Chr. Hansen, il biotech al servizio del cibo. Che ama l’ambiente
Società danese leader nelle bioscienze per l'alimentazione, combatte lo spreco di cibo, i rifiuti e punta su donne, equità salariale ed energia verde
«Non è un’azienda rivolta al consumatore. Ma probabilmente ha un impatto su molte calorie di centinaia di milioni di persone ogni giorno. E rende più sicuro il cibo che stanno consumando». Così Toby Heaps, cofondatore e presidente della rivista Corporte Knights, dedicata al “capitalismo pulito”, presenta l’azienda danese Chr. Hansen.
Nella speciale classifica annuale della testata è considerata la più sostenibile al mondo.
Sostenibile nell’ombra
Prima tra 7.500 compagnie valutate, molte delle quali dal marchio assai noto, Chr Hansen registra un fatturato 2018 superiore al miliardo di euro, ma è quasi sconosciuta perché opera in un settore molto particolare, le bioscienze. E, soprattutto, perché il nome non gira attraverso spot pubblicitari, bensì grazie ai suoi affari intrattenuti con l’industria del cibo, specialmente con quella lattiero-casearia.
Possiede due stabilimenti in Italia (a Canossa e a Parma), mentre nel mondo occupa oltre 3mila persone, producendo coloranti alimentari, colture microbiologiche, probiotici, fitonutrienti, enzimi. Svolgendo perciò un’attività a cavallo tra chimica e agricoltura, coltivando circa 30mila ceppi microbici, i cosiddetti batteri “buoni”.
Un impatto positivo sugli Sdg dell’Onu
La vocazione green dell’azienda, fondata nel 1874, non ha origini altrettanto antiche, ma è perseguita con decisione a più livelli, in particolare richiamandosi esplicitamente all’agenda delle Nazioni unite sugli obbiettivi per il 2030, guardando ai quali è stata innanzitutto affidata alla società di revisione internazionale PwC un’indagine interna per mappare il portafoglio prodotti e documentarne il contributo in termini socio-ambientali. E il risultato dell’analisi sul 2018 ha stabilito che l’82% del reddito lordo di Chr Hansen (+1% sulla rilevazione 2017) deriva da prodotti che avrebbero un impatto positivo sugli obiettivi globali di sostenibilità dell’Onu.
Meno sprechi allungando la vita sullo scaffale
Non male. Se non fosse che l’impegno in questa direzione ha bisogno innanzitutto di buone pratiche da implementare su grande scala. E tale sarebbe, ad esempio, la riduzione dello spreco di cibo e di rifiuti (nonché di emissioni di CO2) che un’allungamento della scadenza di alcuni alimenti freschi può generare. Da qui l’investimento di Chr. Hansen in ricerca e sviluppo per arrivare a diffondere nelle filiere dei batteri capaci di prolungare la shelf life – cioè la vita sullo scaffale del supermercato – di alcuni prodotti alimentari molto consumati, principalmente yogurt e formaggio.
La società si è prefissata di ridurre i rifiuti di yogurt di 1,2 milioni di tonnellate entro il 2022 dai livelli del 2015. Ed è a un terzo del percorso, con un totale raggiunto di 400mila tonnellate di rifiuti in meno nei primi 4 anni di sperimentazione.
Un obbiettivo importante che, qualora la tecnologia risultasse efficace su altri alimenti di grande consumo, costituirebbe una linea guida dal notevole potenziale nel contrasto al climate change. Anche perché i test che la compagnia ha effettuato sull’accoglienza da parte della clientela verso uno yogurt che dura 7 giorni in più è positiva: dal punto di vista organolettico non ci sono controindicazioni e anzi, una volta che il consumatore viene informato sui vantaggi per l’ambiente dovuti a questa tecnologia, la propensione all’acquisto viene incentivata.
