«Il PNRR può rappresentare un’occasione per i diritti delle donne»

Il PNRR italiano e il Next Generation Eu possono aiutare la parità di genere. Intervista alla docente di Economia politica Marcella Corsi

Barbara Setti
Marcella Corsi è docente di Economia politica all'università Sapienza di Roma © uniroma1.it
Barbara Setti
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Pur con i loro limiti, il piano di sostegno europeo Next Generation EU e il PNRR italiano possono contribuire ad attenuare le differenze di genere. L’opinione di Marcella Corsi, docente di Economia politica presso il dipartimento di Scienze Statistiche all’università Sapienza di Roma, coordinatrice di Minerva – Laboratorio di studi su diversità e disuguaglianze di genere e tra le fondatrici del webmagazine inGenere.

Il Next Generation UE ha, tra gli altri, l’obiettivo di contrastare anche la diseguaglianza di genere. Il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) italiano presenta, in coerenza con la Strategia europea, una Strategia Nazionale per la parità di genere 2021-2026 che prevede cinque priorità. Lavoro, reddito, competenze, tempo, potere. Il suo obiettivo è la risalita di cinque punti entro il 2026 nella classifica del Gender Equality Index di cui sopra. Ci può chiarire le modalità con cui il piano metterà in campo questo obiettivo?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, va chiarito subito, è un piano per finanziare investimenti infrastrutturali. Si parla di sei missioni distinte. La prima, per fondi attesi e discussione mediatica, è quella della digitalizzazione; la seconda, è la transizione ecologica. La terza missione riguarda i trasporti e le infrastrutture per una mobilità sostenibile. Infine, istruzione e ricerca, inclusione e coesione, salute. Per un totale di 191,5 miliardi di euro, di cui più della metà per le prime due missioni.

Parliamo, soprattutto, di investimenti in infrastrutture che dovranno produrre servizi digitali per le famiglie e per le imprese. Servizi per la transizione ecologica e la tutela ambientale per tutta la comunità.

Quindi?

Il problema, dal mio punto di vista, è come possono essere identificati i beneficiari di questi servizi. Se si vuole analizzare l’efficacia dal punto di vista delle singole categorie di cittadini e di cittadine, con particolare attenzione ai soggetti più vulnerabili. Per questo, sarebbe necessaria un’analisi ex ante, di cui però si parla troppo poco. Questa analisi faceva parte della metodologia di valutazione, di cui si era molto discusso nella prima fase di stesura del PNRR (governi Conte 1 e 2). Di cui si è parlato molto meno dal momento in cui il PNRR è arrivato nella sua fase finale con l’arrivo del presidente del Consiglio Mario Draghi. È chiaro che anche i ministri Giovannini, Colao e Cingolani rappresentano degli interlocutori importanti su questo aspetto.

Trovo sempre un po’ amaro che tutti questi soggetti siano di sesso maschile e non ci sia alcuna varietà, alcuna diversità nell’interlocuzione tra capo del governo e soggetti rilevanti dal punto di vista delle scelte da intraprendere. Sebbene sia un rammarico personale, so che è molto comune e condiviso.

Dove sono le donne in questo ambito?

Non solo dove sono le donne, ma anche dove sono i soggetti vulnerabili, gli anziani, i giovani? Il genere è un concetto multidimensionale. Va a coprire non soltanto il sesso biologico delle persone, ma ad esempio l’età, la provenienza geografica (rilevante il tema delle migrazioni), l’appartenenza a determinate classi sociali, l’orientamento sessuale e così via. Investimenti di rilevanza in ottica di genere si trovano, nel PNRR. Nella missione su inclusione e coesione, che riceve soltanto 19,81 di quei 191,5 miliardi di cui parlavo prima.

Da quanto ci ha descritto sopra le prospettive non sembrano molto ottimistiche.

Il PNRR, con tutte le eventuali carenze evidenziate, ha comunque fatto un passo avanti notevole rispetto al passato. Soprattutto rispetto ai dieci anni di austerità che hanno seguito la crisi finanziaria del 2008. Ha reintrodotto, in una forma del tutto nuova ma comunque rilevante, il tema del gender mainstreaming.

Cosa è il gender mainstreaming?

È la possibilità, da parte dei decisori politici ed economici, di interpretare il genere come un elemento trasversale in tutte le politiche pubbliche. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen lo ha esplicitato chiaramente in occasione di numerosi interventi pubblici. Ha dimostrato la sua attenzione ai temi di genere anche con azioni importanti, come la designazione di una commissaria per l’uguaglianza – la maltese Helena Dalli.

Questo ci porta, però, a un’ulteriore forma di rammarico. Il Next Generation EU ha riportato il tema del gender mainstreaming alla ribalta. Ma questa declinazione tende a essere concentrata soltanto su sottogruppi di politiche pubbliche, senza essere invece veramente trasversale. A mio avviso, si stanno confinando ancora una volta le donne (e le tematiche di genere) solamente nei contesti dell’inclusione e della coesione. Con particolare attenzione alle politiche del lavoro.

Sembra comunque un obiettivo importante, considerando come l’occupazione femminile sia una priorità in Italia.

Voglio essere chiara. L’occupazione femminile è sicuramente una criticità nel nostro Paese. Lo è storicamente, lo è ancor di più oggi, tenuto conto dell’impatto che ha avuto la pandemia sul nostro mercato del lavoro. Solamente grazie a un’occupazione stabile e ben retribuita le donne possono acquisire emancipazione economica. Di conseguenza autonomia decisionale e maggiore partecipazione attiva alle scelte politiche ed economiche delle comunità.

