Assicurarsi contro la neve, una scommessa persa

Il riscaldamento globale ha messo fuori gioco i derivati sulle precipitazioni. La Borsa di Chicago non li scambia dal 2015. Le assicurazioni resistono ma costano troppo

Nicola Borzi
Lo Chicago Mercantile Exchange è stato il principale mercato dei derivati climatici. Ma dal 2015 non li scambia più.
Nicola Borzi
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I cambiamenti climaticiVariazione dello stato del clima rispetto alla media e/o variabilità delle sue proprietà che persiste per un lungo periodo, generalmente numerosi decenni.Approfondiscinon colpiscono solo gli ecosistemi dell’intero pianeta, ma anche l’economia. Nel tempo, si è dimostrato molto più veloce e imprevedibile della nostra capacità di ricerca e anche della nostra immaginazione: negli anni scorsi la finanza ha creduto di poterlo trasformare in una fonte di profitto ma, almeno in parte, si è sbagliata. Alcuni degli strumenti derivatiI Derivati sono contratti finanziari il cui valore appunto deriva da quello di un bene (titoli, indici, materie prime o altro) chiamato sottostante.Approfondisci che l’ingegneria finanziaria ha realizzato per distribuirne i rischi si sono rivelati inadatti allo scopo perché basati su informazioni incomplete e obsolete, diventando rapidamente troppo costosi e quindi inutilizzabili. I derivati sulla neve ne sono l’esempio perfetto.

Il 30% dell’economia Ue ed USA sensibile alle intemperie

Che una quota gigantesca dell’attività umana sia legata al climaSi tratta di una rappresentazione verosimile e spesso semplificata del possibile clima futuro.Approfondisci è chiaro sin dalla notte dei tempi, almeno da circa 23mila anni fa, quando l’uomo scoprì l’agricoltura. Più di recente però qualcuno ha provato a misurare la dimensione delle attività economiche sensibili alle condizioni meteo.

Secondo uno studio del 2017 dell’Organizzazione europea per l’utilizzo dei satelliti meteorologici (Eumetsat), un terzo circa dell’economia europea è sensibile alle intemperie: si tratta di oltre 5.500 miliardi di euro su un totale di poco più di 15.900. La società di assicurazioni Allianz ha calcolato un numero simile per gli Stati Uniti, cifra convalidata anche da una ricerca del 2018 dell’Amministrazione nazionale oceanica e atmosferica (Noaa) statunitense: circa 5.700 miliardi di dollari dei 15.700 miliardi del prodotto interno lordo degli Stati Uniti sono sensibili alle variabili meteorologiche.

Rischi multisettoriali

A essere esposta non è solo l’agricoltura. I rischi economici causati dalle condizioni meteo riguardano la domanda di materie prime, prodotti industriali e servizi quanto influenzino direttamente l’offerta. Un inverno eccezionalmente caldo, ad esempio, può lasciare le società di servizi e energia con un eccesso di petrolio o gas naturale (perché le persone hanno bisogno di meno energia per riscaldare le loro case), mentre un’estate eccezionalmente fredda o piovosa può colpire il turismo e le compagnie aeree. Inoltre, il rischio meteorologico è altamente localizzato, non può essere controllato e, nonostante i grandi progressi dei sistemi di calcolo, le previsioni non sono ancora sufficientemente precise su lunghi periodi di tempo.

I derivati sul clima

Dalla seconda metà degli anni 90 prese così il via il mercato dei derivati meteorologici o climatici, in sostanza dei contratti tra due parti per “scommettere” sull’andamento del clima o del meteo in un determinato periodo e coprirsi dai relativi rischi. Inizialmente legati solo alle temperature atmosferiche, questo genere di contratti si evolsero poi in un variopinto insieme di sottoclassi, alcune collegate anche alle precipitazioni.

Tra il 2007 e il 2011, un piccolo numero di città statunitensi sottoscrissero derivati sull’accumulo di neve in eccesso per compensare i costi di rimozione negli anni molto nevosi. I contratti furono realizzati calcolando i costi per l’impiego di squadre di rimozione della neve con un forte numero di ore di lavoro straordinario, il costo aggiuntivo per il carburante impiegato per far funzionare le attrezzature e la sabbia o il sale da spargere sulle strade superiore al loro uso normale.

Se nevica troppo (o troppo poco) ti rimborso

Il derivato popolare all’epoca era basato su un indice che calcolava l’accumulo di neve e pagava un premio fisso quando la nevicata (misurata nelle vicinanze) superava un livello predefinito in un determinato periodo di tempo. La prima transazione fu realizzata da una grande banca d’affari che in seguito vendette il rischio sul più ampio mercato dei derivati meteo. Altre transazioni furono poi eseguite direttamente da compagnie di riassicurazione, sia sotto forma di derivati che di polizze assicurative.

Ma se i derivati erano venduti alle città contro i rischi di eccesso di neve, in poco tempo iniziarono a emergere vendite anche alle società che gestiscono impianti sciistici e alberghi nei comprensori montani per il motivo esattamente opposto: come strumenti di protezione finanziaria contro la mancanza di neve che poteva danneggiare la stagione turistica o periodi più limitati, ad esempio quello critico delle feste a cavallo tra Natale e l’inizio del nuovo anno.

