ha creato un piccolo impero della cui ambizione industriale e filosofia è oggi ambasciatore riconosciuto. In attesa che a ricevere il testimone siano le figlie Carolina (28 anni) e Camilla (37 anni), già inserite nel consiglio d’amministrazione.
Un’azienda padronale in un contesto globalizzato
Parliamo insomma di una società che sembra nata nel solco della classica tradizione italiana di aziende padronali e familiari. E tuttavia è anche una holding articolata, abbastanza giovane da aver maturato il suo record di fatturato a fine 2018, con oltre 550 milioni di euro, nel contesto della globalizzazione più avanzata e, notoriamente, spietata, in un comparto in cui le sue più dirette concorrenti si chiamano Loro Piana, Malo, Alyki, Pringle of Scotland. E allora la domanda è: come si è strutturata per affrontare un settore fortemente competitivo e deregolato come quello tessile, senza delocalizzare la produzione verso contesti a minor tutela salariale, sociale e ambientale?
Cucinelli investe nel territorio
Il percorso intrapreso dalla compagnia è iniziato nel 1985, quando il patròn Cucinelli, classe ’53, acquista il castello diroccato (XIV secolo) del borgo di Solomeo per farne la sede dell’azienda e unico polo produttivo. Questo finché, nel 2000, la società non è costretta ad adeguare le strutture alle crescenti richieste del mercato, e quindi acquisisce e riadatta un opificio già esistente ai piedi del borgo.
Due scelte, il primo acquisto e quello motivato dall’espansione, di per sé significative della volontà di investire sulle proprie origini senza stravolgere il paesaggio. E con effetti oggettivamente positivi, pensando al territorio italiano che si divide tra uno sconfortante abbandono dei borghi e lo smodato consumo di suolo (nelle aree urbane ad alta densità abbiamo perso 24 metri quadrati per ogni ettaro di area verde solo nel 2018).
Ma soprattutto due scelte che rientrano in una più ampia visione del territorio in cui il Cucinelli businessman pare richiamarsi al modello del mecenate cinquecentesco promotore di arte e cultura, con un teatro intitolato alla famiglia, come primo esempio. Capitano di un’industria che – all’interno della comunicazione ufficiale – si definisce come “impresa umanistica” che punta ad ottenere una personale forma di sviluppo sostenibile, declinato nella formula “crescita garbata e profittabilità sana“.
Il Progetto per la Bellezza
Parole singolari, e in linea con la creazione di un’armamentario simbolico e iconografico di stampo classicista, fortemente perseguito, anche con investimenti importanti. Al centro c’è infatti il Progetto per la Bellezza, un piano di de-cementificazione e bonifica elaborato per valorizzare gli spazi naturali nella valle sottostante a Solomeo. Mentre con la Scuola di arti e mestieri l’azienda investe nella formazione dei giovani, puntellando il loro e il proprio futuro.
E i dati finanziari crescono
Non c’è che dire, la confezione societaria, lo spirito valoriale che Brunello Cucinelli ha cucito intorno all’impresa, sono accattivanti. Formano un’immagine che si integra con le cifre imponenti che girano intorno al cachemire di lusso, sia ricevendo l’apprezzamento del mercato per la qualità dei prodotti sia garantendo un’iniezione di lavoro e capitali di cui beneficia una fetta di economia locale. Dal punto di vista finanziario, dopo un 2018 record, e le dichiarazioni ottimiste del presidente, la Brunello Cucinelli Spa ha chiuso il primo semestre del 2019 con 291,4 milioni di euro di ricavi (+8,1%) rispetto ai 269,5 milioni di euro dell’anno prima.
I dipendenti: capitale umano da valorizzare
Attualmente la Brunello Cucinelli Spa conta oltre 1.700 dipendenti interni e un indotto di circa 4mila collaboratori esterni. Sul suo sito si legge che «Non vi sono cartellini da timbrare in entrata e in uscita. L’orario di lavoro è dalle 8 alle 17.30 con una importante pausa pranzo. Non si può lavorare oltre l’orario di chiusura». E L’azienda è considerata tra le migliori per il trattamento dei dipendenti, economico ma anche come capitale umano da valorizzare. E sebbene i sindacati non vi siano (ancora) entrati, positivo è comunque il risconto di fonte Cgil relativamente ai rapporti con i fornitori esterni. Cucinelli «Non prende per il collo i fasonisti, opera correttamente con prezzi adeguati. Lavora il cachemire e la maglieria tutta in casa. Per il resto si appoggia ad aziende specializzate, italiane, in primis nella provincia di Perugia e poi si allarga».
Quella volta che Cucinelli strigliò le banche
Salvo brutte sorprese, la compagnia mostra in conclusione una faccia da isola felice nel panorama dei big dell’industria tessile. Ha vestito 007 ed è fortemente agganciata all’idea di “capitalismo umanistico” del suo fondatore. Il quale, d’altra parte, non ha mancato di farsi notare sui media anche per qualche exploit decisamente sopra le righe. Come nel febbraio del 2016, quando ricevette uno scroscio di applausi a una convention dei direttori di banca di Monte dei Paschi di Siena per aver usato un linguaggio decisamente colorito nel lamentarsi dell’asfittica propensione al credito di un (altro) istituto finanziario verso gli imprenditori alla minima difficoltà del mercato.
Cucinelli: un linguaggio colorito e schietto contro le banche
100 milioni di euro per abbellire l’umanità
Allo stesso modo Cucinelli ha fatto notizia nel gennaio del 2018. In quel caso Fedone, la holding di controllo della Brunello Cucinelli Spa, ha ceduto 4 milioni e 80mila azioni per un controvalore di 106 milioni di euro. Un’operazione per la quale la quota del capitale sociale posseduta è scesa del 6% (passando dal 57 al 51%), con l’obbiettivo di destinare il denaro recuperato ai progetti della famiglia e della sua Fondazione, «proseguire quel sogno, da sempre amato, di contribuire ad “abbellire l’Umanità”». Se non proprio un atto di beneficenza – come pure qualcuno l’ha etichettato – di certo una mossa che ha accresciuto l’aura del cosiddetto “re del cachemire”, aumentando al contempo il valore – simbolico ed economico – della società, per offrire nuove risorse da investire sul territorio.