Deliveroo, la logica delle start-up sulle spalle dei ciclofattorini
Scioperi, calo delle paghe, ricerca dei margini, cambiamenti repentini di strategia. Ecco come funziona la piattaforma Deliveroo (e perché fa male ai lavoratori)
Il 4 ottobre scorso, il ministro del Lavoro Nunzia Catalfo ha annunciato un accordo sui rider. Ovvero sui ciclofattorini che consegnano cibo per conto di piattaforme online (Uber Eats e Deliveroo sono tra le più note): la nuova frontiera del lavoro precario e sottopagato. Il governo presenterà in Parlamento un emendamento al cosiddetto “decreto crisi”. Esso prevede – secondo quanto riferito dall’agenzia Ansa – “per i ciclofattorini impiegati in maniera continuativa le tutele del lavoro subordinato. Mentre per coloro che lavorano in maniera occasionale ci sarà un pacchetto minimo di diritti inderogabili”.
Le nuove regole proposte dal governo italiano
Divieto di cottimo, paga minima oraria, salute e sicurezza, tutele previdenziali. E, forse, una regolamentazione specifica tramite la stipula di contratti collettivi. Il ministro Catalfo ha precisato che l’obiettivo è di “stimolare, anche in tale settore, la contrattazione collettiva, che avrà il compito di regolare in concreto la figura dei rider”.
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«I fattorini di Deliveroo non sono lavoratori autonomi»
Una relazione dell’ispettorato francese del lavoro indica che i lavoratori di Deliveroo, considerati dall'azienda collaboratori autonomi, dovrebbero essere in realtà assunti.
La categoria, d’altra parte, è ormai da tempo in subbuglio. A marzo erano scesi dalle bici i fattorini di Bologna, che avevano organizzato un presidio di fronte ad un McDonald’s. La sigla “Riders Union” aveva spiegato all’agenzia Dire che “si tratta dello sciopero contro una singola piattaforma più partecipato degli ultimi tempi, a dimostrazione di come la lotta dei riders continui a crescere”.
Il sindacato aveva denunciato “l’atteggiamento di totale chiusura tenuto da Deliveroo, che in questi mesi è arrivata persino a peggiorare le condizioni dei lavoratori. È inaccettabile che invece dei diritti ci arrivino notizie come quella di Marco, ciclofattorino romano, che ha subito l’asportazione della milza a seguito di un incidente durante una consegna”.
Scioperi in tutta Europa. Sentenze “storiche” in Spagna e Francia
A maggio è stata poi la volta dei riders di Milano, che hanno scioperato dopo un incidente in cui aveva perso una gamba, sotto un tram, un loro collega. Di nuovo nel capoluogo lombardo, un’agitazione è stata proclamata l’11 ottobre. Con le richieste di sempre: tutele da lavoratori subordinati, indennità, salario minimo su base oraria, monte ore garantito, estromissione dal sistema solo per giusta causa.
Anche in Spagna, Francia, Belgio, Regno Unito, d’altra parte, le proteste si moltiplicano. E, come in Italia, ovunque sono allo studio norme per garantire ai ciclofattorini maggiori tutele. Finora, però, è stata soprattutto la giustizia ad avviare azioni concrete. In Francia, ad esempio, una sentenza della corte di cassazione aveva riconosciuto che i rider geolocalizzati hanno effettivamente una relazione di subordinazione con il datore di lavoro.
Un mese dopo, la corte d’appello di Parigi aveva stabilito allo stesso modo che un fattorino di Uber, concorrente di Deliveroo, dovesse essere considerato a tutti gli effetti come un dipendente dell’azienda. In Spagna, dapprima un tribunale di Valencia, quindi uno di Madrid hanno condannato Deliveroo per frode al sistema previdenziale. I giudici hanno ritenuto che 500 riders utilizzati come lavoratori autonomi fossero in realtà subordinati. E ha quindi obbligato la piattaforma a versare 1,2 milioni di euro di contributi.
Ad agosto Deliveroo ha abbandonato la Germania: 1.100 riders senza lavoro
Altri processi sono stati intentati a Saragozza, Barcellona e Tolosa. E una procedura per riqualificare lo status di tutti i ciclofattorini è stata lanciata nello scorso mese di luglio. Segno che la battaglia si intensifica. Ma le piattaforme si trovano così strette tra le richieste di lavoratori, giudici e governi, da un lato, e le loro esigenze di bilancio dall’altro.
Come le sue concorrenti, infatti, Deliveroo nasce (nel Regno Unito) come una start-up. Caratteristica fondamentale: investire inizialmente in modo massiccio senza essere necessariamente redditizie. Obiettivo: superare una “dimensione critica” e a quel punto tentare di sbranare la concorrenza e diventare leader del mercato. Così, nel 2017 la casa madre di Deliveroo ha aumentato le perdite del 43%. Ciò sebbene abbia raddoppiato le vendite mondiali (a 315 milioni di euro). Per i dirigenti, dunque, la necessità principale in questo momento è ottenere margini di guadagno.
Come? Abbandonando i mercati giudicati poco interessanti. E diminuendo i costi in quelli nei quali si decide di restare. Il che, tradotto, significa diminuire le già misere paghe dei riders. Nel primo caso, emblematica è la scelta assunta in Germania: il 12 agosto scorso Deliveroo ha annunciato lo stop alle proprie attività a partire dal 16 dello stesso mese. Lasciando senza più un lavoro 1.100 ciclofattorini.
Tagliate le paghe per i ciclofattorini francesi di Deliveroo
La piattaforma ha preferito concentrarsi sulle nazioni più promettenti. Come nel caso della Francia, che rappresenta il secondo mercato dopo il Regno Unito. Ma prima del mese di settembre del 2016 ai riders venivano concessi 7,50 euro l’ora, ai quali si aggiungevano da 2 a 4 euro a consegna, in funzione dell’anzianità di servizio.
Poi l’operatore ha deciso di remunerare soltanto alla corsa: 5,75 euro a Parigi, 5 nel resto del Paese. Nell’autunno del 2018, poi, si è scesi a 4,80 euro (4,10 in città come Mulhouse e Nizza). E il 30 luglio scorso è arrivato il colpo di grazia: la tariffa minima è stata soppressa. Mentre sono state diminuite le paghe per le consegne brevi e aumentate quelle che comportano un tragitto di 10 minuti almeno. Una manovra che dovrebbe aiutare i riders, secondo Deliveroo, ma che i ciclofattorini non hanno apprezzato.