Tra energia verde e alternative naturali ai pesticidi
Poiché tuttavia non possiamo sperare che la crisi climatica venga scongiurata a colpi di probiotici, i pilastri principali della policy ambientale di Chr. Hansen riguardano campi diversi. In primis quello della protezione delle piante, che è sì un business ma è pure un tema collegato alla diminuzione delle esternalità negative dell’agricoltura. Ecco allora lo sviluppo di soluzioni microbiche naturali da proporre in alternativa all’impiego dei pesticidi convenzionali.
Con lo scopo, quindi, di aumentare i raccolti e rimuovere i rischi connessi all’uso di fitofarmaci di sintesi, Chr. Hansen si sta concentrando sulle colture globalmente più diffuse – mais, canna da zucchero e soia -. E sta collaborando con l’agenzia indipendente per lo sviluppo Care Danmark su un progetto in Kenya per valutare se anche piccoli agricoltori possano utilizzare questo tipo di soluzione.
Più in generale, la compagnia si è posta traguardi di riduzione delle emissioni di gas serra, di efficienza nell’uso delle risorse idriche e di transizione energetica verso le rinnovabili. In quest’ottica ha puntato innanzitutto a convertire il fabbisogno annuo (pari a quello di quasi 15mila famiglie) dei suoi stabilimenti danesi. E per questo ha stretto un accordo decennale (PPA, ovvero Power Purchase Agreement) con Better Energy per passare al 100% di energia pulita, generata grazie all’installazione due nuovi parchi solari la cui capacità consentirà un contributo utile anche alla rete nazionale. Mentre, nei momenti di picco, verranno integrati dall’apporto di un mix tra diverse fonti, come l’eolico e il biogas.
Stipendi senza eccessi
Spiccata attenzione all’ambiente a parte, sul piano del trattamento dei lavoratori va registrato innanzitutto un punto a favore non da poco, dal momento che la retribuzione del suo amministratore delegato (attualmente il CEO è Mauricio Graber) è “solo” di 24 volte superiore alla media di quella dei dipendenti. Un buon dato visto quello che si legge di altre corporation quotate e con fatturati miliardari.
Riguardo la parità di genere, Chr. Hansen registra il numero di donne a livello manageriale e in posizioni cosiddette “chiave” rispettivamente del 39% e 22%, nonché un “quasi il 30%” di donne nel consiglio di amministrazione. Valori che non sono proprio quanto auspicabile, ma che rispecchiano il livello della media nei Paesi europei – dove l’Italia eccelle – e superano abbondantemente il dato medio della Danimarca.
Promossa dai sindacati italiani
Ma è tutto vero? E come si lavora in Chr. Hansen? A portarci al di là dei cancelli è Giovanni Velotti, segretario Flai CGIL di Reggio Emilia, che parla di un’azienda dalla storia sindacale non molto antica ma in cui «l’ambiente appare assolutamente sereno, con una RSU rieletta da poco e i lavoratori che sembrano trovarsi in accordo con la mission aziendale. È un’impresa dove si percepisce una buona agibilità sindacale». A Canossa, la divisione che produce coloranti alimentari a partire da patate, carote arancioni e nere, bucce d’uva, ci sono una quarantina di occupati. E c’è una divisione commerciale a Parma, con una ventina di persone tra impiegati e operai.
«Confermo che sono molto attenti alla sostenibilità ambientale – prosegue Velotti – ad esempio con la promozione, a livello globale, di un questionario, con un premio economico importante per la proposta migliore in questa direzione. Inoltre svolgono continua ricerca per l’abolizione della plastica e stanno installando i depuratori per l’acqua potabile. Dal punto di vista salariale, applicano il contratto nazionale dell’industria alimentare e un contratto integrativo migliorativo con un premio che vale quasi una quindicesima».
Infine, «hanno recepito e sottoscritto l’allungamento da 3 a 12 mesi (a carico dell’azienda) del congedo per le donne vittime di violenza di genere e hanno appena recepito un accordo regionale basato sulle direttive europee per il quale garantiscono impegno contro le molestie e le violenze sui luoghi di lavoro. Un accordo per la cui sottoscrizione non hanno battuto ciglio, anche se non tutte le aziende lo fanno».