Perché una scheda “Capire la finanza” sul ruolo delle donne

Le donne rappresentano una risorsa spesso sottovalutata dai sistemi economici a guida maschile. Eppure basterebbe studiare un po' di storia...

donne e finanza © metamorworks/iStockPhoto

La finanza è uno specchio della nostra società. Neppure così distorto. Le aberrazioni del mondo che abbiamo costruito, a partire da un sistema economico basato sulla massimizzazione dei profitti a ogni costo, sulle disuguaglianze, sullo scarso rispetto per il clima rappresentano ancora elementi portanti delle strategie della maggior parte delle grandi banche, dei grandi fondi di investimento, delle grandi compagnie di assicurazione di tutto il mondo.

La pandemia e la crisi climatica ci stanno dimostrando in modo dirompente quanto necessaria e improcrastinabile sia la necessità di cambiare rotta. Radicalmente. Ma la finanza – come l’economia, la politica, la società tutta – alla fine, è fatta di persone. Sono persone quelle che prendono le decisioni. Persone quelle che dettano le regole. Persone quelle che antepongono i vantaggi particolari agli interessi generali. E quasi sempre, quelle persone, sono uomini.

Nel mondo dell’economia e della finanza le donne sono sotto-rappresentate

Le donne, soprattutto nel mondo economico e finanziario, sono ancora ampiamente sotto-rappresentate. Certo, l’Organizzazione Mondiale del Commercio è diretta dalla nigeriana Ngozi Okonjo-Iweala. Al vertice della Banca centrale europea c’è la francese Christine Lagarde. La connazionale Odile Renaud Basso guida la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. La segretaria al Tesoro dell’amministrazione Biden, negli Stati Uniti, è Janet Yellen. Così come la sua omologa canadese Christina Alexandra Freeland.

La presidente della BCE Christine Lagarde. Foto: kremlin.ru Creative Commons Attribution 4.0 International
La presidente della BCE Christine Lagarde © kremlin.ru

Ma si tratta di una piccola minoranza di casi, di fronte all’onnipresenza maschile ai posti di comando. E negli istituti privati la situazione non cambia, nonostante l’introduzione di alcuni palliativi come le cosiddette “quote rosa” nei consigli di amministrazione. Che possono rappresentare un punto di partenza ma non di arrivo.

Al di là infatti delle regolamentazioni e della deterrenza rappresentata da eventuali sanzioni, è lecito attendersi un approccio diverso. Siamo nel Terzo millennio! Senza dimenticare la miopia di una visione uomo-centrica del management pubblico e privato.

La gender parity migliora le performance

Lo studio “Diversity Wins” di McKinsey, pubblicato nel maggio del 2020, dimostra come nelle realtà che davvero presentano un’autentica gender parity ai vertici si registra un aumento significativo delle performance. La parità di genere porta con sé ricchezza, diversità, maggiore disponibilità di talenti, migliore capacità di penetrazione nei mercati.

Inoltre, sul piano strettamente manageriale implica una diversificazione degli “stili” nell’esercizio della leadership. Il che contribuisce anche a rafforzare il coinvolgimento del personale e consente di trasmettere un’immagine positiva dell’impresa all’esterno, soprattutto di fronte alle nuove generazioni. Fatta di coraggio, modernità, innovazione.

Certamente, anche le donne sono persone. E anche alcune di loro, ai posti di comando, hanno mostrato un forte attaccamento al “metodo maschile”. Non è necessario scomodare il darwinismo economico di Margaret Thatcher, in questo senso.

Frances Perkins e quel foglio fatto scivolare sulla scrivania di Roosevelt

È più utile ricordare invece una storia virtuosa, più antica e meno nota. Era il 22 febbraio del 1933 e colui che si apprestava a diventare presidente degli Stati Uniti, Franklin Delano Roosevelt, aveva appuntamento con una donna. Si chiamava Frances Perkins, figlia di un commerciante. Il futuro inquilino della Casa Bianca le annuncia la volontà di nominarla ministro del Lavoro.

Roosevelt voleva creare un precedente, con una donna al governo. Forse non si aspettava, però, la reazione di Perkins. Che accettò, ma fece scivolare sulla scrivania del futuro presidente un foglio con una lista. Quella delle riforme che intendeva far approvare: l’introduzione dei sussidi di disoccupazione, la programmazione di un vasto piano di lavori pubblici, la riduzione della giornata lavorativa, il divieto di lavoro minorile, nuove protezioni per la salute dei lavoratori, un servizio pensionistico pubblico e un salario minimo universale. Una rivoluzione.

«Nulla di simile è mai stato neppure ipotizzato negli Stati Uniti. Lei ne è cosciente, vero?», rispose Roosevelt sollevando gli occhi. E sì, Perkins lo sapeva. Ma per lei era prendere o lasciare. Roosevelt prese. E Perkins gettò le basi dello stato sociale americano.

Coraggio, modernità, innovazione. Se al suo posto fosse stato scelto un uomo, probabilmente la storia della prima economia del mondo non sarebbe stata la stessa.