Però, allo stesso tempo, non dobbiamo considerare le donne unicamente come “bestie da soma”. Le donne hanno tutto il diritto non solo di avere un’occupazione, ma di averne una dignitosa. Come definita dall’ILO: retribuita alla pari degli uomini, tutelata dal punto di vista delle forme contrattuali, di qualità e non necessariamente stereotipata. A questo scopo, mi piacerebbe vedere declinate le strategie di genere, ad esempio, dentro la missione digitalizzazione del PNRR, anche per lavorare, finalmente, alla risoluzione dei gender gap cognitivi fra giovani uomini e giovani donne nell’ambito delle discipline scientifiche applicate.

Prima accennava ai concetti di valutazione ex ante e valutazione ex post nella fase di programmazione e monitoraggio delle attività del PNRR. Ci può chiarire meglio?

Il PNRR prevede l’investimento di 6,66 miliardi di euro in un sistema di certificazione della parità di genere ancora tutto da mettere in atto. Se questo strumento di valutazione riuscisse a entrare nelle pubbliche amministrazioni, soprattutto a livello territoriale, potrebbero essere introdotte effettive innovazioni. Dal punto di vista di quella che chiamiamo premialità e condizionalità, ma soprattutto nell’applicazione dei progetti finanziati dal PNRR.

In termini meno tecnici, cosa significa?

Con premialità si intende l’attribuzione di un punteggio specifico in fase di partecipazione a un bando di gara. Si pensi per esempio a un’azienda che, nel caso di una gara pubblica d’appalto, si presenti secondo parametri “virtuosi”, come per esempio un equilibrio di genere occupazionale.

La condizionalità rappresenta il meccanismo per cui un’impresa non può invece partecipare alla gara se non rispetta la parità di genere nelle retribuzioni. Solo per citare uno degli indicatori più semplici che possiamo portare come esempio. È un meccanismo presente in altri Paesi europei, con in testa l’Islanda.

Premialità e condizionalità si sposano con il tema della certificazione di genere. Su questo è ancora presto per esprimere un giudizio, ma sembra che il PNRR abbia aperto un varco per iniziative, a partire a livello regionale, che potrebbero essere di estremo interesse. Il Lazio, per esempio, sta già sviluppando un regolamento di appalti pubblici che contiene questa tematica.

Naturalmente sarà compito dei singoli decisori locali costruire delle vere innovazioni su questo fronte perché, devo dire, il PNRR non pone vincoli; si tratterà, ancora una volta, di valutare ex post quali innovazioni questa “scintilla” avrà innescato.

In Italia a dicembre 2020 ci sono stati 101mila occupati in meno rispetto al mese precedente. Di cui 99mila donne, e l’anno 2020 ha chiuso con una perdita di 444mila posti di lavoro, di cui 312mila di donne e 132mila di uomini. In molte temono che il PNRR, nonostante l’obiettivo di contrastare ogni diseguaglianza, con l’accento posto su settori a prevalente presenza maschile (digitale, grandi opere, edilizia, agricoltura e trasporti), aumenti ancora di più il divario.

Una possibile risposta a questi problemi è lo sviluppo dell’imprenditoria femminile. Questo è un tema di cui si è molto dibattuto. Su cui sono stati fatti numerosi interventi negli anni attraverso fondi di garanzia, misure regionali di sostegno o altro. Purtroppo, una cosa da rilevare è che le imprese femminili nel PNRR vengono considerate come soggetti a se stanti. Non vengono inseriti nei settori strategici come quelli della digitalizzazione o della transizione ecologica.

Se davvero, invece, questo investimento in imprenditorialità femminile può avere un’opportunità, potrebbe essere quella di scardinare gli stereotipi che si annidano dietro l’imprenditoria femminile: come dimostrano storicamente le statistiche, infatti, l’imprenditoria femminile è concentrata nei settori della cura, del commercio, dell’agroalimentare, spesso con aziende di piccola dimensione e fragili dal punto di vista finanziario, con la caratteristica di essere, nei momenti di ripresa, ad alto tasso di natalità, ma anche, nelle fasi di recessione, ad alto tasso di mortalità.

In quale ottica dovrebbe guardare, dal suo punto di vista, il PNRR?

Se volessimo dare invece a queste imprese un ruolo cardine dovremmo anche dare spazio a imprese femminili innovative creando, per esempio, programmi per start-up (o spin-off universitari) in cui giovani donne ingegnere possano trovare spazio nella robotica.

Aggiungo però un elemento che mi sta molto a cuore. Parliamo sempre di donne, in questi casi, ma la distanza tra uomini e donne nel settore della creazione d’impresa vale negativamente per entrambi i sessi. Nel mondo del lavoro saremo in una situazione di parità di genere solo quando una giovane donna non avrà nessuna remora a iscriversi a ingegneria, ma anche quando un uomo non ne avrà volendosi iscrivere a lettere per fare il maestro d’asilo. La parità significa questo, permettere a entrambi i soggetti di fare una scelta che sia perfettamente calzante con le proprie attitudini. Bisogna però sempre ricordare che le attitudini ‘naturali’ sono condizionate dal genere come costrutto sociale.

Speriamo quindi che il PNRR, con i suoi investimenti, ci aiuti a liberarci da tanti di questi condizionamenti, a cui le persone giovani sono, ancora, troppo soggette.