Domande scomode e vistosi calzini. La dura vita dell’azionista critico
Viaggio semiserio alla scoperta del mondo dell'azionariato responsabile. Un modo per fare pressione sulle aziende quotate e cambiare la finanza dall'interno
Ben venga maggio, ben venga primavera. E con essa gli asparagi, le fragole e le assemblee degli azionisti. Tutte compresse tra la fine di aprile e gli inizi di giugno. E’ il periodo in cui le imprese hanno chiuso i bilanci dell’anno prima e si presentano incravattate e inamidate alla mietitura di numeri, grafici e video promozionali di fronte ad azionisti piccoli e grandi. Ma anche giornalisti, commercialisti, dipendenti annoiati e disturbatori professionisti. Vere sagre del capitalismo imprenditoriale.
In principio fu Legambiente
Fino a una ventina di anni fa in Italia attiravano solo una ristretta cerchia di anziani pensionati che ogni anno, per forza di cose, si restringeva. Poi, nel 1989, hanno debuttato gli “azionisti ecologisti” di Legambiente, acquistando “azioni dei principali gruppi industriali per avere diritto di parola nelle assemblee: Montedison, Enimont, Enichem, Fiat, Sme, Sip”.
E se nessuna di queste imprese ormai esiste più (o ha cambiato nome), l’azionariato ecologista, socialista, per i diritti umani e contro le ingiustizie continua più forte che mai. Grazie a Fondazione Finanza Etica e organizzazioni come Re:Common, Greenpeace Italia, Amnesty International, A Sud e molti altri. Perché basta comprare anche una sola azione di un’impresa quotata in borsa per avere il diritto di entrare in assemblea e prendere la parola, per cinque o dieci minuti, ed esigere risposte su tutto quello che può avere a che fare con il bilancio (e quindi in pratica tutto) o le paghe dei manager o il curriculum del candidato di turno alla presidenza. Una bella soddisfazione. Poi se l’impresa non risponde si scrivono lettere, si esigono incontri e chiaramente si torna all’assemblea dell’anno dopo.
Azionisti controcorrente
Buona parte degli azionisti, sia detto a scanso di equivoci, ci va per piaggeria. Si complimenta con il direttore e il notaio, il consigliere e il cerimoniere, per dire che sono contenti del dividendo e del prezzo del titolo che sale. E chi se ne importa se da qualche parte è scoppiata una tubatura e un’oscura tribù di un Paese sotto l’equatore non riesce più a pescare perché i fiumi e i laghi e il mare sono coperti da tre dita di petrolio. Poi si va a casa e si racconta alla moglie o al marito: «Teresa (o Alfredo): oggi ho parlato con Tronchetti Provera o con Scaroni, Profumo, Descalzi, Conti, Marcegaglia. Insomma, quello e quella che si vedono sempre in televisione. Era anche da Vespa. E mi ha risposto e mi ha detto e ha riso alla mia barzelletta». Amen.
Invece l’azionista critico no, lui no. Lui è cupo e, se ride, la sua risata è cinica. L’azionista critico è incazzato e in genere non ha una grande opinione di chi siede dietro il tavolo chilometrico del Consiglio di Amministrazione. Perché ha letto troppe cose, ha ricevuto troppe segnalazioni. Anche se l’impresa ogni anno dice che “sta migliorando l’impatto”, quelle tre dita di olio sono ancora là e le bombe sulle quali il “return on sales” è salito del 14% rispetto all’anno precedente continuano a colpire popolazioni civili.
Rischio frustrazione dietro l’angolo per l’azionista critico
A fine assemblea il bottino dell’azionista critico è magro e di solito contornato da una buona dose di frustrazione. Però «valeva la pena farle quelle domande» e «piano piano qualcosa sta cambiando». «E poi hai visto la faccia che ha fatto il presidente quando gli ho detto che in un’ora guadagna come un operaio in un anno intero?». Lo scriveranno anche sulla stampa nazionale, qualcuno lo leggerà, qualche cittadino in più si indignerà, reagirà, qualche cosa farà.
L’azionista critico si ritrova poi in qualche bar di periferia (tutte le assemblee sono in periferia) con i suoi compagni di avventura. Si slaccia la cravatta (sempre troppo larga o troppo stretta perché presa in saldo), si tira su i calzini colorati con fantasie tropicali («almeno noteranno quelli!») e passa in rassegna domande, risposte, vittorie e sconfitte. Intanto il dolore al tallone e alla pianta del piede si fa sempre più lancinante. Anche le scarpe oxford nere scintillanti erano in saldo. Ma sono così belle. E poi almeno così «ci prendono più sul serio».