Le banche centrali continuano ad alimentare la crisi climatica
Un rapporto di Oil Change International conferma che, al di là delle parole, le banche centrali continuano a finanziare le fonti fossili
Le banche centrali continuano a sostenere le imprese che sfruttano i combustibili fossili. Alimentando così i cambiamenti climatici in atto e allontanando i governi dagli obiettivi fissati dall’Accordo di Parigi. A spiegarlo è un nuovo rapporto pubblicato dall’associazione americana Oil Change International.
Il documento, intitolato “Unused Tools: How Central Banks are Fueling the Climate Crisis” (“Strumenti inutilizzati: come le banche centrali stanno sostenendo la crisi climatica”) è arrivato a pochissima distanza dal summit di Jackson Hole. Evento che si terrà domani, venerdì 27 agosto, e che riunirà numerosi banchieri centrali, economisti e responsabili di organismi di controllo di tutto il mondo.
I cambiamenti climatici entrano nell’agenda delle banche centrali
Il vertice, che si tiene dal 1982, è stato da sempre il teatro dei principali cambiamenti nelle politiche monetarie internazionali. Il tema di quest’anno è dedicato alla “Politica macroeconomica in un’economia diseguale” (“Macroeconomic policy in an uneven economy”). Verrà dunque trattato il tema delle diseguaglianze nel contesto della ripresa post-pandemia. Un problema innegabile. Ma anche i fenomeni meteorologici estremi che stanno colpendo il mondo intero, e che confermano come la crisi climatica sia già in atto, dovrebbero rappresentare uno degli argomenti principali sui tavoli di Jackson Hole.
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Certo, nell’agenda delle banche centrali i cambiamenti climatici cominciano a trovare spazio. Principalmente perché gli istituti finanziari cominciano a riconoscerli come un fattore di rischio. E dunque da prendere in considerazione anche nel momento in cui si decidono le politiche monetarie da adottare in futuro. Perfino la Federal Reserve americana, tradizionalmente molto conservatrice, ha di recente affermato di voler tenere conto della questione climatica.
Finora ci si limita a dichiarazioni d’intenti
Tuttavia, finora ci si è limitati quasi unicamente alle dichiarazioni d’intenti. A confermarlo è stato il Green Central Banking Scorecard pubblicato da Positive Money: analisi secondo la quale le banche centrali del G20 non hanno rivisto di fatto le loro scelte in funzione della lotta ai cambiamenti climatici. Ad esempio, la Banca Centrale Europa, così come la Banca d’Inghilterra, hanno affermato di voler allineare parte dei loro acquisti di asset all’Accordo di Parigi. Ma non hanno ancora precisato in concreto come vogliono comportarsi nei confronti di carbone, petrolio e gas.
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Così, come confermato dal rapporto di Oil Change International, che gli istituti centrali continuano a sostenere le industrie più nocive in termini di emissioni di gas ad effetto serra. Il documento sottolinea come tali banche potrebbero frenare fortemente i finanziamenti alle fonti fossili. Ad esempio escludendo le imprese del settore dalle loro operazioni di acquisto. Il che spingerebbe anche le banche commerciali a ridurre le loro esposizioni nei confronti del settore.
«Le banche centrali – ha spiegato David Tong, principale autore del rapporto – hanno accesso a potenti strumenti per affrontare la crisi climatica, ma non li usano. La situazione è troppo grave e troppo urgente per accettare che istituzioni così fondamentali indugino ancora. Al contrario, potrebbero guidare il mondo della finanza in una nuova direzione sicura per il clima». Oil Change International sottolinea come le banche centrali non siano riuscite, tra il 2016 e il 2020 ad evitare che gli istituti di credito commerciali concedessero 3.800 miliardi di dollari al settore fossile.