La scarsa neve a Vail fece schizzare i premi assicurativi

Su quest’ultimo fronte da tempo erano attive anche le compagnie di assicurazione che emettevano speciali polizze “sartorializzate”: secondo un rapporto Ocse del 2007, ad esempio, la società che gestisce il resort sciistico nella località montagna di Vail, in Colorado, per la stagione 1999-2000 acquistò una polizza contro il rischio di scarso innevamento e ricevette un risarcimento da 13,9 milioni di dollari quando la scarsità del manto nevoso in effetti causò pesanti perdite. Da quel periodo in poi, però, i premi da pagare alle assicurazioni per proteggersi contro questo rischio di eventi crebbero al punto che molte società del settore decisero di non assicurarsi più.

La ski area statunitense di Vail in Colorado.
La ski area statunitense di Vail in Colorado.

Un successo di breve durata

Fu così che i derivati sulla neve, quotati al Chicago Mercantile Exchange (Cme), la principale Borsa Usa per questi prodotti finanziari, conobbero un breve periodo di splendore. Rispetto al costo delle polizze assicurative, infatti, consentivano di rendere i prezzi più sostenibili e soprattutto scalabili, in funzione ad esempio del numero delle piste da “coprire”, di periodi più brevi da assicurare e del costo degli abbonamenti agli impianti di risalita. Il Chicago Mercantile Exchange mise al listino dozzine di diversi contratti basati sulle nevicate in numerose città che potrebbero essere scambiati con prezzi giornalieri e numerose grandi società di brokeraggio di Wall Street assunsero personale per entrare in quel mercato.

Tuttavia l’entusiasmo degli operatori per questo genere di strumenti finanziari durò poco. Il mercato dei derivati sulla neve negoziati al Cme nel 2013 fu pari a zero: quell’anno non venne registrato nemmeno uno scambio. E sì che nel 2011 al Cme ne erano stati scambiati 510 contratti, in crescita del 55% rispetto all’anno prima. A metà del 2015, così, il Cme decise di ritirare dai suoi listini i contratti derivati relativi alla neve spiegando che avevano ottenuto un volume di scambi limitato o nullo e che non attiravano i trader.

Le cause del declino

Le motivazioni risiedono in molti fattori: non solo i prezzi della copertura antirischi offerta dai derivati erano continuate ad aumentare anno dopo anno, per effetto dell’aumento dell’instabilità climatica e del riscaldamento globale, ma avveniva poi anche che il costo della “polizza” aumentasse nel tempo con l’inoltrarsi delle singole stagioni invernali. Maggiore era il periodo trascorso senza neve dall’inizio del periodo turistico, maggiore era il rischio che la stagione si concludesse con un nulla di fatto o con scarsi risultati, facendo crescere così giorno dopo giorno il prezzo richiesto per la copertura assicurativa.

La questione è che i derivati meteorologici si basano su 30 anni di osservazioni meteorologiche che i sottoscrittori utilizzano per valutare i loro contratti. Ma siccome i cambiamenti climatici rendono il clima più estremo e meno prevedibile, i derivati diventano sempre più rischiosi, spingendo verso l’alto i premi da pagare per assicurarsi contro i rischi, compreso quello dell’assenza di neve.

Polizze esose

Anche le assicurazioni però hanno lasciato ai margini la copertura dei rischi legati al turismo della neve. Nel 2017 la Ski Areas di New York, un’associazione di categoria che rappresentava 35 delle maggiori aree sciistiche dello Stato di New York e del nordest degli Usa, affermò che non si trovava più nessuno disposto a vendere polizze contro il rischio di mancanza di neve. Alcune polizze erano state offerte un decennio prima ma erano ormai estremamente costose, con premi annui oltre i 100mila dollari, fuori portata per la maggior parte dei proprietari di resort.

La stessa Vail Resorts, ad esempio, ovvero la società quotata del Colorado che possiede l’omonima montagna e un certo numero di altri comprensori sciistici, nel 2017 affermò di non usare derivati meteorologici per mitigare le perdite quando la neve era scarsa o assente.

Clima batte ingegneria finanziaria

Nel 2012 Mountain Creek Resort, un centro sciistico del New Jersey, fece causa alla compagnia assicurativa Everest Indemnity Insurance che gli aveva venduto una polizza contro il rischio di assenza di neve per aver negato un pagamento di 1,7 milioni di dollari dopo un brutto inverno. La polizza di Mountain Creek era legata al numero di giorni in cui il resort aveva registrato temperature superiori allo zero. Il resort affermò che il limite era stato superato, ma la compagnia di assicurazione contestò la misurazione. Nel 2017 il resort finì in fallimento e nel 2018 la proprietà cambiò.

Anche sul fronte dell’innovazione finanziaria, così, il cambiamento climatico e il riscaldamento globale hanno dimostrato di essere in grado di battere purtroppo ogni previsione. L’industria finanziaria dovrebbe imparare la lezione.